di Pepe Escobar (RT.com, 16 gennaio 2015)

La casa reale saudita s trova oggi in tempi estremamente problematici. La rischiosa guerra sul prezzo del petrolio alla fine potrebbe ritorcersi contro di loro. La successione al re Abdullah potrebbe rivelarsi un bagno di sangue. E il protettore americano potrebbe stare meditando un ripensamento.

Cominciamo dal petrolio - e un po' di retroscena. Mentre la produzione statunitense è aumentata di un paio di milioni di barili al giorno, è andato fuori produzione petrolio in abbondanza dall'Iran, da Kirkuk in Iraq, da Libia e Siria, controbilanciando l'aumento di produzione di petrolio americano. Essenzialmente, l'economia globale - almeno per il momento - non è in cerca di ulteriore petrolio, a causa della stagnazione/recessione europea e del relativo rallentamento della Cina.

Dal 2011, l'Arabia Saudita ha inondato il mercato per compensare il calo di esportazione dall'Iran causato dalla guerra economica da parte degli Stati Uniti, ovvero le sanzioni. Riyad, inoltre, ha impedito  all'OPEC di ridurre le quote di produzione dei paesi membri. La casa reale saudita crede di poter giocare al gioco dell'attesa - poiché il petrolio da fracking, in maggior parte americano, è inesorabilmente spinto fuori mercato in quanto troppo costoso. Dopo, i sauditi credono di aumentare la loro fetta di mercato.

In parallelo, la casa reale saudita è ovviamente contenta di "punire" l'Iran e la Russia per il loro appoggio a Bashar Assad a Damasco. Inoltre, la casa reale saudita è assolutamente terrorizzata da un accordo nucleare essenzialmente tra gli Stati Uniti e l'Iran (sebbene sia tuttora un grande "se") che porterebbe a una distensione di lungo termine.

Teheran, però, rimane ribelle. La Russia non ha dato troppo peso all'attacco, perché un rublo più debole significa che le entrate dello stato rimangono invariate - quindi non ci sarà un deficit di bilancio. Per quanto riguarda l'Asia orientale assetata di petrolio - incluso il maggior cliente dei sauditi, la Cina - si stanno godendo il ben di Dio finché dura.

I prezzi del petrolio rimarranno al momento molto bassi. Questa settimana la Goldman Sachs ha abbassato le sue previsioni per il 2015 su WTI e Brent Crude; il Brent è stato abbassato da $83.75 a $50.40 al barile, il WTI da $73.75 a $47.15 al barile. I prezzi al barile potrebbero calare a breve fino a $42 e $40.50. Ma a quel punto ci sarà un'inevitabile "ripresa a U".

Nomura scommette che il petrolio sarà di nuovo a $80 al barile entro la fine del 2015.

Punire la Russia, costi quel che costi

Il presidente americano Barack Obama, in questa intervista, ha ammesso apertamente di aver voluto "disturbi" nel "prezzo del petrolio" perché aveva immaginato che il presidente russo Vladimir Putin avrebbe avuto "enormi difficoltà a gestire questa situazione". Questo chiude la questione sulla volontà di colpire la Russia e sulla collusione USA-Arabia, dopo che il Segretario di Stato John Kerry a Gedda aveva dato il benestare al re Abdullah affinché simultaneamente aumentasse la produzione di petrolio e applicasse una strategia di taglio dei prezzi.

E' irrilevante se Kerry abbia tradito l'industria americana dello "shale gas" per ignoranza o per incompetenza - probabilmente per entrambe le cose. Quello che conta è che se fosse ordinato alla casa reale saudita di tirarsi indietro, essa lo dovrebbe fare immediatamente; l'"Impero del Caos" domina i suoi vassalli nel Golfo Persico, i quali non possono neanche respirare senza un via libera almeno implicito dagli Stati Uniti.

Molto più preoccupante è che l'attuale banda a Washington non sembra stia difendendo gli interessi industriali nazionali degli Stati Uniti. Come se mostruosi deficit commerciali dovuti alla manipolazione della moneta non bastassero, ora praticamente l'intera industria americana del petrolio corre il rischio di essere distrutta da un racket del prezzo del petrolio. Qualsiasi analista sano di mente lo interpreterebbe come contrario agli interessi nazionali degli Stati Uniti.

Comunque sia, l'accordo di Riyad è stato musica per le orecchie della casa reale saudita. La loro politica ufficiale è sempre stata quella di colpire lo sviluppo di tutti i potenziali sostituti del petrolio, incluso lo "shale gas" americano. Quindi perché non  deprimere i prezzi del petrolio e tenerli bassi abbastanza a lungo da rendere gli investimenti in "shale gas" un'idea folle?

Però c'è un problema enorme. La casa reale saudita semplicemente non otterrà abbastanza denaro dalla vendita di petrolio da coprire il suo budget annuale, se il petrolio è sotto ai 90 dollari al barile. Per quanto sia attraente colpire l'Iran e la Russia, colpire i loro stessi portafogli d'oro non lo è.

Le prospettive di lungo termine indicano chiaramente prezzi del petrolio più alti. Il petrolio può essere rimpiazzato in molte situazioni: ma non c'è un sostituto - per ora - per il motore a combustione interna. Quindi qualsiasi cosa l'OPEC stia facendo, in realtà sta conservando la domanda per il petrolio rispetto ai suoi sostituti, e massimizzando il ritorno su una risorsa limitata. Morale della favola: sì, è predatory pricing.

Di nuovo, c'è un fattore di complicazione immenso e cruciale. Può essere che la casa reale saudita e altri produttori del Golfo Persico stiano inondando il mercato - ma sono Goldman Sachs, JP Morgan e Citigroup a fare lo sporco lavoro nell'ombra tramite la vendita di influenti quantità di future derivati.

I prezzi del petrolio sono oggetto di un racket così impenetrabile che solo le maggiori banche di affari nel petrolio come Goldman Sachs o Morgan Stanley hanno un'idea di chi sta comprando e chi sta vendendo future sul petrolio o contratti derivati - ciò che è chiamato "petrolio di carta". Le regole non dette di questo casinò multimiliardario indicano "bolla speculativa" - con un po' di aiuto da quegli amici ai pozzi di petrolio nel Golfo. Con la compravendita di future sul petrolio e le due maggiori borse di Londra e New York che monopolizzano i contratti sui future, l'OPEC in realtà non controlla più i prezzi del petrolio; è Wall Street che lo fa. Questo è il vero segreto. La casa reale saudita può trastullarsi con l'idea di essere in controllo. Non lo è.

Quel matrimonio in bilico

Come se tutto ciò non fosse sufficientemente caotico, la successione al trono si è portata in primo piano. Il re Abdullah, 91 anni, ha avuto una diagnosi di polmonite, è stato ricoverato in ospedale a Riyad il giorno di San Silvestro, e gli è stato messo un respiratore. Potrebbe - o forse no, essendo questa la riservatissima casa reale saudita - avere un cancro ai polmoni. Non ci sarà a lungo. Il fatto che sia considerato un "riformista progressista" dice tutto quello che c'è da sapere sull'Arabia Saudita. "Libertà di espressione" ? State scherzando, vero?

Allora chi sarà il prossimo re? Il primo nella linea di successione dovrebbe essere il Principe Reale Salman, 79 anni, ministro della Difesa. E' stato governatore della provincia di Riyad per ben 48 anni. Fu questo falco certificato a supervisionare le "donazioni" private ai mujaheddin afghani nella jihad degli anni '80, in tandem con i più radicali predicatori Wahabiti. Uno dei figli di Salman è il governatore di Medina, Principe Faisal. Non c'è bisogno di dirlo, la famiglia di Salman controlla praticamente tutti i media sauditi.

Per accedere al Sacro Graal, Salman deve dimostrare di essere idoneo. Non è scontato, e in più Abdullah, un osso molto duro da schiacciare, è già sopravvissuto a due dei suoi stessi principi reali, Sultan e Nayef. Le prospettive di Salman sembrano poco rosee: è stato sottoposto ad interventi alla spina dorsale, ha avuto un infarto e potrebbe essere affetto da - senti un po' - demenza.

Non promette bene neanche il fatto che quando Salman è stato promosso a vice ministro della Difesa, presto gli è stata mostrata la porta - in quanto si era fatto coinvolgere nell'atroce gioco jihadista di Bandar bin Sultan in Siria.

Comunque, Salman ha già un successore; il vice Primo Ministro Principe Muqrin, già governatore della provincia di Medina e poi a capo dell'intelligence saudita. Muqrin è molto vicino a Abdullah. Muqrin sembra sia l'ultimo figlio "abile" di Ibn Saud; "abile" qui è una figura retorica. Il vero problema comincia però quando Muqrin diventa Principe Reale. Perché allora il prossimo in ordine successione sarà scelto tra i nipoti di Ibn Saud.

Entrano in scena i cosiddetti principi di terza generazione - un gruppo abbastanza indecente. Il più potente tra loro è niente meno che Mitab bin Abdullah, 62 anni, il figlio del re; proteste per nepotismo sono continue. Come un signore della guerra,, Mitab controlla la propria polizia nella Guardia Nazionale. Delle fonti mi hanno detto che Riyad è piena di voci secondo le quali Abdullah e Muqrin avrebbero fatto un patto: Abdullah fa nominare re Muqrin e Mugrin nomina Mitab principe reale. Di nuovo, trattandosi della "riservata" famiglia saudita, vale il mantra di Hollywood: nessuno sa niente.

I figli di Abdullah sono dappertutto: governatore della Mecca, vice governatore di Riyad, vice ministro degli esteri, presidente della Luna Rossa saudita. Lo stesso vale per i figli di Salman. Ma poi c'è Muhammad bin Nayif, figlio del defunto Principe Reale Nayif, che è diventato Ministro dell'Interno nel 2012; è il responsabile della sicurezza interna, un campo molto delicato, che include la repressione di praticamente tutto. E' il principale concorrente d Mitab tra i principi di terza generazione.

Quindi dimenticate l' "unità" della famiglia quando è in gioco un bottino così succoso quale una enorme fattoria dl petrolio che impersona un intero paese. E tuttavia chiunque erediti il bottino si troverà davanti l'abisso e la stessa litania di afflizioni: disoccupazione in aumento, abissale disparità, orrende divisioni settarie; jihadismo in tutte le sue forme - non ultimo il falso Califfato di Ibrahim in "Siraq", che già minaccia di marciare verso la Mecca e Medina; l'indicibilmente medievale Consiglio degli Ulema (quelli che amano frustare/amputare/decapitare); totale dipendenza dal petrolio; sconfinata paranoia verso l'Iran; e una traballante relazione con la Voce del Padrone, gli Stati Uniti.

Quando chiameranno la cavalleria?

E così succede che i veri "Masters of the Universe’  nell'asse Washington-New York stiano dibattendo esattamente sull'erosione di questa relazione. Io ritengo che ogni promessa fatta da Kerry riguardo alla "collaborazione" della casa reale saudita per danneggiare l'economia russa in realtà non significhi nulla.

Brontolii dal territorio dei ‘Masters of the Universe’ indicano che la CIA prima o poi potrebbe muoversi contro la casa reale saudita. In questo caso l'unico modo per la casa reale di assicurarsi la sopravvivenza sarebbe diventare amica di niente meno che Mosca. Ciò rende evidente, ancora una volta, l'attuale corso suicida della casa reale saudita nel cercare di danneggiare l'economia russa.

Siccome tutti sono inevitabilmente outsider rispetto alla totalmente impenetrabile dinastia saudita, c'è una corrente di analisi che giura che i sauditi sanno cosa stanno facendo. Non necessariamente. Sembra che la casa reale saudita creda che accontentare i neocon americani migliorerà il suo status a Washington. Semplicemente questo non accadrà. I neocon sono ancora ossessionati dal fatto che i sauditi hanno aiutato il Pakistan a sviluppare missili nucleari; alcuni di questi - di nuovo, si tratta di speculazioni - potrebbero persino finire installati all'interno dell'Arabia Saudita per "scopi difensivi" contro la mitica "minaccia" iraniana.

Un grande casino? Questo termine neanche comincia a descrivere la situazione. Una cosa è certa: a qualsiasi gioco Riyad pensi di stare giocando, farebbe meglio a cominciare a parlare seriamente con Mosca. Ma, per favore, non mandate Bandar Bush (ovvero Bandar bin Sultan, il direttore della Intelligence nazionale saudita) in un'altra missione russa.

Pepe Escobar è un corrispondente per Asia Times/Hong Kong, un analista per RT e TomDispatch, e un frequente collaboratore per siti web e programmi radio, dagli Stati Uniti all'oriente asiatico.
Il suo ultimo libro è Empire of Chaos. Su Facebook
.

-----

Nota [MM]
Ho tradotto questa analisi sincera e rivelatrice di Pepe Escobar (per quanto un po' irruenta e in qualche caso un po' confusa) perché, al di là dei fatti molto importanti di cui si parla, mi è sembrato che ben dipingesse l'assurdo turbinio a cui generalmente assistiamo passivamente.

You have no rights to post comments