blog post di Ryan McMaken su LewRockwell.com, 11 luglio 2014

[Nel suo libro] Piketty non fa altro che rimaneggiare tutti i vecchi miti e pregiudizi sul capitalismo descritti da Mises nel suo grande piccolo libro, The Anti-Capitalistic Mentality. Andrew Wilson parla di Mises, Piketty e di ineguaglianza di reddito sul Mises Daily di oggi.

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[Nota: Il seguito consiste nella traduzione di alcuni brani del post di Andrew Wilson citato sopra (il cui titolo è Thomas Piketty and Mises' '"The Anticapitalist Mentality"). Mi premeva mettere in evidenza il libro di Mises, traducendo le frasi sul perché la gente "detesta" il capitalismo, più che la critica a Piketty (comunque si può leggerla in inglese!). Del successo del libro di Piketty si è parlato anche in Il libertarismo è non-cattolico? - MM]

[...] The Anti-Capitalistic Mentality, pubblicato nel 1954, disponibile online per meno di 10 dollari, merita di essere letto anche oggi. [...] E' un classico che dice coraggiosamente quello che ancora c'è bisogno di dire. Offre una confutazione robusta al punto di vista distorto sul capitalismo che si trova (per citare il caso più recente e cospicuo) in Capital in the Twenty-First Century di Thomas Piketty.

In The Anti-Capitalistic Mentality, Mises si pone questa domanda: Perché così tanta gente "detesta" il capitalismo? Egli dà una triplice risposta.

Il primo fattore è la semplice ignoranza. Pochi attribuiscono al capitalismo il fatto di "godere di amenità che per le generazioni precedenti erano inaccessibili persino alla gente più ricca". Telefoni, macchine, acciaierie e migliaia di altri avanzamenti sono tutti "successi del liberalismo classico, libero commercio, laissez faire e capitale” - la forza trainante essendo la ricerca del profitto e l'allocazione di capitale per lo sviluppo di strumenti e macchine migliori per la creazione di nuovi prodotti. Portate via il capitalismo e spazzerete via la maggior parte, se non tutto, del progresso straordinario negli standard di vita e nella riduzione della povertà che è stato fatto a partire dall'alba della Rivoluzione Industriale.

Il secondo fattore è l'invidia, il mostro dagli occhi verdi, che porta molta gente a ritenere di aver avuto la parte corta del bastoncino. Come osserva Mises: "Il capitalismo garantisce ad ognuno l'opportunità di raggiungere le posizioni più desiderabili, le quali, naturalmente, possono essere raggiunte solo da pochi .... Qualsiasi cosa un uomo possa avere guadagnato per se stesso, ci sono sempre ai suoi occhi altri che l'hanno sorpassato ... Questo è l'atteggiamento del vagabondo verso l'uomo con un lavoro regolare, dell'operaio verso il caposquadra, del dirigente verso il vice-presidente, del vice-presidente verso il presidente, dell'uomo che possiede trecentomila dollari verso il milionario, e così via".

Infine, il terzo fattore è l'incessante denigrazione del capitalismo da parte di chi cerca di limitarlo o distruggerlo. Come Mises nota, i critici e gli anti-capitalisti vanno avanti a raccontare e riraccontare la stessa storia, dicendo che "il capitalismo è un sistema che fa soffrire la masse terribilmente, e più il capitalismo progredisce, avvicinandosi alla piena maturità, più l'immensa maggioranza si impoverisce".

Ed è davvero questa la storia che Piketty racconta nel suo libro, che ha scalato le classifiche dei libri più venduti sia del New York Times che di Amazon. L'ineguaglianza rappresenta il grande tema caratterizzante del ventunesimo secolo?  Se siete d'accordo con Piketty, sì. Egli sostiene che le disparità di reddito e ricchezza stanno aumentando vertiginosamente, mettendo chi ha contro chi non ha. Senza tasse "di confisca" per creare un nuovo equilibrio sociale ed economico, egli mette in guardia, le democrazie di oggi potrebbero infine collassare, portandosi giù con sé il capitalismo e i capitalisti.

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E' ironico che i più ardenti sostenitori del potere dello stato siano quelli che più si preoccupano dell'ineguaglianza. Davvero non vogliono nulla di più di (parafrasando Churchill)  fette uguali di miseria?