Il dottor Dalrymple riflette sulla natura umana e su cosa c'è dietro all'utopia di "pari opportunità"

Theodore Dalrymple (Takimag, 19 agosto 2017 - traduzione il 23 agosto)

I miei migliori libri sono quelli che non ho scritto. Non esistono neanche ad uno stadio larvale, però so di sicuro che sono profondi e originali nel contenuto e perfetti nella forma. Sono molto orgoglioso di loro, il solo pensarci mi mette le ali ai piedi. Giustificano il mio aver vissuto. E' davvero un peccato (per il mondo, si intende) che non vivrò abbastanza a lungo da scriverli. Per dirla con Nerone, quale artista muore con me!

Molti di noi vanno nella tomba pensando che, se solo avessero avuto abbastanza tempo, allora avrebbero trionfato in qualche modo o nell'altro. Diversi  miei pazienti hanno affermato che, non fosse stato per qualche insignificante lesione che hanno subito per colpa di qualcun altro, la loro carriera sarebbe decollata, come appunto stava per fare prima di subire la lesione. Tutto ciò era assurdo, perché - considerando oggettivamente - non c'era alcuna indicazione che essi avrebbero mai fatto grandi cose. In generale, trentottenni sovrappeso non diventano atleti di fama mondiale, né si diventa pianisti da concerto cominciando a suonare il piano a cinquant'anni. Però i miei pazienti avrebbero preteso indennizzi come se le loro nuove carriere fossero fatti stabiliti, invece che mera fantasia.

Credevano realmente a quanto affermavano? La mente umana, come sono sicuro molta gente abbia già osservato, è uno strumento complesso e lavora a diversi livelli allo stesso tempo. Si può essere sinceri e truffaldini allo stesso tempo. Non è necessario essere uno psicoanalista per credere alla realtà e diffusione dell'auto-inganno; anzi, è necessario essere una specie di Candido per non credervi e per essere oltretutto totalmente impenetrabili all'auto-esame.

La macchina fotografica, si dice, non mente; però quando si tratta di me non solo mente ma è una bugiarda patologica, incapace di dire la verità. Chi è quella creatura che fotografa quando è puntata verso di me? Certamente non sono io. Ogni macchina fotografica del mondo, sembra, è stata programmata per rendermi più calvo, con i capelli più bianchi e con più rughe di quanto io sia. Chi ha fatto questo, o perché, non lo so dire, ma le prove per me sono evidenti da vedere, anche se non lo sono per tutti gli altri.

Abbiamo bisogno delle nostre illusioni, altrimenti non potremmo affrontare il mondo; o forse potrei dire che abbiamo bisogno di illusioni come genere, non necessariamente di quelle che abbiamo. Ci sono illusioni, senza dubbio, che ci intralciano o ci danneggiano, ma ce ne sono altre che ci sostengono. L'essere umano, disse Eliot (che usò il termine humankind prima che diventasse politicamente corretto), non può sopportare molta realtà -- specialmente su se stesso.

L'illusione secondo cui si avrebbe avuto successo non fosse stato per circostanze malevole è un'illusione molto necessaria per un sacco di gente, perché non c'è mondo più spietato o crudele di una pura e perfettamente funzionante meritocrazia. Un tale sistema metterebbe tutti, o almeno quasi tutti, di fronte alla propria mediocrità, perché i mediocri sono per definizione in maggioranza. E chi non è mediocre in confronto a Mozart? In una pura meritocrazia, ognuno scoprirebbe il proprio vero, totalmente meritato livello; è un mero pregiudizio l'idea che, se ci fosse giustizia nel mondo, ognuno starebbe meglio. In una pura meritocrazia, non ci sarebbe alcuna difesa paranoica contro la propria stessa nullità --  la si potrebbe addossare solo a se stessi e a nessun altro. È per questo che il concetto di pari opportunità, oltre ad implicare una sorta di mondo alla Brave New World, è così profondamente feroce, è per questo che così tanta gente che lo promuove è ovviamente imbevuta d'odio. Non vogliono servire l'umanità, bensì torturarla.

Naturalmente, sanno anche che il loro ideale non è raggiungibile e nemmeno avvicinabile. A meno di non considerare clonazioni e incubatrici, è a malapena concepibile. E neppure vogliono sinceramente che il loro ideale si realizzi, perché, se il loro compito fosse compiuto, non avrebbero più alcun ruolo provvidenziale da giocare e dovrebbero sprofondare indietro nella grande massa dell'umanità. No: criticano il mondo dal punto di vista di un ideale impossibile non per migliorare il mondo, ma per fomentare risentimento, quell'equivalente emotivo della macchina a moto perpetuo. Quelli che provano risentimento sono facili da manipolare e disponibili a conferire potere a chi offre liberazione dalle presunte cause della loro angoscia. Quindi è importante mantenere l'ineguaglianza di opportunità fermamente davanti alle menti degli uomini; importante e anche facile, perché è sempre vero che se le cose fossero state diverse, le cose sarebbero state diverse. Sebbene ci sia ingiunto -- sempre meno frequentemente, di sicuro -- di contare le nostre benedizioni, è molto più facile e più gratificante contare le nostre sventure. Si accorda con il nostro desiderio di spiegare, o dare una giustificazione, al nostro fallimento. Ci sono interi dipartimenti universitari creati per formare gli studenti a non fare altro. Il fallimento di altri è una preziosa opportunità di carriera per alcuni.

Andando all'altro estremo, tuttavia, la convinzione che si possa essere liberati da qualsiasi circostanza restrittiva pur senza l'instaurazione di pari opportunità, quello che potremmo chiamare yes-we-cannery, è anch'essa una ricetta che porta alla massima infelicità. L'ottimismo consapevole (nella maggior parte dei casi) finisce per portare a delusione, sconfitta, amarezza. È per questo che la letteratura americana, a parte il grottesco Walt Whitman, è generalmente tragica, perché il paese è così risolutamente ottimista. I sentieri di gloria non portano che alla tomba.

Grazie al cielo ho superato il mio risentimento -- o, meglio, l'avrei fatto non fosse stato per tutte quelle interruzioni che costantemente devo subire, e per la necessità di guadagnarmi da vivere. Devo lavorare tre mesi all'anno e anche più solo per guadagnare abbastanza da pagare la mia casa, l'assicurazione della macchina e le tasse locali. Non c'è da stupirsi se i miei migliori libri sono quelli che non ho scritto; non è colpa mia. Il mondo complotta contro di me, impedendomi di fare il mio lavoro migliore, a suo enorme discapito. Sono contento in un certo senso, al mondo gli sta proprio bene.

 

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