(28 maggio 2018) [contiene la traduzione di La politica estera sovietica: una prospettiva revisionista, di Murray N. Rothbard]

rothbardNo, non parlo dell'anarco-capitalismo. Non che abbia smesso di pensarci, anzi credo che a breve scriverò di nuovo su questo tema.

Si tratta di Rothbard che "giustifica l'Unione Sovietica" nell'invasione di Ungheria e Cecoslovacchia. Sì, avete capito bene. È saltato fuori questo argomento contro Rothbard, e contro ai libertari rothbardiani, in alcune discussioni su Facebook.  Ci ho messo un po' a capire come si potesse dire una cosa così assurda (qualcuno che sa cosa pensava Rothbard, intendo).  "Ma Rothbard ha proprio scritto così! Ha scritto che  Unione Sovietica aveva il diritto di invadere. Rothbard giunge a conclusioni aberranti." "Dove?", ho chiesto. E così poco alla volta ho capito qual era il 'peccato' di Rothbard che scatenava tanta avversione.

È stato surreale venire a conoscenza che anche in Italia c'è gente che fa il tifo per l'ideologia neocon. Forse era da aspettarsi che ce ne fosse, ma mai avrei pensato di incontrare idee di questo tipo in un contesto di persone che si definiscono in qualche modo vicine al libertarismo. John McCain ha ammiratori insospettabili! Certamente, in America tanti accusano Ron Paul di "essere anti-americano" per la sua opposizione alla politica estera aggressiva di guerre in tutto il mondo (per primo John McCain), ma non stupisce considerati gli enormi interessi che ruotano attorno al militarismo. Ma è mai possibile in Italia?

All'inizio di questa vicenda l'ideologia neocon non mi era chiara. Poi la realtà piano piano è diventata più nitida. Non era semplice equivoco dovuto a mancata comprensione del mai troppo facile Rothbard. Il fatto è che Rothbard aveva demolito il mito che fornisce la linfa vitale ai guerrafondai. Aveva demolito il mito del nemico che "sta per attaccarci". E questo per alcuni è proprio imperdonabile.

È stato così che sono andata a vedere cosa aveva effettivamente scritto Rothbard. Il pezzo 'incriminato', che fornisce spunto alle più pazzesche calunnie su Rothbard, è tratto da For a new liberty, pubblicato nel 1978. Ovviamente non mostra alcuna simpatia né 'giustificazione' per l'Unione Sovietica. È però un atto di accusa schiacciante verso i "guerrieri della Guerra Fredda". Dal momento che diversi hanno detto "Rothbard scriveva davvero così ed è nero su bianco", ho deciso di tradurlo tutto, affinché tutti possano leggere e decidere autonomamente cosa aveva scritto.

Dopo il brano di Rothbard, ho inserito anche un mio riassunto, poi altri miei commenti.

Devo dire che c'è stato un lato positivo in tutta questa spiacevole vicenda e nel perder tempo a tentar di ragionare con chi non va al di là della logica "gli americani sono buoni e i russi sono cattivi e basta" alla John McCain. Questo scritto di Rothbard è veramente importante e mette al loro posto tante cose, e non lo conoscevo. Ci sono analisi storiche che coprono vari decenni spiegando cose che a tutti farà bene sapere, anche per riflettere su quello che sentiamo dire dai governi ai giorni nostri.

La politica estera sovietica: una prospettiva revisionista

Murray N. Rothbard (da For a New Liberty, 1978)

Sin dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, l'apparato militare e la politica estera degli Stati Uniti, almeno in linea teorica, si basano sull'assunzione di una minaccia incombente di attacco russo -- un'assunzione che è riuscita a guadagnare approvazione pubblica per l'intervento militare globale e per un sacco di miliardi di dollari in spese militari. Quanto realistica, quanto saldamente fondata, è questa assunzione?

Per prima cosa, non ci sono dubbi che ai sovietici, come ad altri marxisti-leninisti, piacerebbe rimpiazzare tutti i sistemi sociali esistenti con regimi comunisti. Però questo sentimento, ovviamente, difficilmente implica una qualsiasi sorta di minaccia realistica di attacco -- proprio come un malaugurio nella vita privata difficilmente può essere motivo per attendersi realisticamente un'aggressione imminente.

Al contrario, il marxismo-leninismo stesso crede che la vittoria del comunismo sia inevitabile -- non sulle ali di una forza esterna, ma piuttosto da tensioni accumulate e "contraddizioni" all'interno di ogni società. Quindi il marxismo-leninismo considera inevitabile la rivoluzione interna (o, nella corrente versione "eurocomunista", cambiamento democratico) per installare il comunismo. Allo stesso tempo, ritiene che ogni imposizione coercitiva del comunismo  dall'esterno sia al meglio sospetta, e al peggio un ostacolo e controproducente per il genuino cambiamento sociale organico. Qualsiasi idea di "esportazione" del comunismo ad altri paesi sulle spalle dell'esercito sovietico è totalmente contraddittoria rispetto alla teoria marxista-leninista.

Non stiamo dicendo, ovviamente, che i leader sovietici non faranno mai qualcosa di contrario alla teoria marxista-leninista. Ma fin quando essi agiscono come governanti ordinari di un forte stato-nazione russo, gli argomenti per sostenere una imminente minaccia sovietica per gli Stati Uniti sono gravemente indeboliti. Infatti, la sola presunta base per questa minaccia, come è evocata dai nostri Guerrieri della Guerra Fredda, è la presunta devozione dell'Unione Sovietica alla teoria marxista-leninista e al suo obiettivo finale di trionfo del comunismo mondiale. Se i leader sovietici agissero semplicemente come dittatori russi che considerano solo gli interessi del loro stato-nazione, allora l'intera base per trattare i sovietici come la fonte più diabolica di imminente assalto militare si sgretola completamente.

Quando i bolscevichi presero il potere in Russia nel 1917, avevano pensato poco ad una futura politica estera sovietica, in quanto convinti che la rivoluzione comunista sarebbe seguita a breve nei paesi industrialmente avanzati dell'Europa Occidentale. Quando queste speranze furono infrante dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, Lenin e i compagni bolscevichi adottarono la teoria di "coesistenza pacifica" quale politica estera di base per uno stato comunista.

L'idea era questa: in quanto primo movimento comunista di successo, la Russia sovietica avrebbe fatto da faro e supporto per gli altri partiti comunisti in tutto il mondo. Ma lo stato sovietico in quanto stato si sarebbe dedicato a relazioni pacifiche con tutti gli altri paesi, e non avrebbe cercato di esportare il comunismo tramite guerra tra stati. L'idea qui non è solo seguire la teoria marxista-leninista, ma anche il corso molto pratico di curare la sopravvivenza dello stato comunista esistente quale principale obiettivo di politica estera: cioè, mai mettere in pericolo lo stato sovietico andando in cerca di guerre tra stati. Gli altri stati, ci si aspettava, sarebbero diventati comunisti tramite i loro stessi processi interni.

Quindi, per caso fortuito, da un miscuglio di  ragioni proprie teoriche e pratiche, i sovietici arrivarono presto a quello che i libertari considerano essere l'unica politica estera appropriata e di principio. Con il passare del tempo, inoltre, questa politica fu rinforzata da un "conservatismo" che discende su tutti i movimenti dopo aver conquistato e mantenuto il potere per qualche tempo, per il quale l'interesse a mantenere il potere sul proprio stato-nazione comincia ad assumere sempre più prevalenza sull'idea iniziale di rivoluzione mondiale. Questo crescente conservatismo sotto Stalin e i suoi successori mantenne e rafforzò la politica non aggressiva di "coesistenza pacifica".

I bolscevichi, in effetti, cominciarono il loro successo con l'essere letteralmente l'unico partito politico in Russia a chiedere a gran voce, sin dall'inizio della Prima Guerra Mondiale, un ritiro immediato della Russia dalla guerra. Poi si spinsero ancora oltre e andarono incontro ad enorme impopolarità invocando la sconfitta del "loro stesso" governo ("disfattismo rivoluzionario").

Quando la Russia cominciò a soffrire perdite enormi, accompagnate da massiccia diserzione militare dal fronte, i bolscevichi, guidati da Lenin, continuarono ad essere l'unico partito a chiedere l'immediata fine della guerra, mentre gli altri partiti promettevano di combattere i tedeschi fino alla fine. Quando i bolscevichi salirono al potere, Lenin, passando sopra all'isterica opposizione persino della maggioranza dello stesso comitato centrale bolscevico, insistette per concludere il trattato di pace di Brest-Litovsk in marzo 1918.

Qui Lenin riuscì a tirare fuori la Russia dalla guerra, anche se al prezzo di garantire al vittorioso esercito tedesco tutte le aree dell'Impero Russo che aveva occupato (incluse la Russia Bianca e l'Ucraina). Quindi, Lenin e i bolscevichi cominciarono il loro regno con l'essere non semplicemente un partito di pace, ma praticamente un partito di "pace-a-tutti-i-costi".

Dopo la Prima Guerra Mondiale e la sconfitta della Germania, il nuovo stato polacco attaccò la Russia e riuscì ad annettersi una larga fetta della Russia Bianca e l'Ucraina. Approfittando del subbuglio e guerra civile in Russia alla fine della guerra mondiale, vari altri gruppi nazionali -- Finlandia, Estonia, Lettonia e Lituania -- decisero di staccarsi da quello che prima della guerra era l'Impero Russo e dichiararono l'indipendenza nazionale.

Se da una parte il leninismo a parole sostiene l'auto-determinazione, fu chiaro ai governanti sovietici sin dall'inizio che i confini del vecchio stato russo  dovevano restare intatti. L'Armata Rossa riconquistò l'Ucraina non solo dai Bianchi, ma anche dai nazionalisti ucraini e dall'esercito anarchico ucraino di Nestor Makhno.

Per il resto, fu chiaro che la Russia, come la Germania negli anni '20 e '30, era un paese "revisionista" vis-à-vis gli accordi di Versailles per la divisione territoriale post-bellica: cioè,  la stella polare della politica estera sia della Russia sia della Germania era ristabilire i loro confini pre-bellici - quello che consideravano i "veri" confini dei loro rispettivi stati. Si noti che tutti i partiti e le tendenze politiche in Russia e Germania, sia al governo sia all'opposizione, concordavano con questo obiettivo di piena restaurazione del territorio nazionale.

Ma, occorre mettere in evidenza, mentre la Germania sotto Hitler attuò misure forti per riprendere le terre perdute, i cauti e conservativi leader sovietici non fecero assolutamente nulla. Solo dopo il patto Stalin-Hitler e la conquista tedesca della Polonia i sovietici, che ora non avevano di fronte alcun pericolo a farlo, riconquistarono i loro territori persi. Specificatamente, i russi ripresero l'Estonia, la Lettonia e la Lituania, oltre alle vecchie terre russe della Russia Bianca e la parte di Ucraina che era stata Polonia orientale.

E riuscirono a farlo senza alcun combattimento. La vecchia Russia pre-WWI era stata ora restaurata con l'eccezione della Finlandia. Però la Finlandia era pronta a combattere. Qui, i russi chiedevano, non il reincorporo della Finlandia intera, ma solo di parti dell'Istmo Careliano che erano etnicamente russe. Quando i finalndesi rifiutarono, ne conseguì la "Guerra d'Inverno" (1939-1940) tra Russia e Finlandia, che finì con la Finlandia vittoriosa e nessuna concessione.

Il 22 giugno 1941, la Germania, trionfante su tutti eccetto l'Inghilterra ad occidente, lanciò un improvviso e massiccio assalto non provocato alla Russia sovietica, un atto di aggressione aiutato e agevolato da altri stati filo-Germania nell'Europa dell'Est -- Ungheria, Romania, Bulgaria, Slovacchia e Finlandia. Questa invasione della Russia da parte di tedeschi e loro alleati divenne presto uno dei fatti cardine nella storia dell'Europa a partire da allora.

Stalin era così impreparato all'assalto, così tanta sicurezza aveva nella razionalità dell'accordo Germania-Russia per la pace nell'Europa dell'Est, che aveva permesso all'esercito russo di ridursi in stato precario. Così poco incline alla guerra era Stalin, in effetti, che la Germania fu quasi in grado di conquistare la Russia pur di fronte a probabilità enormemente avverse.  Dal momento che la Germania altrimenti sarebbe stata in grado di mantenere il controllo dell'Europa indefinitamente, fu Hitler ad essere ammaliato dal richiamo delle sirene dell'ideologia anti-comunista fino a rifiutare un corso di azione razionale e prudente, e a lanciare quello che sarebbe stato l'inizio della sua sconfitta finale.

La Seconda Guerra Mondiale e i sovietici

La mitologia dei Guerrieri della Guerra Fredda spesso ammette che i sovietici non furono internazionalmente aggressivi prima della Seconda Guerra Mondiale -- meglio ancora, sono costretti ad asserire questo punto, perché i Guerrieri della Guerra Fredda in gran parte approvano calorosamente l'alleanza nella Seconda Guerra Mondiale tra Stati Uniti e Russia contro la Germania. Fu durante e immediatamente dopo la guerra, essi affermano, che la Russia divenne espansionistica e marciò verso l'Europa dell'Est.

Quello che questa accusa trascura è il fatto centrale dell'assalto di tedeschi e associati alla Russia nel giugno 1941. Non c'è dubbio sul fatto che la Germania e i suoi alleati lanciarono questa guerra. Quindi, per sconfiggere gli invasori, era ovviamente necessario per i russi scacciare gli eserciti invasori e conquistare la Germania e gli altri paesi belligeranti dell'Europa orientale. È più facile sostenere che gli Stati Uniti siano stati espansionistici per aver conquistato e occupato l'Italia e parti della Germania di quanto sia sostenere che lo sia stata la Russia per aver fatto lo stesso -- dopo tutto, gli Stati Uniti non sono mai stati direttamente attaccati dai tedeschi.

Durante la Seconda Guerra Mondiale, gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e la Russia -- i tre maggiori alleati -- avevano concordato l'occupazione militare congiunta a tre di tutti i territori conquistati. Gli Stati Uniti furono i primi a rompere l'accordo durante la guerra, non concedendo alcun ruolo del tutto alla Russia nell'occupazione militare dell'Italia. Nonostante questa seria infrazione all'accordo, Stalin mostrò una persistente preferenza per gli interessi conservativi dello stato-nazione russo rispetto a rimanere aderente all'ideologia rivoluzionaria -- tradendo ripetutamente i movimenti comunisti indigeni.

Al fine di preservare relazioni pacifiche tra la Russia e l'Occidente, Stalin sistematicamente cercò di frenare il successo di vari movimenti comunisti. Ci riuscì in Francia e Italia, dove i gruppi partigiani comunisti avrebbero facilmente potuto prendere il potere alla ritirata dell'esercito tedesco; ma Stalin ordinò loro di non farlo, persuadendoli invece a partecipare a regimi di coalizione guidati da partiti anti-comunisti. In entrambi i paesi, i comunisti furono presto espulsi dalla coalizione. In Grecia, dove i partigiani comunisti quasi presero il potere, Stalin li indebolì irrimediabilmente abbandonandoli e sollecitandoli a cedere il potere alle truppe inglesi che stavano invadendo.

In altri paesi, in modo particolare quelli in cui i gruppi partigiani comunisti erano forti, i comunisti rifiutarono categoricamente le richieste di Stalin. In Jugoslavia, il vittorioso Tito rifiutò la pretesa di Stalin che Tito stesso si subordinasse all'anti-communista Mihailovich in una coalizione di governo; Mao rifiutò una simile richiesta di Stalin di subordinarsi a Chiang Kai-shek. Non c'è dubbio che questi rifiuti furono l'inizio del successivo, straordinariamente importante scisma all'interno del movimento comunista mondiale.

La Russia, quindi, governava l'Europa orientale quale forza di occupazione militare dopo aver vinto una guerra lanciata contro la Russia stessa. L'obiettivo iniziale della Russia non era rendere comunista l'Europa dell'Est sulle spalle dell'esercito sovietico. Il suo obiettivo era ottenere assicurazione che l'est europeo non sarebbe stato l'autostrada per un assalto alla Russia, come era stato per tre volte in mezzo secolo -- l'ultima volta in una guerra in cui più di 20 milioni di russi erano rimasti uccisi.

In breve, la Russia voleva paesi ai suoi confini che non fossero anti-comunisti in senso militare, e che non fossero usati come trampolino per un'altra invasione. Le condizioni politiche nell'Europa dell'Est erano tali che solo nella più modernizzata Finlandia esistevano politici non-comunisti su cui la Russia poteva fare affidamento per perseguire una linea pacifica negli affari esteri.

Questa situazione in Finlandia era ad opera di un solo statista lungimirante, il leader agrario Julio Paasikivi. Fu perché la Finlandia, allora e da allora in poi, ha seguito la "linea Paasikivi" che la Russia fu disponibile a ritirare le sue truppe dalla Finlandia senza insistere sul rendere comunista quel paese -- anche se aveva combattuto due guerre contro la Finlandia nei precedenti sei anni.

Anche negli altri paesi dell'est europeo, la Russia rimase fedele alla linea di governi di coalizione per diversi anni dopo la guerra, e li rese completamente comunisti solo nel 1948 -- dopo tre anni di incessante pressione americana da Guerra Fredda  per cercare di espellere la Russia da questi paesi. In altre aree, la Russia prontamente ritirò le sue truppe da Austria e Azerbaijan.

I Guerrieri della Guerra Fredda trovano difficile spiegare le azioni russe in Finlandia. Se la Russia è sempre fortemente determinata a imporre il regime comunista ovunque possibile, perché la "linea soft" in Finlandia? L'unica spiegazione possibile è che la sua motivazione sia la sicurezza dello stato-nazione russo contro gli attacchi, e che il successo del comunismo mondiale giochi un ruolo molto piccolo nella sua scala di priorità.

Scismi e comunismo mondiale

In realtà, i Guerrieri della Guerra Fredda non sono mai stati in grado di spiegare o assorbire il fatto che ci siano profondi scismi nel movimento comunista mondiale. Infatti, se tutti i comunisti sono governati da un'ideologia comune, allora tutti i comunisti ovunque nel mondo dovrebbero essere parte di un solo monolite unificato, il quale, dato il successo per primi dei bolscevichi, li renderebbe subordinati o "agenti" di Mosca.

Se i comunisti sono motivati soprattutto dal loro legame al marzismo-leninismo, perché abbiamo la profonda divisione Russia-Cina, in cui la Russia, per esempio, mantiene un milione di soldati all'erta sul confine Cina-Russia? Perchè c'è così tanta animosità tra lo stato comunista della Jugoslavia e quello dell'Albania? Come è possibile che ci sia un reale conflitto militare tra i comunisti cambogiani e quelli vietnamiti?

La risposta, ovviamente, è che una volta che un movimento rivoluzionario prende il potere, molto rapidamente comincia ad acquisire gli attributi di una classe di governo, con interesse di classe a mantenere il potere dello stato. La  rivoluzione mondiale comincia a impallidire, nella loro prospettiva, fino all'insignificanza. Poi, siccome le élite statali possono avere e hanno interessi in conflitto in potere e ricchezza, non sorprende che i conflitti inter-comunisti siano diventati endemici.

Sin dalla vittoria sull'aggressione militare della Germania nella Seconda Guerra Mondiale, i sovietici hanno continuato ad essere conservativi nella loro politica militare. L'unico loro uso delle truppe è stato per difendere il loro territorio nel blocco comunista, piuttosto che per espanderlo ulteriormente. Quindi, quando l'Ungheria minacciò di lasciare il blocco sovietico nel 1956, o la Cecoslovacchia nel 1968, i sovietici sono intervenuti con l'esercito -- riprovevolmente, questo è sicuro, ma ancora agendo in maniera conservativa e difensiva, piuttosto che espansionistica. (Sembra che i sovietici abbiano pensato seriamente ad invadere la Jugoslavia quando Tito portò quel paese fuori dal blocco sovietico, ma furono dissuasi dalle formidabili abilità dell'esercito jugoslavo nei combattimenti da guerrilla.) In nessun caso la Russia ha usato le truppe per estendere il suo blocco o per conquistare altri territori.

Il professor Stephen F. Cohen, direttore dei corsi di studi russi a Princeton, ha delineato la natura del conservatismo sovietico negli affari esteri in un recente numero di Inquiry:

Che un sistema nato dalla rivoluzione e che ancora professa idee rivoluzionarie debba essere diventato uno dei più conservatori al mondo può apparire assurdo. Tuttavia tutti quei fattori che a vario titolo sono indicati come i più importanti nella politica sovietica hanno contribuito a questo conservatismo: la tradizione burocratica del governo russo prima della rivoluzione; la susseguente burocratizzazione della vita sovietica, che ha fatto proliferare normative conservatrici e ha creato una classe consolidata di zelanti difensori del privilegio burocratico; la natura geriatrica dell'élite attuale; e persino l'ideologia ufficiale, la cui spinta si è trasformata molti anni fa dalla creazione di un nuovo ordine sociale alla celebrazione di quello esistente...

 

In altre parole, la principale spinta del conservatismo sovietico oggi è preservare quello che già possiede in patria e all'estero, non metterlo a repentaglio. Un governo conservatore è, naturalmente, capace di azioni militaristiche pericolose, come abbiamo visto in Cecoslovacchia... ma questi sono atti di protezionismo imperiale, una sorta di militarismo difensivo, non uno rivoluzionario o di ingrandimento. È certamente vero che per gran parte dei leader sovietici, come presumibilmente per gran parte di quelli americani, la distensione non è uno sforzo altruistico ma il perseguimento di interessi nazionali. In un senso, questo è triste; ma è anche probabilmente vero che il mutuo proprio interesse fornisce una base più durevole per la distensione rispetto all'altruismo nobile e, alla fine, vuoto. (da "Why Detente Can Work", 19 dicembre 1977)

Similmente, una fonte impeccabilmente anti-sovietica come l'ex direttore della CIA William Colby ritiene che la principale preoccupazione dei sovietici sia nell'obiettivo difensivo di evitare un'altra catastrofica invasione del loro territorio. Colby ha così testimoniato di fronte al Comitato del Senato per le relazioni estere:

Si riscontra una preoccupazione, persino una paranoia, per la loro [dei sovietici] stessa sicurezza. Si riscontra la determinazione a far sì che essi non siano mai più invasi di nuovo e debbano passare attraverso il tipo di sconvolgimenti che hanno sperimentato in molte diverse invasioni... penso che loro... vogliano sovraproteggersi per essere sicuri che non succeda.

Persino i cinesi, per tutto la loro tracotanza, hanno perseguito una politica estera conservativa e pacifica. Non solo non hanno invaso Taiwan, riconosciuta internazionalmente come parte della Cina, ma hanno persino permesso alle piccole isole offshore di Quemoy e Matsu di rimanere nelle mani di Chiang Kai-shek. Nessuna mossa è stata fatta contro le enclavi di Hong Kong e Macao occupate da inglesi e portoghesi. E la Cina ha persino fatto il passo insolito di dichiarare unilateralmente il cessate-il-fuoco e ritiro di forze entro i confini dopo aver facilmente trionfato sulle armate indiane in un'accesa guerra di confine. (Si veda Neville Maxwell, India's China War [New York: Pantheon Books, 1970].)

Nemmeno la riconquista cinese del Tibet e la repressione della ribellione nazionale è un argomento valido contro la nostra tesi. Infatti, Chiang Kai-shek e tutti gli altri cinesi da molte generazioni considerano il Tibet parte della Grande Cina, e la Cina agiva qui nella stessa maniera conservativa, da stato-nazione, che come abbiamo visto ha guidato i sovietici.

Evitare la storia a priori

C'è ancora una tesi diffusa tra gli americani e persino tra alcuni libertari che potrebbe impedire loro di assorbire l'analisi di questo capitolo: il mito proposto da Woodrow Wilson secondo cui le democrazie sono inevitabilmente amanti della pace mentre le dittature sono inevitabilmente belligeranti. Questa tesi era ovviamente molto utile per coprire la colpevolezza di Wilson stesso nel trascinare l'America in una guerra non necessaria e mostruosa. Semplicemente non c'è nessuna evidenza a sostegno di questa assunzione.

Molte dittature si sono rivolte verso l'interno, cautamente confinandosi a depredare il loro stesso popolo. Gli esempi spaziano dal Giappone pre-moderno alla Albania comunista a innumerevoli dittature nel Terzo Mondo oggi. L'ugandese Idi Amin, forse il più brutale e repressivo dittatore nel mondo di oggi, non mostra assolutamente alcun segno di voler mettere a repentaglio il suo regime invadendo paesi confinanti. D'altra parte, un paese così indubbiamente democratico come la Gran Bretagna ha disseminato il suo imperialismo coercitivo in tutto il mondo nel diciannovesimo secolo e secoli precedenti.

La ragione teorica per la quale focalizzarsi su democrazia o dittatura è fuori tema è che gli stati -- tutti gli stati -- governano la loro popolazione e decidono se fare guerra o meno. E tutti gli stati, che siano formalmente democrazia o dittatura o qualche altra forma di governo, sono guidati da una élite di governo. Se queste élite, in ogni caso particolare, facciano o meno una guerra contro un altro stato è funzione di una complessa rete interconnessa di cause, incluso il temperamento dei governanti, la forza dei loro nemici, gli incentivi a fare guerra, l'opinione pubblica, ecc.

Se è vero che l'opinione pubblica deve essere tenuta in considerazione in entrambi i casi, l'unica reale differenza tra una democrazia e una dittatura nel fare guerra è che in una democrazia più propaganda deve essere diretta alla propria popolazione per ingegnerizzare il consenso. Propaganda intensa è necessaria in ogni caso -- come possiamo vedere dallo zelo nelle azioni per plasmare l'opinione pubblica di tutti i moderni stati belligeranti.

Tuttavia lo stato democratico deve lavorare più intensamente e più velocemente. Inoltre lo stato democratico deve essere più ipocrita nell’utilizzare retorica progettata per fare appello ai valori delle masse: giustizia, libertà, interesse nazionale, patriottismo, la pace nel mondo, ecc… Dunque negli stati democratici l’arte della propaganda dell’élite verso i suoi cittadini deve essere un po’ più sofisticata e raffinata. Ma questo, come abbiamo già visto, è vero per tutte le decisioni del governo, non solo riguardo a guerra e pace.

Infatti tutti i governi -- ma soprattutto quelli democratici -- devono lavorare sodo per persuadere il pubblico che tutte le loro azioni di oppressione sono veramente nel migliore interesse dei cittadini. Quello che abbiamo detto su democrazia e dittatura si applica ugualmente alla mancanza di correlazione tra il grado di libertà interna in una nazione e la sua aggressività esterna. Alcuni stati hanno dimostrato di essere perfettamente in grado di permettere  un notevole grado di libertà interna al tempo stesso lanciando guerre aggressive all’estero, mentre altri si sono dimostrati capaci di governo totalitario internamente al tempo stesso perseguendo una politica estera pacifica. Gli esempi di Idi Amin, Albania, Cina, Gran Bretagna, ecc. si applicano altrettanto bene in questo confronto.

In breve, i libertari e gli altri americani devono guardarsi della storia a priori: in questo caso, dall’assunzione che, in tutti i conflitti, lo stato più democratico o con più libertà interna sia necessariamente o perfino presuntivamente la vittima di aggressione da parte dello stato più dittatoriale o totalitario. Semplicemente, non esiste proprio nessuna evidenza storica a sostegno di tale assunzione.

Nel giudicare su relativi torto e ragione, su relativi gradi di aggressione, in qualunque disputa in politica estera nulla può sostituire una dettagliata indagine storica ed empirica della disputa stessa. Non dovrebbe stupire così tanto, quindi, che una tale indagine concluda che uno stato democratico e relativamente molto più libero come gli  Stati Uniti sia stato più aggressivo e imperialistico in politica estera rispetto a stati relativamente totalitari come Russia o Cina. Viceversa, indicare uno stato come meno aggressivo in politica estera non implica in alcun modo che l’osservatore abbia alcuna simpatia per la gestione degli affari interni di quello stato.

È vitale -- letteralmente una questione di vita o di morte davvero -- che gli americani siano in grado di osservare con mente fredda e lucida, liberi dai miti, la storia della politica estera del loro governo, così come sempre più sono in grado di fare sulla politica interna. Infatti la guerra e le finte "minacce esterne" sono sempre state i mezzi principali con cui lo stato riconquista la lealtà dei suoi cittadini. La guerra e il militarismo hanno scavato la tomba al liberalismo classico; non dobbiamo mai più permettere allo stato di cavarsela con questo trucco.

(Traduzione Maria Missiroli)
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E così questo è quanto aveva scritto Rothbard.
Lo riassumo brevemente.

Rothbard enuncia nella prima frase quale domanda affronta in questa trattazione. La domanda è se sia fondato ritenere che la Russia sovietica ponga una minaccia militare  imminente per gli Stati Uniti, come ripetuto incessantemente dai promotori della Guerra Fredda. Scrivendo nel 1978, ovviamente si tratta di un tema molto sentito e importante. Negli Stati Uniti i cittadini sono bombardati da decenni da proclami per i quali i sovietici sono militarmente  pericolosissimi per la sicurezza nazionale.

Rothbard ricorda che la base per sostenere la pericolosità di questa minaccia è il presunto obiettivo dei sovietici di diffondere il comunismo in tutto il mondo. Se i sovietici fossero semplicemente dittatori della Russia, gli argomenti per questa presunta pericolosità sarebbero molto indeboliti. Allora Rothbard mostra che sia sul piano teorico sia sul piano storico non è sostanziata l'idea che il comunismo equivalga a politica estera espansionistica. Lo fa da una parte con un excursus storico a partire dalla rivoluzione russa durante la Prima Guerra Mondiale, esaminando i conflitti bellici che hanno riguardato i sovietici, dall'altra con semplici riflessioni sulla teoria marxista-leninista.

Rothbard sottolinea, citando anche Stephen Cohen e un ex-direttore della CIA, che la principale preoccupazione dei sovietici in politica estera è quella di evitare una ulteriore invasione della Russia. L'invasione da parte dei tedeschi e loro alleati dell'Europa dell'Est nel 1941 è stato l'evento dirimente della politica estera successiva dei sovietici. Rothbard spiega in quest'ottica il diverso comportamento dei sovietici nei confronti della Finlandia e degli altri paesi dell'Europa dell'Est.

La politica estera dei sovietici è dunque particolarmente "conservativa" e improntata alla prudenza, non mirata all'espansione. Mai i sovietici hanno usato l'esercito per espandere il proprio blocco. Anche l'invasione di Cecoslovacchia e Ungheria per impedire che uscissero dal blocco sovietico, si inquadra nell'ottica di mantenimento dei territori già controllati e di sicurezza rispetto a possibile invasione, non di espansione.

Rothbard conclude demolendo il mito, diffuso inizialmente da Wilson, che le dittature siano necessariamente belligeranti ed espansionistiche in politica estera e le democrazie siano intrinsecamente pacifiche, con una serie di esempi e semplici riflessioni. Rothbard sottolinea che i governi democratici devono diffondere maggiore propaganda verso la propria popolazione per poter lanciare le guerre volute. Invita quindi gli americani a valutare attentamente quanto dicono i loro governanti quando promuovono i miti delle "minacce esterne".

In sostanza, quindi, la domanda che Rothbard affronta è quanto siano affidabili i proclami dei sostenitori della Guerra Fredda sulla minaccia di attacco militare da parte dell'Unione Sovietica, e con qualche semplice analisi giunge alla conclusione che non lo sono per niente, mettendo in guardia gli americani rispetto a chi vuole promuovere eccessivo militarismo.

Bene, in queste parole di Rothbard qualcuno legge che "Rothbard diceva che i sovietici avevano diritto di invadere l'Ungheria", "Rothbard diceva che l'invasione dell'Ungheria era legittima" e altre versioni di "Rothbard difendeva l'Unione Sovietica". No, Rothbard diceva che l'invasione dell'Ungheria non era indice che l'Unione Sovietica avrebbe attaccato gli americani. Rothbard aggiunge che l'invasione dell'Ungheria è "riprovevole, questo è sicuro", ma non ci sarebbe stato neanche bisogno di dirlo, in questo contesto. Rothbard era il paladino della libertà, dell'anti-comunismo e dell'autodeterminazione dei popoli. Ci possono essere dubbi su dove battesse il suo cuore sui fatti di Ungheria?!

Più volte, pur in questo scritto che tratta esclusivamente di politica estera, Rothbard definisce totalitario il sistema sovietico, cosa che ovviamente indica che il giudizio di Rothbard sull'Unione Sovietica sia categoricamente negativo. L'Unione Sovietica era però una sciagura per le popolazioni che controllava, mentre qui Rothbard sta affrontando il tema dell'aggressività militare verso gli americani.

Di più, Rothbard lo dice proprio espressamente, quando descrive come lo stato più totalitario e repressivo (e quindi, per Rothbard, peggiore) possa non essere per nulla aggressivo verso l'esterno:  "indicare uno stato come meno aggressivo in politica estera non implica in alcun modo che l’osservatore abbia alcuna simpatia per la gestione degli affari interni di quello stato".

E che dire della frase "Nemmeno la riconquista cinese del Tibet e la repressione della ribellione nazionale è un argomento valido contro la nostra tesi."? Davvero può venire in mente di gridare allo scandalo: "Rothbard ha deto che i cinesi hanno fatto bene a reprimere i tibetani!"

È così difficile da capire? Certo, il robotico John McCain non capirebbe qualche ragionamento oltre a "il nemico è cattivo e dobbiamo attaccarlo", ma un qualsiasi essere pensante credo di sì.

La Spagna ha inviato forze armate in Catalogna e ha arrestato politici del tutto pacifici, per impedire l'indipendenza della Catalogna. Ovviamente denunciamo questi fatti come malvagi, esprimiamo solidarietà in tutte le sedi in cui è possibile farlo, ma dovremmo forse bombardare Madrid? Neanche i catalani vorrebbero una tale intrusione nei loro affari. I serbi di Belgrado non hanno gradito essere bombardati per questioni che riguardavano solo loro.
Qualcuno pensa forse che l'arresto dei politici catalani sia indice che la Spagna sta per attaccare militarmente ad esempio l'Italia?

Questa vicenda mi ha fatto venire in mente una delle tante calunnie sul Talmud diffuse per aizzare l'anti-semitismo. La voce è che sul Talmud sarebbe scritto che "avere rapporti sessuali con bambine di tre anni è legittimo". Quale aberrazione! Bene, cosa dice il Talmud effettivamente? Il Talmud contiene anche registri storici sulla gestione dei normali affari quotidiani da parte dei rabbini. Una situazione che a volte si presentava di fronte al rabbino era un marito che voleva ripudiare la moglie, per i più svariati motivi, e questo non sconvolge nessuno. Una delle ragioni legittime (a quei tempi) per ripudiare la moglie era che la moglie non fosse vergine al momento del matrimonio. "Quando aveva tre anni è stata molestata", escogitava il marito cercando di ottenere il suo scopo. "Che sia stata molestata a tre anni di età non è un valido motivo per ripudiare la moglie", sentenziava il rabbino, spegnendo le speranze del marito.

"Se anche è stata molestata a tre anni di età non è un valido motivo per ripudiare la moglie" diventa "Il Talmud dice che è legittimo avere rapporti sessuali con bambine di tre anni".

Allo stesso modo "L'invasione dell'Ungheria non era indice che la Russia sovietica avrebbe attaccato gli americani" diventa "Rothbard ha detto che l'invasione dell'Ungheria era giusta".

Non credo che leggendo questo brano di Rothbard sia possibile equivocare quello che intendeva. C'è evidentemente una preclusione ideologica. Il peccato di Rothbard è l'avere attaccato i guerrieri della Guerra Fredda, l'idea che il nemico cattivo sta per attaccarci e nulla deve essere risparmiato per difenderci, a costo di mentire spudoratamente. Non è certo l'America che Rothbard attacca: quello che attacca è una parte di americani che promuove i propri interessi a scapito della popolazione americana e di altre popolazioni.

È un mito vecchissimo usato da governi di ogni epoca. Il "nemico esterno che ci attacca". La propaganda di cui parla Rothbard in questo brano. In tempi recenti, Saddam che aveva armi di distruzione di massa e minacciava la sicurezza degli americani. E seguono mezzo milione di morti, anche se i terroristi dell'11/9 erano perlopiù cittadini sauditi.

È stato proprio il militarismo della Guerra Fredda a far durare tanto a lungo il regime sovietico, fomentando nella popolazione la paura di essere invasi ed esacerbandone le sofferenze.

Il "nemico che ci vuole attaccare", la propensione della gente a credere in questo mito, un'idea sbagliata di patriottismo che lo equipara a credere al governo sempre e comunque: è questo ciò che da sempre alimenta tutti  i totalitarismi.

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Il 28 maggio 2018 è il Memorial Day negli Stati Uniti.  Vale la pena ricordare il più celebre discorso "What if" di Ron Paul sulla politica estera, qui il testo.

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