Ogni volta che si parla di operazioni finanziarie in cui lo Stato vuole intervenire senza farlo direttamente, spunta il nome di Cassa Depositi e Prestiti. Credo ci sia più di un motivo per paventare una sorta di ritorno delle vecchie partecipazioni statali, che non pochi consumatori di tasse rimpiangono.

A maggior ragione suona sinistra questa affermazione dell’amministratore delegato di CDP, Fabio Gallia:

Cassa Depositi e Prestiti può investire con un orizzonte di lungo periodo e in alcuni ambiti in cui si sono registrati fallimenti di mercato.”

Ho sempre trovato fuorviante, quando non semplicemente strumentale, l’uso della formula “fallimento di mercato”, perché se domanda e offerta non si incontrano per via di scelte volontarie non parlerei di fallimento, mentre se domanda e/o offerta non si incontrano perché ci sono barriere fissate per legge non può essere un problema di mercato.

Generalmente gli interventi che Gallia ritiene possa fare CDP (con in soldi in gran parte derivanti dal risparmio postale) sono quelli per i quali non esistono investitori privati disposti a farli alle stesse condizioni. Detto banalmente, si tratta di pagare qualcosa (generalmente molto) di più di quanto sarebbero disposti a fare investitori privati volontariamente.

Il problema, ovviamente, è che le eventuali conseguenze fallimentari di queste supposte soluzioni a fallimenti di mercato sono a carico di persone che non hanno alcuna voce in capitolo nelle scelte di investimento in questione.

Alla faccia del mercato.

(Matteo Corsini) 

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