Da quando si è insediato il governo pentaleghista, il copione prevede più o meno quotidianamente che il ministro dell’Economia cerchi di rassicurare sul fatto che i conti pubblici non saranno (ulteriormente) sfasciati con la prossima legge di bilancio, mentre gli azionisti di maggioranza, ossia Luigi Di Maio e Matteo Salvini, dicono alternativamente che Tria ha ragione, ma che si riuscirà a fare quanto promesso, oppure che se sarà necessario fare più deficit, sarà fatto.

Piaccia o non piaccia, l’incertezza sull’esito di questo tira e molla spiega in gran parte perché l’Italia paghi non solo oltre 100 punti base di spread in più sui titoli decennali tedeschi rispetto a prima della formazione di questa maggioranza, ma debba pagare ben più di Spagna e Portogallo per raccogliere soldi sul mercato.

Tra settembre e ottobre, con la nota di aggiornamento al DEF e la bozza di legge di bilancio, i nodi dovrebbero arrivare al pettine. A quel punto, o i due vicepresidenti del Consiglio perderanno la faccia, oppure potrebbero esserci nuove pesanti tensioni sul malandato debito pubblico.

Di sicuro non potranno avere un esito positivo delle elucubrazioni come quella di Di Maio, il quale ha affermato che stare nei limiti di bilancio significa “individuare le priorità”, salvo poi aggiungere che l’individuazione delle priorità dovrebbe avvenire così:

Si prende la Legge di Bilancio e si dice: il reddito di cittadinanza è la priorità e ci sono i soldi.”

In realtà i soldi non ci sono, se non nella fantasia (o nella ciarlataneria) dello statista di Pomigliano. E proprio perché i soldi non ci sono, occorre prenderli a prestito, e coloro i quali si suppone debbano prestarli non sembrano condividere l’ottimismo degli azionisti di maggioranza del governo in merito agli effetti miracolosi dei provvedimenti da loro promessi.

In sostanza, pare che chi si suppone dovrebbe mettere i soldi non condivida il keynesismo surreale di questi signori.

Come dar loro torto…

(Matteo Corsini)