In preda a manie di persecuzione, i due vice presidenti del Consiglio si stanno scagliando da giorni contro tutti coloro che aggiornano al ribasso le stime di crescita del Pil italiano per il 2019.

Posto, ovviamente, che nessun modello può prevedere esattamente il futuro, ancorché spesso gli econometristi ne utilizzino gli output con una dose massiccia di sicumera, sentire campioni dell’effetto Dunning-Kruger come Giggino Di Maio e Matteo Salvini discettare su tutto lo scibile umano non rende le previsioni governative più credibili di quelle della Banca d’Italia o del FMI.

Da ultimo, però, si è aggiunto al coro dei suoi due capi il tecnico Giovanni Tria, secondo il quale sbaglia il FMI (al pari di altri) a sostenere che “le politiche espansive si attuano quando c’è recessione”, mentre nei periodi di (seppur modesta) crescita si dovrebbe cercare di sistemare il bilancio. Per Tria “non si vede che accumulando i mezzi per reagire si crea la crisi”.

Si potrebbe criticare il mainstream del FMI sostenendo che sarebbe meglio evitare di cercare di guidare l’economia con le leve fiscali e monetarie, ma in questa sede mi interessa ribadire un tic ricorrente tra i keynesiani sgangherati che (praticamente in ogni stagione) governano in Italia: il tempo per sistemare il bilancio non è mai maturo.

Quando le cose vanno male, bisogna porre in essere misure espansive per sostenere, ovviamente in deficit, la domanda (questa è anche la posizione moderatamente keynesiana del mainstream, FMI incluso); quando le cose vanno meno male, bisogna rafforzare la domanda, sempre in deficit; infine, quando le cose vanno bene, guai a tarpare le ali alla crescita con manovre di contenimento del deficit.

In sostanza, il momento ideale per sistemare i conti è sempre domani. Ma, come sosteneva Henry Hazlitt, “oggi è già il domani che ieri i cattivi economisti ci invitavano a ignorare”.

E di cattivi economisti l’Italia non è a corto.

(Matteo Corsini)

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