Era il 9 settembre 2016, un paio di mesi prima di essere eletto alla presidenza degli Stati Uniti d’America, quando il candidato Donald Trump criticava la Federal Reserve per la politica di tassi di interesse, a suo parere troppo bassi.

Crea un'economia falsa. Mantiene i tassi di interesse bassi perché non vuole che il resto cali. A un certo punto i tassi dovranno cambiare. L'unica cosa che è forte è l'artificiale mercato azionario.”

Si direbbe che una rimozione, per quanto parziale, degli ingenti stimoli monetari non dovrebbe essere criticata da chi ha pronunciato quelle parole.

E invece ecco che il 19 luglio 2018 Trump dice non essere contento della politica monetaria della Fed, perché i rialzi dei tassi “ci mettono in una posizione di svantaggioOgni volta che cresciamo la Fed vuole nuovamente aumentare i tassi.”

Aggiungendo poi: “sto solo dicendo ciò che avrei detto da privato cittadino. Forse qualcuno criticherà, notando che “beh, non dovrebbe dirlo in veste di presidente. Non me ne può importare di meno, perché le mie posizioni non sono mai cambiate.”

Ovviamente tutti si sono precipitati a stigmatizzare le affermazioni di Trump in quanto minerebbero l’indipendenza della banca centrale, senza invece chiedergli cosa lo abbia indotto a cambiare opinione, nonostante lui neghi l’evidenza, come spesso gli accade.

Non che ci si debba stupire che ciò sia accaduto. Anzi, ci si sarebbe dovuti stupire del contrario, dato che nessun debitore ama i tassi di interesse superiori a zero.

E sarà pur vero che solo gli imbecilli non cambiano mai idea, ma non è detto che chi cambia idea non sia imbecille.

(Matteo Corsini)

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