In un intervento pubblicato sul Sole 24Ore, Paolo Savona, ministro per gli Affari europei, fornisce alcuni elementi in più in merito al suo piano di investimenti per 50 miliardi di euro. Roba tecnica, all’apparenza.

Non esiste un moltiplicatore della spesa degli investimenti, ma più moltiplicatori secondo la spesa effettuata. Un moltiplicatore medio, quello di cui si parla, ha un significato se la distribuzione di frequenza delle osservazioni è normale, una condizione che in Italia è raramente riscontrabile per qualsiasi variabile economica osservata. Il concetto è comprensibile se si considera che una cosa è la spesa e un’altra l’effetto sul valore aggiunto, ossia sul Pil. Se la spesa ha un forte contenuto di lavoro e (per semplicità) di capitale, ossia un elevato valore aggiunto rispetto agli input, il moltiplicatore sarà più elevato.”

 

A parte il fatto che più che di moltiplicatore medio sarebbe meglio parlare di quello mediano, credo che non ci si debba fare abbagliare dall’apparente scientificità della prosa di Savona. Perché con la storia del moltiplicatore che guarda agli effetti, per lo più una tantum, sul Pil e distrattamente non prende in considerazione gli effetti duraturi sul debito, in Italia siamo arrivati a un rapporto tra debito e Pil superiore al 130%, che non è una manciata di noccioline.

 

La trasformazione delle pietre in pane, promessa da ogni buon keynesiano (qualcuno potrebbe dire che tale promessa è fatta anche da ogni buon cialtrone: si tenga presente che le due cose non si escludono a vicenda) da almeno 80 anni, purtroppo continua a non materializzarsi.

Quanto alla non normalità, nel caso dell’Italia direi che il concetto va ben oltre a quello statistico di distribuzione di frequenza delle osservazioni di questa o quella variabile.

 

Ma ecco la svolta di Savona rispetto al dogma degli investimenti pubblici.

Non esistono inoltre solo gli investimenti pubblici; anzi la mia valutazione è che se puntassimo solo su questi il processo si avvierebbe con troppa lentezza rispetto ai tempi che ci assegnano i mercati e Bruxelles.  Esistono anche investimenti privati prontamente mobilitabili ed è su questi che si deve puntare. Essi hanno un impatto nullo sui parametri fiscali perché si realizzerebbero con risorse finanziarie procurate dalle stesse imprese.”

 

Non si pensi che Savona abbia in mente qualcosa di particolarmente liberale.

 

L’Eni ha pronto un piano di 22 miliardi che i massimi vertici assicurano essere pronto a partire, ossia è cantierabile. Leggo sulla stampa che anche Terna avrebbe un piano da 12 miliardi. Penso che anche l’Enel e Leonardo, per citare alcune imprese, li abbiano. Si tratta di verificare quanti di questi siano già inclusi nelle previsioni per la crescita reale tendenziale del 2019 prevista nell’1% e quanti possono già partire dal 2018 per avere effetti rapidi concreti.”

Posto che si tratterebbe di verificare i numeri, anche se fossero quelli indicati da Savona non è ipotizzabile che gli investimenti sarebbero fatti tutti in Italia e tutti nel 2019, o addirittura nel 2018. Si noti poi il riferimento di Savona a società partecipate dallo Stato, che però hanno anche molti altri azionisti (forse un dettaglio insignificante per lui).

 

Ma ecco il bello (se così si vuol dire):

 

Una cosa è certa. Il Governo non può presentare un bilancio pubblico per il 2019 basato sull’ipotesi di un peggioramento del saggio reale di crescita rispetto a quello già basso previsto in precedenza; ossia accettare un peggioramento delle condizioni economiche dell’Italia. Supponendo che l’effetto negativo della de-globalizzazione in atto sia nell’ordine del mezzo punto percentuale stimato dai principali centri ricerca nazionali e sovranazionali, portare il saggio di crescita del 2019 al 2% sarebbe un obiettivo alla portata della nostra politica economica. Con l’1,5% di crescita dell’inflazione, la crescita nominale del Pil sarebbe del 3,5% e consentirebbe di rispettare dinamicamente sia il parametro concordato del disavanzo di bilancio pubblico, sia una riduzione del rapporto debito pubblico/Pil. Il mercato e le società di rating aspettano di sapere che cosa accadrà su queste due variabili e hanno la capacità di valutare adeguatamente calcoli come quelli qui proposti. Tutto ciò in linea con la più elementare prescrizione della teoria della politica economica di cui sembra si siano perdute le tracce a favore di una passiva accettazione delle avversità che incontra lo sviluppo.”

 

In sostanza, bisognerebbe gettare il cuore oltre l’ostacolo e prevedere una crescita nominale del Pil pari al 3.5%, superando per spudoratezza tutti i governi precedenti, poggiando sull’effetto miracoloso di investimenti che neppure potrebbero essere realizzati tutti subito.

 

Posto che, considerando l’erosione dell’avanzo primario e la crescita degli interessi sul debito (conseguenza, tra le altre cose, delle parole di diversi esponenti del governo), è improbabile che ci sarebbe una seppur marginale riduzione del rapporto tra debito e Pil anche se le cose andassero come previsto da Savona quanto a crescita del Pil, e proprio perché il “mercato e le società di ratinghanno la capacità di valutare adeguatamente calcoli come quelli qui proposti”, credo che non ci sia da essere ottimisti.

Quanto alla “più elementare prescrizione della teoria della politica economica di cui sembra si siano perdute le tracce”, purtroppo le tracce delle teorie sbagliate in Italia non sono mai state perdute.

(Matteo Corsini)

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