Che l’Italia non sia un Paese in cui il diritto di proprietà e la libertà contrattuale sono rispettati non è una novità. Che assumere personale strappandolo alla concorrenza sia addirittura oggetto di sentenza di condanna per concorrenza sleale a me pare allucinante. Ma è quanto accaduto (lo apprendo dal Sole 24Ore) di recente.

Assumere personale strategico e altamente formato da un’azienda dello stesso settore per impiegarlo nello svolgimento di mansioni uguali o anche assimilabili è concorrenza sleale: lo stabilisce il tribunale di Macerata (ordinanza nr. 2153 del 30.7.2018 e procedimento nr. 2443 del 24 ottobre 2018), accogliendo il ricorso d’urgenza presentato da Tigamaro, azienda marchigiana della pelletteria, che lamentava un’operazione di storno illecito di dipendenti, con la modalità del cherry picking.”

 

Contento l’imprenditore che ha vinto la causa:

 

Una sentenza esemplare dalla quale io, imprenditore, che investo quotidianamente in formazione interna e innovazione industriale, mi sono sentito tutelato e ulteriormente motivato a spendermi per la tutela del saper fare artigiano.”

 

Nulla vieta, a quanto mi risulta, di inserire clausole contrattuali che prevedano il pagamento di una penale da parte del dipendente nel caso si dimetta prima di una determinata scadenza. Clausole che, solitamente, prevedono una contropartita economica, ma che garantiscono al datore di lavoro un indennizzo nel caso di uscita anticipata del dipendente.

 

Se, al contrario, non si mettono clausole siffatte e si chiede a un giudice che imponga alle imprese concorrenti il divieto di assumere i propri dipendenti, si riesce al tempo stesso a limitare la concorrenza (altro che concorrenza sleale) e la libertà contrattuale.

 

Roba che in Italia non fa quasi notizia e non sconcerta nessuno, ahimè.

(Matteo Corsini)

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