Ron Paul si racconta a Jeff Deist in una bellissima intervista. Un esempio di vita che dovrebbe ispirare tutti

Jeff Deist (mises.org, 30 maggio 2018)

Ron Paul headphones 750 x 516 0JEFF DEIST: Che cosa ti fa essere ottimista, e che cosa ti fa essere pessimista, in quello che vediamo negli Stati Uniti?

RON PAUL: Bé, se guardo al quadro globale includendo un lungo arco di tempo, direi che le condizioni oggi non sono così male, anche se parlo spesso di tutte le cose brutte che prevedo, di come le cose potrebbero peggiorare in termini di economia e politica estera.

Se ci pensi, sono nato nel 1935, nel mezzo della Depressione. Ricordo quando ero piccolo, ricordo quando avevo tre anni e quando avevo cinque anni e la Depressione che è durata per tutta la Seconda Guerra Mondiale; quelle condizioni me le ricordo vividamente, ma non era un gran problema per me anche se vivevamo in poco spazio e non avevamo molte scarpe e si doveva sempre fare economia.

Così, siamo passati attraverso la Depressione e la guerra mondiale. Erano tempi parecchio duri e da quell'epoca - siccome i temi legati alla guerra sono sempre stati importanti per me - ho in mente le tragedie della Seconda Guerra Mondiale. Avevamo parenti in Germania, quindi la guerra ha sempre avuto la mia attenzione. Poi abbiamo avuto la guerra in Corea. Ricordo mia madre che dice "un'altra guerra così presto?". Eravamo appena usciti da una, quindi vedeva la nuova guerra in modo molto negativo. Poi abbiamo avuto la guerra in Vietnam. Io sapevo che probabilmente sarei stato chiamato e questa è stata una delle ragioni che mi hanno spinto verso la medicina.

Quindi, quelli erano tempi piuttosto brutti. Pensa alla gente che moriva durante durante quei primi 30 o 40 anni della mia vita. Le cose non andavano molto bene neanche economicamente. In America, non era neanche permesso possedere oro.

Quelle erano condizioni esistenti che sono cambiate per il meglio in qualche grado. Filosoficamente, penso, siamo ancora complessivamente sulla strada sbagliata, nonostante alcune cose siano migliorate. Possiamo di nuovo possedere oro. Nei miei anni al Congresso ho continuamente spinto affinché il governo degli Stati Uniti riprendesse a coniare monete d'oro e discutere di politica monetaria.

Filosoficamente stiamo facendo progressi in qualche area, e per me sono molto meritevoli le istituzioni che fanno questo, come il Mises Institute e la FEE. Inoltre, naturalmente vorrei contribuire a cambiare la politica estera e continuo a lavorare in questo senso attraverso il Ron Paul Institute.

Tuttavia, dal lato negativo di tutto questo, vedo che stiamo seguendo un corso disastroso anche se gli indicatori economici ufficiali sembrano molto buoni. Praticamente tutti sono euforici e Trump è un buon cheerleader. Però c'è molta debolezza dietro ai numeri,  ci stiamo cullando nell'auto-inganno e nella speranza non sostanziata che le cose andranno bene, non ci sarà inflazione né alta disoccupazione, e non ci sarà una grande guerra. Se guardo ai semi che sono stati seminati, il futuro appare piuttosto tetro in molti modi, persino a confronto di come era quando è finita la Seconda Guerra Mondiale e la guerra in Vietnam.

Siamo nel caos in parte perché le nostre università sono ancora molto orientate al marxismo e molto anti-libertà; perciò penso che la gente che ha a cuore la libertà abbia di fronte un compito molto grande.

JD: Ne parli nel tuo libro, Swords into Ploughshares. C'è un momento particolare, un ricordo della tua infanzia durante la Depressione o la Guerra, che ti ha orientato verso l'inclinazione alla libertà?

RP: Non a quella così giovane età. Penso di aver avuto l'istinto naturale -- e ritengo che tutti abbiano un istinto naturale -- di essere un individuo. Tutti noi lo manifestiamo quando abbiamo due anni, quando abbiamo quattro anni, quando siamo teenager e si tratta sempre della spinta ad essere indipendenti, farci gli affari nostri e assumerci la responsabilità di noi stessi. Poi, tutto ciò viene tirato via da noi. Ovviamente, la disciplina è molto importante e molto utile. Però dipende da dove proviene. Se proviene da genitori saggi, penso sia una cosa molto, molto buona.

Tuttavia, non c'è stato un preciso momento in cui mi sono incamminato per la strada di essere incline alla libertà. Penso che, più o meno, sia stata una evoluzione. A quell'epoca leggevo i giornali e ascoltavo la radio, ascoltavo mio padre parlare della guerra, andavo a scuola, e tutto ciò era un bagaglio molto variegato. Poi, direi che la mia seria introduzione sia cominciata nei primi anni '60, divenni interessato a leggere l'economia austriaca. Avevo letto praticamente tutto quello che Ayn Rand aveva scritto ed è così che trovai Leonard Read e lo conobbi. Mi sembra che quando Goldwater si candidò -- quindi nel '64 -- conoscevo già tutto questo. Se leggi tutto quello di cui parlava Goldwater all'epoca, vedrai che lui buttava là qualche nome. Quindi, da qualche parte lungo la strada, incrociai il nome Hayek perché era famoso per The Road to Serfdom. Ero curioso a sufficienza da andare a vedere cosa aveva scritto.

A proposito, quando parlo agli studenti oggi, dico loro che la cosa più importante con cui lasciare l'università è voler conoscere, andare a verificare, scoprire, farsi le domande e cercare la verità e fare del proprio meglio per essere sinceri con se stessi e alla fine trovare le risposte. Sono affascinato dal fatto che nelle mie campagne negli ultimi 10-15 anni, c'è gente che ascolta poi viene da me e dice: "Ho capito. È semplicemente buon senso". Mettono insieme tutto il quadro e sembra abbiano una specie di momento in cui si accende una lampadina.

JD:  Parte di questa evoluzione ha influenzato la tua decisione di diventare un medico, non è così? Decidere che volevi aiutare la gente. Avevi visto un mondo pieno di ferite e dolore.

RP: Avevo un insegnante di biologia eccezionalmente bravo, così la materia mi affascinò e ottenni il massimo voto. Quando andai al college, in qualche modo avevo un'inclinazione verso la scienza. Mi sentivo già a mio agio in biologia, mentre gli insegnanti di chimica e fisica non erano altrettanto bravi. Quindi mi laureai in biologia, e quello in qualche modo aprì la strada, ma fino al terzo anno di college non ero sicuro. All'epoca in cui finii il college avevo preso la decisione che era quello che volevo fare e fortunatamente ho potuto farlo.  Mi considero molto fortunato per aver potuto fare il medico, in buona misura per tutta la vita e sono rimasto attaccato a quella professione molto più di quanto la gente colga, insieme al mio coinvolgimento nei temi sociali. Quando gente mi chiede: "Quando hai cominciato a essere coinvolto in politica?" rispondo che non l'ho mai fatto. "Quando hai deciso di entrare in politica?" Non l'ho mai fatto. Però volevo parlare dei temi che per me erano importanti e l veicolo era la politica perché non ero un professore di economia. Non scrivevo bei libri e cose del genere, mi ispirava di più cercare di convincere gli altri che c'era un modo differente di fare le cose. Credo di aver raccolto un po' della saggezza su come farlo da Leonard Read che aveva qualche idea speciale su come far cambiare idea alla gente. Sono finito a parlare, stupefatto di poter radunare 5000 o 10000 persone ad ascoltarmi in un campus universitario, però essere al Congresso era lo strumento che usavo per fare quell'unica cosa, far cambiare idea alla gente.

JD: So che hai già scritto su questo argomento, però raccontaci un po' del periodo del tuo servizio involontario nell'Air Force negli anni '60.

RP: Va bene. Ho sempre dato per scontato che sarei stato chiamato. Pensavo che da medico sarebbe stato meglio, perché anche solo il pensiero di gente che si spara l'un l'altro mi faceva davvero paura. In ottobre 1962 avevo quasi finito il mio secondo anno di internato per la specializzazione, e durante la crisi ricevetti la cartolina. Fortunatamente riuscii a finire l'anno, però entrai in servizio nell'Air Force nel gennaio del '63, di stanza a Kelly a San Antonio; fu per questo che andammo in Texas originariamente. All'epoca tanti facevano resistenza alla leva. C'era un medico che era finito sui giornali e io seguii la cosa con una certa attenzione, ma non è che pensai "è quello che dovrei fare". Però la resistenza alla guerra crebbe, e con il tempo in un certo senso giunsi ad ammirare quello che fece il pugile Mohammad Ali, rinunciare alla sua carriera per tre anni, perché fu arrestato e processato per aver fatto resistenza alla leva. Quello fu una cosa che mi colpì molto. Mi inquietò, ma me l'aspettavo. È quello che il governo fa alla gente.

Mi preoccupava che il mio tirocinio medico finisse scompigliato. Tuttavia fui abbastanza stoico a questo riguardo e poi mi piaceva l'idea di volare. Ricordo di aver seguito il corso di scuola medica di volo. Non era una cosa molto lunga, erano tre mesi di corso, ricordo che erano i primi anni '60 e stavano cominciando a parlare del programma spaziale. Mi dicevo, nella mia mente, chissà che non possa essere il primo medico ad andare nello spazio. Quella tecnologia mi affascinava ma ovviamente non sarebbe successo, comunque decisi che avrei cercato di ottenerne il meglio. Durante il periodo all'Air Force, avevo un sacco di tempo in più per leggere, ed era allora che i randiani erano molto attivi, così mi iscrissi a The Objectivist Newsletter e ricordo in modo specifico di aver letto “Gold and Economic Freedom” di Alan Greenspan, di cui conservai una copia per tanti anni. Era in questo che ero coinvolto. Non sono un randiano e non sono un oggettivista. Ho la mia idea critica riguardo a questo, però era una lettura stimolante.

Persino oggi, non leggo praticamente alcun romanzo, ma leggo quelli della Rand perché sono stimolanti, tuttavia lei mi ha obbligato a sbrogliare le cose perché era molto negativa sul cristianesimo e sulla generosità, almeno lei dava questa impressione per i suoi attacchi all'altruismo paragonandolo al comunismo, e questo per me non aveva senso. Ho dovuto riflettere, per sistemare il fatto che ci sia differenza, che non siano identici.

Quindi avevo più tempo libero quando ero all'Air Force e me lo godevo. Imparai a pilotare un aereo e presi la licenza, però dovevo viaggiare in tutto il mondo frequentemente come parte dei miei obblighi. Sono stato in Estremo Oriente un paio di volte, in Medio Oriente e in tutti i posti come Spagna, Italia, Turchia, Etiopia, Pakistan, il mondo intero. Sono stato in Iran, non mi sembra che andai in Iraq. In Iran, sono stato a Teheran; questo era all'epoca in cui l'Iran praticamente era nostro, con lo Scià.

Ho fatto riferimento a quei viaggi nel corso degli anni perché sono divenuti molto significativi per la mia attività sulla politica estera. Ricordo in modo particolare come non ci fosse permesso andare in Afghanistan. Eravamo in Pakistan e andammo a Peshawar, che non è troppo lontano dal Passo Khyber, che era un luogo storico e lo rimane. È proprio al confine e poi è risultato che quella era l'area dove avvenne tutto l'episodio di Bin Laden. Posso ancora visualizzare quel posto molto bene, in quanto ci sono andato in camion con i militari, per visitare il confine. Ricordo il capitano che era con noi sul camion, lui c'era già stato, che dice: "Ron, vedi quel posto lassù in alto?". Era un posto totalmente brullo su montagne rocciose. Disse: "Ci sono migliaia di persone che vivono lassù. Sono tribali, sono qui da lunghissimo tempo e non sono mai stati conquistati". Mi fece una breve lezione di storia, così quando abbiamo cominciato a pensarci in politica estera io ero in grado di visualizzare.

Dopotutto, quindi, la mia esperienza militare è risultata di qualche valore.

JD: Dopo l'Air Force torni nel Texas meridionale.  Ora hai diversi bambini. Leggi l'economia austriaca, che ti coinvolge sempre più nel tuo pensiero. All'inizio degli anni '70, vai alla University of Houston ad ascoltare Ludwig von Mises, un anno o due prima della sua morte.

RP: Penso sia stato il suo ultimo tour di conferenze. Abbiamo visto un piccolo annuncio sul giornale -- molto, molto piccolo -- sul Houston Chronicle, che diceva che avrebbe parlato alla University of Houston. C'era solo un'altra persona che conoscevo nell'intera città a sapere chi fosse Mises ed era il dottor Henry May, quindi lo chiamai, dissi "Henry, Mises viene in città. Perché non andiamo a sentirlo?". Non fu una decisione semplice per noi perché dovevamo guidare per 50 o 60 miglia e trovare dov'era la conferenza. Al tempo stesso, entrambi avevamo orari di servizio, quindi dovevamo trovare sostituti, qualcuno che venisse a prendersi cura dei nostri pazienti perché ci avrebbe preso l'intero pomeriggio. Andammo e la conferenza era sul socialismo. Avevo letto in parte il libro quindi un po' conoscevo quello di cui avrebbe parlato. Era solo per l'esperienza di sentirlo parlare ad una conferenza. Aveva un accento tedesco con molta pronuncia sibilante. Parlava inglese, naturalmente, ma l'accento era forte: lo stesso è stata un'esperienza notevole. Il luogo, era una stanza, probabilmente un'aula che poteva tenere da 40 a 50 studenti, forse più, e dovettero portare sedia extra perché la stanza era piena zeppa. Arrivammo un po' in ritardo e siamo rimasti in piedi vicino alla porta, in modo almeno da poterlo vedere, per fare questa esperienza. Non so se hai mai sentito l'altra parte della storia.

JD: Il dottor Michael Keller.

RP: Conosci la storia?

JD: Il nostro amico, il dottor Keller, era il responsabile per quell'evento, da giovane membro del consiglio studentesco della UH.

RP: Una volta conversavamo con Keller, molti anni dopo,  e gli raccontai questa storia. Disse: "Indovina un po': sono stato io a far venire Mises".  Probabilmente erano trascorsi decenni quando le nostre strade si incrociarono; è così che una singola persona, facendo qualcosa -- come far venire Mises -- può far avvenire cambiamenti. Trovo questo affascinante.

JD: Allora, quando alla fine decidesti di candidarti al Congresso, la prima volta nell'area di Houston, mi chiedo se la gente capisca quanto sia stato benefico che tu fossi conosciuto come un medico ostetrico -- è stato un asset politico per te nella corsa al Congresso.

RP: Sì, lo è stato veramente. L'abbiamo utilizzato nella nostra campagna: la nostra persona per i media fece un filmato pubblicitario che era semplicemente le luci che si accendevano a casa mia. Era buio e io uscivo e andavo alla macchina e partivo e si vede che mi allontano e poi si vede che torno a casa in piena notte. Ero uscito a far nascer un bambino. Infatti, il medico e deputato Michael Burgess era uno studente di medicina all'epoca e dopo che ci siamo conosciuti mi disse: "Ho visto il tuo spot. È stato allora che scelsi ginecologia. Gli spot erano davvero notevoli". Non aveva nulla a che fare con qualcosa che riguardasse la politica estera o lo standard aureo o qualsiasi altra cosa. Era semplicemente che ero un medico ostetrico ed era costruzione di immagine. Quando mi raccontò quella storia, dissi: "Peccato che tu sia diventato solo un ginecologo. Pensavo che diventassi un libertario". Ma probabilmente non se ne ha a male se dico così.

JD: Carol fu un po' attonita quando vincesti? Ha cambiato la tua vita, non sempre in modo molto positivo, in termini di famiglia.

RP: In realtà non fu stupita. Probabilmente ero più stupito io. Quando le dissi che mi sarei candidato, lei disse che era rischioso, pericoloso, perché avrei potuto vincere. Risposi che no, non c'era possibilità che vincessi perché non ero  coinvolto in politica. Stavo cercando di abolire Babbo Natale e facendo quello non si vince. Lei disse sì, ma tu dirai loro la verità e a loro piacerà e ti voteranno. Sì, c'è stato bisogno di qualche aggiustamento. Quella fu una delle ragioni per cui dopo quattro mandati sono tornato a fare il medico per 12 anni.

JD: Una delle grandi cose che sono venute fuori dal tuo primo periodo al Congresso è stato il tuo minority report con Lewis Lehrman su The Case for Gold.  Eri parte della Commissione di Minoranza nominata da Ronald Reagan. Reagan è qualcuno che tu hai capito bene forse più di quanto abbiano fatto molti conservatori.

RP: Oh, già. Reagan era una persona piacevole e ritengo credesse in alcune cose buone, però era anche in grado di razionalizzare molte cose non buone. Deficit spending, big government, militarismo. Non mi è piaciuto quello che ha fatto in Libia, bombardare la Libia.

Inoltre, in realtà aveva a che fare con la commissione sull'oro meno di quanto appaia, perché era passata con Carter l'anno prima che Reagan fosse presidente. Quando Reagan fu eletto e la cosa si presentò, sembrava che semplicemente l'avrebbero ignorata. Dovemmo assicuraci che la facessero e il mio coinvolgimento avvenne - questo è interessante - perché avevo parlato sull'oro.

Il più importante risultato uscito fuori dall'intera vicenda fu che legalizzammo il possesso privato di oro di nuovo per la prima volta dagli anni '30. L'articolo di legge fu inserito nella legge sull'IMF del 1983; Jesse Helms ed io lavorammo insieme in qualche modo. Però lui era più avanti di me su come farlo avvenire. Penso che fosse pronto per presentarlo al Senato, vennero da me e riuscii ad introdurlo alla Camera.

Il passaggio della legge fu un evento significativo, ma si trattava di un riflesso di quando stava succedendo nel 1979 e 1980. Voglio dire, siamo passati dall'oro non posseduto dagli americani e fissato a 35 dollari l'oncia a Bretton Woods, che fu un disastro e poi collassò;  poi abbiamo avuto un decennio di inflazione massiccia e tassi di interesse al 15% e poi 21% e la gente era molto preoccupata per il dollaro; così, lo scopo era studiare il ruolo dell'oro nel sistema monetario, domestico e internazionale.

Il nostro primo meeting fu tenuto in segreto e il Segretario al Tesoro Donald Regan era il chairman. Disse: "Dobbiamo tenerlo segreto perché non vogliamo scompigliare i mercati dell'oro e tutto quanto". E indovina chi venne in nostro soccorso? Diverse persone lo fecero, ma fu soprattutto il giornalista Bob Novak. Novak era a favore dell'oro e cominciò a scrivere di tutto ciò e ottenne che abbastanza persone cominciarono a impestarli e allora resero pubblici i documenti della commissione. Pochi a Washington volevano una discussione aperta.

JD: Molti potrebbero non sapere la storia del presidente Reagan che ti telefona per chiederti di votare per il finanziamento del programma per un bombardiere. Una telefonata difficile per un giovane deputato.

RP: Sì, ero al ristorante della Camera e penso che Carol fosse con me perché quando avevamo qualcuno di famiglia che faceva visita, un ospite, andavamo lì. Vennero da me dicendo che il presidente era al telefono. Andai a prendere la chiamata -- in effetti mi sembra che lo fece, negli anni, due volte -- ma questo era il caso sul bombardiere B-1, che era controverso, e mi chiese di votare -- io fui molto, molto gentile e lui fu molto gentile -- e io dissi mi spiace, Presidente, ma vede, ho fatto campagna elettorale contro questo e non penso di poter venire meno alla mia parola. Lui disse okay, capisco. Non ci fu alcuna insistenza o niente del genere, quando tornai lo raccontai a Carol.

JD: È una bella storia. Lui aveva modi un po' più da gentleman di Tom DeLay.

RP: DeLay era qualcosa di diverso. Lo stanno riabilitando.

JD: Sì. Hai qualche cosa da dirci sulla tua candidatura al Senato per il Texas nel 1984 contro Phil Gramm?

RP: Stavo cercando un modo garbato di uscire dal Congresso e la corsa la Senato lo era: il fatto è che avevo molti sostenitori all'epoca e non volevo insultarli semplicemente ritirandomi. Fu chiaro, molto chiaro, che i repubblicani dell'establishment non mi volevano e si coalizzarono molto rapidamente a supporto di Gramm. Non so se c'erano altri modi in cui avrei potuto farlo, ma in un certo senso desideravo andare a casa, perché nonostante tutte le storie che si sentono sui deputati all'epoca guadagnavo probabilmente 40000 o 50000 dollari all'anno e avevo figli a scuola e non era finanziariamente facile andare avanti e indietro e avere due case e mandare i figli all'università. Decisi che se volevo tornare al Congresso, c'erano delle regole che avrei dovuto seguire. Non avrei più dovuto avere figli ancora a scuola e non avrei dovuto avere debiti. Avrei dovuto avere la casa e altre proprietà finite di pagare, allora avrei potuto essere più rilassato e tornare senza dovermi preoccupare delle finanze.

JD: Quindi, quando decidesti di candidarti di nuovo nel 1996, la gente potrebbe non sapere quanto il GOP era schierato contro di te. L'allora governatore del Texas George W. Bush e il suo uomo, Karl Rove, non erano certo tuoi fan, e Newt Gingrich da speaker fece cambiare partito ai democratici per candidarsi contro di te. Quindi non ti volevano di nuovo al Congresso.

RP: Si diedero molto da fare. In effetti, quella elezione fu probabilmente la più affascinante tra quelle che ho vissuto. È tutto scritto in dettaglio perché quando decisi di candidarmi, andai a parlare alla delegazione repubblicana dicendo "Voglio candidarmi. Voglio ottenere un altro seggio repubblicano per il Texas" perché Greg Laughlan era il deputato democratico in carica nel 14° distretto dove vivevo.

Dissi che avrei potuto ottenere il seggio. Rimasi di stucco perché certo non sapevo quanto rapidamente lo avrei trasformato in un seggio repubblicano un mese più tardi. Con il sostegno dell'establishment repubblicano, Laughlan divenne un repubblicano. Era nella Commissione Ways and Means, il GOP gli promise un milione di dollari, Newt Gingrich glielo propose e lo supportò. Ci furono 56 -- comunque un numero grande, mi sembra intorno a 56 -- altri membri del Congresso che diedero soldi alla sua campagna e entrambi i Bush, senior e junior, lo appoggiarono. Non mi volevano al Congresso.

Però tutto ciò si ritorse contro di loro. A volta venivamo avvertiti quanto cercavano di far venire qualcuno per dire agli elettori locali di votare per Laughlan. Mi sembra fosse qualcuno dell'amministrazione Reagan che veniva mandato. Non ricordo il nome ora ma era stato nel governo. Così sapevamo che sarebbe venuto e avevamo un comunicato stampa pronto il giorno prima che arrivasse. La cosa che potevamo usare per questo era: "perché mandano gente da Washington per dire alla gente in Texas come votare?". Era un messaggio incisivo.

Inoltre, sapevo per certo che la ragione per cui la competizione elettorale era così interessante era che avrebbero usato il tema della droga. Io parlavo molto chiaro sulla Guerra alla Droga e come poteva qualcuno in un distretto repubblicano conservatore della Bible Belt essere contro alla Guerra alla Droga? Non si può essere eletti dicendo questo.

E guarda un po', il Partito Repubblicano spese un milione di dollari o più, che era un sacco di soldi allora, e fecero  degli spot ferocemente cattivi contro di me dicendo che avrei dato la droga ai ragazzi e ai bambini, sui trafficanti di droga e tutte queste porcherie. Non funzionò. Credo che gran parte della gente non credette che poteva essere vero perché mi conoscevano più come un medico che si prendeva cura delle pazienti e faceva nascere i bambini. Infatti, rispondemmo con uno spot che mostrava me che facevo nascere un bambino. Abbiamo dovuto controbattere a quell'immagine. Finì che vinsi le primarie.

Ma poi i democratici fecero la stessa cosa, usarono il tema della droga e alla fine giunsi alla conclusione che, mentre pensavo di essere assolutamente da solo, la gente sia molto più avanti del Congresso, perché c'erano probabilmente molte famiglie che erano state toccate dal caso di qualcuno che aveva fumato una sigaretta di marijuana ed era finito in prigione. Era orribile. La situazione è ancora brutta e succede tuttora. Credo la gente o non ci credesse o non lo considerasse un argomento contro di me oppure pensasse che la guerra alla droga fosse malvagia, e penso che il tempo abbia dimostrato che era un buon giudizio, anche se oggi abbiamo un'amministrazione che sta cercando di tornare indietro.

JD: Quindi sei tornato al Congresso: il tuo secondo periodo dal 1997 al 2012 è stato marcato da due cose che spiccano senza dubbio. Una è che eri fermamente contro alle guerre in Iraq e Afghanistan e promuovevi il non-interventismo. L'altra è che eri impegnato in politica monetaria in tira e molla prima con Alan Greenspan e in seguito  Ben Bernanke. Dicci qualcosa dei tuoi pensieri principali sul tuo secondo periodo al Congresso.

RP: È stato molto diverso rispetto alla prima volta che mi sono entrato al Congresso. C'era molta più attenzione su di me specialmente dal 2008 in poi, dalle elezioni presidenziali del 2008 a quelle del 2012. È stato proprio incredibile, e si trattava dei temi di cui mi piace parlare, come le libertà civili.

Ricordo che fui totalmente sbalordito quando arrivai all'Università del Michigan, fu dopo il dibattito tra i candidati a Detroit, e c'era un gruppo di giovani che aveva aspettato perché ero in ritardo. Arrivammo e fu allora che cominciarono a gridare "end the Fed" ed è lì che ricordo che lo facevano la prima volta. Non glielo avevo detto io. Non avevo cartelli, non mostravo il messaggio o dicevo 'chiudiamo la Fed'. Era spontaneo, così sapevo che qualcosa stava accadendo, dove la gente voleva sentire questo messaggio.

L'altro grande tema era il NDAA [National Defense Authorization Act]. Gli studenti cominciarono a parlarne e a tirare fuori l'argomento con me anche prima che diventasse un tema molto rilevante nei miei discorsi. La preoccupazione principale era l'autorità di arrestare americani e tenerli in custodia senza processo, che continua.

Sono i temi di cui mi piace parlare e uno dei miei comizi con  maggior pubblico -- forse quello con più pubblico in assoluto -- è stato al campus di Berkeley. Le cose procedevano e c'era più attenzione sulla Federal Reserve; perso che  la gente tuttora abbia un atteggiamento molto più sano sulla Federal Reserve. Ricordo di aver visto all'epoca un sondaggio condotto da una stazione televisiva in cui si chiedeva di chi era la colpa per la recessione. Mi sembra che il 66% fosse d'accordo che era colpa della Fed e pensai "wow". Questo non era sul tuo sito web o sul mio. Era sul sito web della CNBC. Pensai, bene, sta succedendo qualcosa di interessante. Non se la caveranno nei modi in cui hanno sempre fatto per tanto tempo perché avremo un'altra crisi e i media diranno che è colpa della Fed.

JD: Conoscevi Alan Greenspan abbastanza bene, lui capiva l'oro e capiva l'economia austriaca. È un uomo molto intelligente.

RP: Ci siamo incontrati qualche volta ed è stato divertente, una volta dopo un'audizione su Murray Rothbard e altre cose, perché lui conosceva Murray dal gruppo della Rand. Penso che il più affascinante piccolo aneddoto fu quando gli ricordai il suo articolo su The Objectivist Newsletter; lui doveva venire ad una delle nostre audizioni e siamo riusciti a ad avere un incontro a quattr'occhi, fare una foto e dire qualche parola. Non tutti lo facevano, ma a me interessava. Generalmente non sono il tipo per questo genere di cose, ma per Greenspan, pensai, tanto valeva approfittarne. Avevo la rivista verde originale, era The Objectivist Newsletter ed era del 1966, quando l'articolo di Greenspan fu pubblicato la prima volta. Dissi: "Riconosce questo?" Lui sapeva cos'era. "Quello che vorrei è che firmasse questo articolo per me". Prese la penna e firmò. Dissi, non vuole metterci un disclaimer? E lui: "L'ho letto recentemente e ancora sostengo tutte quelle idee". Cosa dovrei pensare di tutto ciò?

Ho cercato di farlo venire sul Liberty Report, ma non ci riesco. Pensavo che avremmo potuto divertirci un po'.

JD: Forse pagando il suo gettone da $200,000 per conferenza.

RP: Sì, probabilmente.

JD: Ricordo che c'è stato anche un tuo incontro-breakfast con Ben Bernanke quando era il chairman della Fed. Come è andata? È stato cortese o è stato gelido?

RP: È stato cortese e tedioso, in un certo senso.

JD: Non era un ideologo come Greenspan.

RP: Può essere che sia stato io a non essere abbastanza aggressivo o qualcosa del genere. Però, sarebbe stato molto più facile avere una conversazione con Volcker. Volcker lo conoscevo molto meglio di quanto conoscevo Bernanke; nei primi anni '80 ci fu una cosa chiamata Monetary Control Act di cui una parte importante apriva la porta alla Fed per monetizzare qualsiasi cosa volessero, specialmente i titoli esteri. Quindi protestai per questo, e lo feci a modo mio alla conferenza e Volcker mi invitò. Disse: "Mi farebbe piacere che ci incontrassimo per un breakfast per parlare ancora a questo proposito". Però era una sorta di cosa accademica, il modo in cui andò. Non fu una cosa come "ora ti metterò in riga". Non era il suo atteggiamento. Mi sembra fosse nel '79, molto probabilmente, o '80.

JD: Volcker dovrebbe venire nel tuo show. È uscita una sua nuova biografia.

RP: Non so se abbiamo provato a contattarlo. Era molto più favorevole all'oro di tanti altri. Il giorno del breakfast faccia a faccia, noi arriviamo e ci accolgono, l'assistente che avevo era un tale di nome Lew Rockwell; entriamo con un paio di minuti di anticipo e lo staff di Volcker è nella stanza in cui dobbiamo avere l'incontro. Stavamo chiacchierando amichevolmente quando Volcker entrò, non puoi sbagliarti perché credo sia alto quasi due metri. Quindi lui entra e io penso: "bene, devo andare a stringergli la mano e salutarlo". Non mi ha neanche guardato. Non è venuto verso di me. Va dritto dal suo staff e chiede "quanto vale l'oro oggi?" Allora pensai: "l'oro per lui è importante" e penso ancora che sia importante allo stesso modo per la gente della Fed oggi perché è la misura ultima del valore del dollaro. Possono distorcerne il prezzo, scherzarci sopra e fare battute, ma alla fine il mercato dirà la sua.  È in questo modo che Bretton Woods ha portato giù il mercato. Ma poi naturalmente abbiamo parlato e fatto l'incontro; non mi ha convertito, ma è stato molto cortese. Però quello che davvero ricordo di quel giorno è che era molto interessato a sapere il prezzo dell'oro quella mattina.

JD: Un'altra enorme e infelice serie di eventi ha segnato il tuo secondo periodo al Congresso: l'11 settembre e la susseguente invasione di Iraq e Afghanistan. Guardando indietro, raccontaci qualcosa di quel periodo terribile con Bush,  Rumsfeld, Cheney e Wolfowitz. Anche i repubblicani al Congresso erano terribili.

RP: Abbiamo cominciato questa intervista parlando di quanto fosse brutta la Depressione e poi la Seconda Guerra Mondiale, la Corea e il Vietnam. Ma poi quando osservi alcune tendenze di oggi ci sono cose che sono quasi peggio a causa della nostra aggressività. A quell'epoca, è stata una sorta di ottusità in politica economica e politica della Fed che ci ha portato alla Depressione e alla guerra. Tuttavia, c'era una dichiarazione di guerra e aveva un'apparenza più accettabile, date le circostanze. Invece nel ventunesimo secolo le cose sono cambiate radicalmente dopo l'11 settembre e gli Stati Uniti sono diventati molto più aggressivi. Dopotutto, l'11 settembre non è stato la ragione per le guerre che seguirono. È stato la scusa. Chi decide le politiche a Washington sapeva già quello che voleva fare in Medio Oriente prima ancora che accadesse l'11 settembre.

Il mio primo discorso, il mio primo sforzo per la pace, fu poco dopo il mio ritorno al Congresso. Penso fosse il 1998. C'era l'Iraq Freedom Act o come era chiamato, non ricordo esattamente, ricordo però che era solo intervento e minacce e sanzioni, quella roba lì. Quello che dissi fu che quelle misure avrebbero condotto alla guerra. Nessuno anche solo ne parlava nel '98, ma ha continuato a crescere e a diventare sempre peggio.

Era quasi incredibile che facessimo quello, e ovviamente non sono stato in grado di fermare la guerra. Pensavo di dover essere lì per aiutare a fermare le guerre, però continuano tuttora.

JD: Sentiremo gli effetti di queste guerre per decenni e decenni con tutta la gente giovane che ha subito lesioni e necessita delle cure mediche per veterani.

RP:  È orribile.

JD: E per tutto il tuo impegno, se ti ricordi, ci fa quell'articolo di David Frum sul National Review che definiva te e alcuni altri, come Pat Buchanan, “conservatori anti-patriottici". Ho sempre pensato che tu non fossi nessuna delle due cose. Penso che persino alcuni libertari ti considerino conservatore, ma in realtà non lo sei in qualunque senso politico di quella parola.

RP: No, è una parola che può ingannare. Perché alcuni potrebbero sostenere che se tecnicamente vuoi seguire l'unico giuramento che dobbiamo fare come membri del Congresso questo sia in qualche modo conservatore. Ma "conservatore"  nel senso di essere un guerrafondaio, e appoggiare la guerra alla droga, e non capire le libertà civili, questo non è un buon tipo di "conservatore". Inoltre, i conservatori oggi, non lo ammettono però amano spendere molto, spendere enormemente. Quindi no, in quel senso noi libertari non siamo conservatori. Inoltre, a Mises e altri libertari non è mai piaciuto essere chiamati conservatori. Volevano essere chiamati liberali. È questa l'insidiosità del linguaggio. Io generalmente mi tengo alla larga dalle etichette.

Mi piace dividere le cose in due parti: autoritarismo e volontarismo. Da una parte c'è la gente che pensa che la propria vita dovrebbe essere condotta in termini volontari, fintanto che si rifiuta l'aggressione. Dall'altra parte ci sono gli autoritari che pensano di sapere quello che è meglio per gli altri. Davvero lo pensano. Gente che conoscevo a Washington è convinta che le persone comuni siano idioti e quindi non possono essere responsabili di se stessi.

È per questo che non vogliono che la gente ordinaria possegga armi -- mentre il governo dovrebbe avere tutte le armi. Se provi a confrontare il numero di persone uccise da armi da fuoco del governo e di privati -- storicamente, il governo ne uccide circa il 95%. Forse è anche peggio di così, se consideri il ventesimo secolo.

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