di Gary North (da GaryNorth.com, 17 giugno 2014 - via LewRockwell.com)

[Update: Gary North ha scritto il giorno dopo un commento a questo suo articolo, discutendo più a fondo le ragioni per cui economisti presunti di "libero mercato" su certi aspetti (la guerra) promuovono anch'essi politiche keynesiane (ovvero, a favore della spesa dello stato) - il commento di North analizza la posizione dei fratelli Koch (i finanziatori dietro all'economista di cui si parla qui), sedicenti "libertari", contribuendo a spiegare perché nei mesi scorsi inaspettatamente molti "libertari" hanno difeso la poltica estera degli USA in Ucraina e attaccato Ron Paul e Lew Rockwell - a questo proposito si può leggere qui Gawker: I Ron Pauliti sono complottisti fuori di testa  e Il non-interventismo è non-negoziabile! - MM]

Comincio dall'affermazione seguente (direste che suona keynesiana?):

Il prolungato rallentamento della crescita economica nei paesi ad alto reddito ha stimolato un'analisi introspettiva tra gli economisti. Essi hanno considerato, quali possibili colpevoli, la debolezza della domanda, la crescente ineguaglianza, la concorrenza dei cinesi, l'eccessiva regolamentazione, l'inadeguatezza delle  infrastrutture e un certo esaurimento delle idee tecnologiche innovative.

C'è una spiegazione aggiuntiva per la lentezza della crescita che sta cominciando a ricevere attenzione. E' la persistenza e l'aspettativa di pace.

In effetti il mondo recentemente non ha vissuto molta guerra, almeno non secondo gli standard storici. Alcuni dei recenti titoli sull'Iraq o il Sudan meridionale fanno sembrare il mondo come un posto molto sanguinario, ma il conto delle vittime di oggi impallidisce di fronte alle decine di milioni di persone uccise in due guerre mondiali nella prima metà del ventesimo secolo. Anche la guerra del Vietnam ha mietuto molte più vittime di ogni guerra recente in cui sono stati coinvolti paesi ricchi.

Per quanto possa suonare contro-intuitivo, la maggiore pacificità del mondo potrebbe rendere meno urgente, e quindi meno probabile, il raggiungimento di maggiori velocità di crescita economica.

Questo a me suona keynesiano. Anche il fatto che appaia sul The New York Times mi porta a concludere che sia keynesiano.

Ma no, l'autore ci assicura, non è per nulla keynesiano. "Questo punto di vista non afferma che combattere guerre faccia migliorare l'economia, in quanto ovviamente i conflitti reali portano morte e distruzione. L'affermazione è inoltre distinta dall'argomento keynesiano per il quale la preparazione per la guerra fa innalzare le spese statali e dà lavoro alla gente".

Se cammina come un'anatra, e starnazza come un'anatra, ci vogliono un sacco di prove per convincermi che non sia un'anatra. Quando poi è sul The New Duck Times [N.d.T: ah ah! lLa battuta la lascio in inglese], la conferma è praticamente certa.

L'autore continua.

Piuttosto, anche la sola possibilità di guerra focalizza l'attenzione dei governi a prendere le decisioni di base giuste - che si tratti di investire nella scienza o semplicemente liberalizzare l'economia. Questa focalizzazione finisce con il migliorare le prospettive di lungo termine della nazione.

Ha senso per voi? Per me non ha alcun senso.

E' stato scritto da Tyler Cowen, che insegna economia alla George Mason University. E' considerato un economista di libero mercato. Non so perché.

Può sembrare ripugnante trovare un lato positivo alla guerra a questo riguardo, ma un'occhiata alla storia americana suggerisce che non possiamo rigettare l'idea così facilmente.

Sì che possiamo. Molto facilmente. Sarebbe un compito arduo trovare una guerra nella storia americana che non abbia alzato le tasse, aumentato il debito e ucciso innocenti. Ciò nonostante, ho raccomandato al mio amico Thomas Woods di scrivere una serie di libri sulle guerre americane. Dovrebbe realizzare anche lezioni su video. Queste guerre sono almeno 20. Vorrei che Tom trattasse ogni guerra in tre capitoli: 1) come il governo ci ha condotto alla guerra; 2) come il governo ha aumentato le tasse e incrementato il debito per fare la guerra; 3) in che modo l'economia era in peggiori condizioni dopo la fine della guerra, e forse anche la società. Il dottor Woods è la persona giusta per scrivere questa serie. Farebbe bene ad usare i libri di Robert Higgs come base, specialmente Crisis and Leviathan.

Il professor Cowen continua:

Innovazioni fondamentali quali l'energia nucleare, il computer e l'aeronautica moderna sono tutte state spinte dal governo americano, impaziente di sconfiggere le potenze dell'Asse o, in seguito, di vincere la Guerra Fredda. Internet è stata progettata inizialmente per aiutare questo paese a reggere in caso di attacco nucleare, e la Silicon Valley ha avuto origine da contratti militari, non dalle start-up imprenditoriali di oggi dedicate ai social media.

Non è la prima volta che lo sentiamo. Frederic Bastiat scrisse a questo proposito nel 1850. Si chiama "fallacia della finestra rotta".

Che dire dell'energia nucleare? Si basava sulla divisione dell'atomo di Rutherford nel 1932. Il governo americano accelerò la ricerca nucleare, ma con uno scopo: incenerire civili. Ha lanciato bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, dove non c'erano obiettivi militari. Non si trattò di "danni collaterali". Fu un modo di spaventare l'Unione Sovietica.

Dal 1949 al 1991, i due imperi giunsero prossimi alla guerra nucleare in diverse occasioni. (Questo era l'intero scopo del Progetto Manhattan: distruzione nucleare.) Sicuramente queste situazioni non furono a rischio zero. Ma il professor Cowen le tratta come se lo siano state. Non compaiono nelle sue equazioni di welfare-warfare.

Il lancio sovietico del satellite Sputnik spronò l'interesse americano per la scienza e la tecnologia, favorendo la futura crescita economica.

Lo Sputnik portò all'aumento continuo della federalizzazione dell'istruzione in America. Le università finanziate dai contribuenti si arricchirono grazie allo Sputnik. Le università private persero la loro verginità subito dopo: miliardi di dollari di fatturato grazie ai mutui per gli studenti e altri finanziamenti diretti. Robert Nisbet ha descritto questo processo in The Degradation of the Academic Dogma (1972). Cominciò con borse di studio per la difesa dopo la Seconda Guerra Mondiale, poi si intensificò dopo lo Sputmik.

Lo Sputnik ha cambiato molto, al di fuori della federalizzazione dell'istruzione universitaria? Non granché. Jason Stone ha scritto un saggio sul National Defense Education Act (NDEA) e sulla narrativa storica a cui ha dato origine. Questa narrativa, a cui il professor Cowen aderisce senza esitazioni, manca di prove. Un brano di Stone:

La porzione della narrativa dominante che merita di essere contestata è l'assunzione che il NDEA fosse necessario per sistemare i malandati, sotto-finanziati corsi universitari in matematica, scienze, tecnologia e ingegneria, i quali non erano in grado di produrre scienziati missilistici qualificati. In realtà, le università americane stavano sfornando più scienziati di quanto sia stato in ogni altro momento della nostra storia (Geiger 1997). Inoltre, non esistevano dati comparativi da cui evincere le affermazioni fatte da Johnson, dai media e dai democratici (Launius 2010). In effetti, è importante notare che gli Stati Uniti stavano perseguendo svariati programmi missilistici militari, almeno 119 (Steeves Bernhart Burns and Lombard 2009), incorrelati ai satelliti. In aggiunta, erano passati solo 13 anni dal lancio delle bombe atomiche a Hiroshima e Nagasaki. La ricerca sulle armi atomiche negli Stati Uniti era robusta e tali erano le connessioni tra le migliori università e gli enti di ricerca scientifica del governo federale (Geiger 1997).

Poi ci sono le banche centrali. Continua Cowen:

Un altro nuovo libro, "War and Gold: A 500-Year History of Empires, Adventures, and Debt" di Kwasi Kwarteng, presenta un argomento simile, però focalizzato sui mercati di capitali. Kwarteng, un parlamentare inglese del partito Tory, sostiene che la necessità di finanziare le guerre ha portato i governi a favorire lo sviluppo delle istituzioni monetarie e finanziarie, rendendo possibile la crescita dell'Occidente. Si preoccupa, tuttavia, del fatto che oggi molti governi stanno abusando di queste istituzioni e le stanno usando per fare troppi debiti. (Sia Kwarteng che Morris [N.d.T.: non citato in questo estratto] espandono temi dalla magnus opus di Azar Gat, "War in Human Civilization," pubblicato nel 2006.)

Non si tratta di keynesianismo, voi capite.

Io sento starnazzare. Voi cosa sentite?

La fallacia della finestra rotta continua a vivere alla George Mason University.

La fallacia della finestra rotta (video su YouTube)

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Un breve commento.
La "fallacia della finestra rotta" fu presentata con questo nome e spiegata molto bene da Bastiat, intorno al 1850. Cento anni dopo, Henry Hazlitt, nel libro già citato più volte su questo sito, Economics in One Lesson, scrive il primo capitolo sulla fallacia della finestra rotta, e il secondo sull'idea che le guerre portino a crescita economica, spiegando che si tratta sempre di "finestre rotte" in una forma più elaborata.
Sono poche pagine, si leggono facilmente, anche se naturalmente poi è necessaria un po' di riflessione personale per capire a fondo il ragionamento logico. Dopo, uno è immunizzato per sempre. Tutte le volte che  legge argomenti come quelli di Cowen in questo articolo capisce benissimo dov'è che lo stanno prendendo in giro.
Sono passati più di sessant'anni da Economics in One Lesson (e più di 160 da Bastiat!) e tuttora periodicamente vengono fuori "finestre rotte" da economisti di grido, premi Nobel, addirittura questo Cowen che pretende di essere a favore del libero mercato e insegna in un'università finanziata dai "libertari" fratelli Koch.

L'idea che la preparazione per le guerre abbia aiutato lo sviluppo delle istituzioni monetarie e finanziarie che poi hanno permesso la crescita economica è talmente ridicola da lasciare a bocca aperta. Non ricordo se se ne parla in Economics in One Lesson, ma sicuramente Ron Paul e Lew Rockwell hanno mostrato varie volte (ad esempio in End The Fed di Ron Paul) che sono state proprio le istituzioni monetarie a rendere possibile che accadessero due guerre mondiali. Oltre, naturalmente, a causare una serie di danni all'economia, tra cui proprio quella "lentezza" che qui si addossa alla ... mancanza di guerra.
Sono sempre i governi a volere le guerre ("War is the health of the State"), in quanto sono funzionali al loro potere. Poi ci dicono (tramite gli infiniti lacché quali questo professore) che la guerra dà impulso all'economia, cioè è utile per noi!
La cosa strabiliante è che la gente continua a cascarci.

MM