Alcuni giorni fa alcuni ex banchieri centrali e personalità della finanza, soprattutto tedesca, hanno criticato la politica monetaria condotta dalla BCE durante la presidenza di Mario Draghi, che giungerà al termine a fine ottobre.

Tra le altre cose è stato osservato che il quantitative easing ha consentito a Paesi molto indebitati di non affrontare il problema e che i tassi negativi pongono seri problemi al funzionamento delle banche e delle assicurazioni. Posizione che trovo sostanzialmente condivisibile.

Come sempre il Financial Times è intervenuto a difesa di Draghi, peraltro con un editoriale non firmato, nel quale definisce le lamentele di cui sopra un “ruggito dei dinosauri”.

Pare che prima del quantitative easing la politica monetaria fosse “troppo stretta”, per cui “l’Europa di oggi, specialmente la sua gioventù, può ritenersi fortunata”.

Il fatto è che dopo oltre un decennio di politiche monetarie ultraespansive (non solo in Europa, a onor del vero), la quantità di debito aggiuntivo è talmente cospicua che diverse centinaia di miliardi di esso può restare sostenibile per gli emittenti solo se non vi sarà una normalizzazione dei tassi di interesse.

Un assaggio del problema creatosi lo si è avuto nell’ultimo anno, quando, dopo un timido accenno di riduzione dell’entità dello stimolo, la BCE ha dovuto fare inversione di marcia.

Questa situazione costringe le persone che accumulano risparmio in ottica previdenziale a scegliere se correre più rischi di quanto sarebbero disposti a fare, oppure a subire tassi di interesse negativi o rasoterra. Il tutto in un contesto in cui non vi è più decorrelazione tra obbligazioni a altre asset class. Tutto ciò può seriamente compromettere le prospettive pensionistiche di persone che dovranno anche affrontare la più che probabile bancarotta dei sistemi pubblici a ripartizione.

A me pare che non ci sia tanto da ritenersi fortunati, e questo è solo un esempio. Solo i debitori zombie possono ritenersi fortunati in un contesto come quello creato dalla politica monetaria post 2008.

Resta il fatto che quando una cura non è mai sufficiente, significa che non è una cura adeguata. O che no è una cura affatto.

(Matteo Corsini)