In una domenica di luglio in cui suppongo si faccia fatica a riempire le pagine di un giornale, Morya Longo scrive sul Sole 24 Ore un articolo dedicato alla probabile morte prima ancora di vedere la luce della cosiddetta Tobin Tax europea.

Una tassa ripudiata perfino dall’ideatore, James Tobin, che chiunque abbia un minimo di dimestichezza con i mercati finanziari sa essere controproducente per chi la adotta. All’indomani della crisi, a livello europeo venne ripescata l’idea di “tagliare le unghie alla speculazione”, un proclama di cui politici ignoranti e/o in malafede si riempiono la bocca per ottenere facili applausi da elettori ancor più ignoranti di loro.

Dato che non tutti gli Stati erano d’accordo, si pensò a un processo di collaborazione rafforzata. La Francia e l’Italia decisero di fare da apripista, introducendone una forma già nel 2012 e 2013, rispettivamente. Come era stato facilmente previsto, il gettito fu modesto, ben sotto le aspettative, e i volumi furono in parte dirottati sul altri mercati.

Tutto molto tafazziano, in perfetto stile italico.

Longo ricostruisce tutti questi passaggi, eppure non rinuncia, in premessa, a difendere la Tobin Tax dal punti di vista teorico.

La Tobin Tax è - nella teoria - la più giusta delle tasse. Perché, come un moderno Robin Hood fiscale, si propone di prelevare gettito tra chi muove miliardi e specula sui mercati, per coprire di fatto i costi sociali delle crisi finanziarie. E perché mira a ridurre la volatilità dei mercati, la speculazione, le bolle e tutti quegli eccessi di cui solo il mondo della finanza è capace. Se però in teoria la Tobin Tax è una gran bella cosa, nella pratica storicamente non ha mai raggiunto i risultati sperati. Anzi: molto spesso - come dimostrano molteplici studi empirici - le varie versioni di Tobin Tax hanno ottenuto effetti opposti.”

Ora, le bolle e le crisi finanziarie non sono causate dalla “speculazione”, bensì da chi fornisce la benzina, ossia quella banche centrali spesso beatificate sul giornale per cui scrive Longo, a maggior ragione quando al vertice c’è un italiano.

Trovo anche contestabile che una tassa qualsiasi sia “giusta”. Ma prescindendo da questa considerazione, affermare che una tassa nella teoria è “una gran bella cosa”, che però non solo “non ha mai raggiunto i risultati sperati”, bensì ha “ottenuto effetti opposti” è privo di logica.

Se una teoria trova solo riscontri negativi nei fatti significa che quella teoria è sbagliata. Per quanto politicamente corretta.

(Matteo Corsini)

 
 

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