Apprendo dall’ANSA che il Climate Leadership Council, che vanta fra i suoi sostenitori Shell, BP, ConocoPhillips e Unilever, sta chiedendo a gran voce l’introduzione di una “carbon tax” per tassare le emissioni e distribuire il ricavato fra i cittadini.

Già il fatto che ci siano delle oil companies tra i sostenitori dell’iniziativa dovrebbe far capire a che livello di crony capitalism siamo arrivati in questo inizio di 2019. Dubito che lo facciano per perdere quattrini.

La proposta è di quelle che richiamano adesioni bipartisan, perché più politically correct non potrebbe essere. Quindi ecco che quattro ex presidenti della Federal Reserve sono a favore: Janet Yellen, Ben Bernanke, Alan Greenspan e Paul Volcker. Assieme a loro niente meno che 27 premi Nobel e 15 ex presidenti del Consiglio degli Advisor Economici della Casa Bianca.

Greg Mankiw, già presidente del consiglio degli advisor economici della Casa Bianca di George W. Bush, si è spinto perfino ad affermare che la proposta “carbon tax” è la “risposta del libero mercato al cambiamento climatico”.

Qui siamo ovviamente in presenza di un ossimoro o, se si preferisce, di un esercizio di neolingua orwelliana. Il mercato, soprattutto se libero, non fornisce mai come risposta una tassa. Si limita a fornire dei prezzi che risultano dagli scambi volontari posti in essere da una moltitudine di soggetti.

Le tasse di scopo, come la “carbon tax”, servono a indirizzare l’esito di mercato in base al volere politico, con un approccio (per me insopportabilmente) paternalistico.

La risposta di libero mercato arriverebbe tramite la formazione dei prezzi. Ma in primo luogo sarebbe necessaria una corretta definizione e tutela dei diritti di proprietà. In tal senso credo sarebbe utile a tutti questi signori leggere “Law, Property Rights and Air Pollution” di Murray Rothbard.

Ovviamente nessuno lo farà. Loro hanno vinto il Nobel o presieduto la Fed…

(Matteo Corsini)

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