Nonostante viviamo in un’epoca in cui lo Stato disciplina ogni cosa, capita di leggere affermazioni circa lo smantellamento dell’intervento pubblico nei servizi essenziali (aggettivo che, per i collettivisti di ogni epoca e luogo, finisce per comprendere la quasi totalità dei servizi).

Per esempio, recensendo un libro a cura del “Collettivo per l’economia” (non siamo più negli anni Settanta del secolo scorso, ma non si direbbe), Mauro Campus scrive:

Il ragionamento si muove nella quotidianità del mondo occidentalizzato ed è condotto da studiosi di varie nazionalità che devolvono parte del loro lavoro ad analizzare i percorsi storici che hanno portato allo smantellamento del ruolo dello Stato nell’organizzazione dei servizi essenziali. Fin qui nulla di originale, se non la dolorosa litania di quanto il trentennio alle nostre spalle si sia caratterizzato per una sbornia dottrinaria divenuta l’opzione politica che ha incoronato la filosofia neoliberale a dogma delle società opulente.”

Sarebbe interessante sapere in cosa sia consistito lo smantellamento, dato che, più o meno ovunque, lo statalismo è aumentato, e con esso la cosiddetta “spesa sociale”. Gli esiti non saranno soddisfacenti, ma ciò dovrebbe semmai indurre a mettere in discussione il ruolo dello Stato, non a chiedere più interventismo.

Affermare che “quanto è accaduto negli ultimi anni nelle società progredite sia frutto del ripudio del ruolo dello Stato nella gestione dei servizi”, non trova riscontro nei numeri. Pare però che questi signori ritengano che il problema consista nell’avere cercato di introdurre non meglio precisate logiche di mercato nell’erogazione di servizi pubblici. Viene da chiedersi in che mondo vivano costoro.

Tra le soluzioni proposte vi sarebbe, tra l’altro, “l’introduzione di licenze di gestione che prevedano una quota minima di investimenti obbligati, la riconfigurazione del sistema di tassazione e l’abbandono della disintermediazione che è cifra della contemporaneità politica.”

Ma di quale disintermediazione stiamo parlando se nei Paesi a cui fanno riferimento gli autori lo Stato tassa e spende non meno della metà del Pil? Che lo faccia male è un conto, ma questo non rende meno veri i numeri.

Invece avanti con un “ritorno a forme di regolamentazione”, come se oggi vi fosse carenza di regolamentazione. Altra considerazione che non farebbe neppure un marziano arrivato sulla Terra da un paio di giorni.

Come si fa a essere ottimisti leggendo cose del genere?

(Matteo Corsini)

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