Uno dei temi ricorrenti oggetto di riflessione da parte degli economisti di vario orientamento riguarda le disuguaglianze di reddito e ricchezza. Quasi sempre nella lista delle cause mancano gli interventismi fiscali e monetari i quali, al contrario, sono invocati come strumenti da usare per risolvere i problemi.

Di questo avviso pare essere Fabrizio Onida, il quale, in un articolo sul Sole 24 Ore nel quale cita un po’ di letteratura sul tema, scrive:

Al di là dell’evidenza statistica, vale la constatazione che nel mondo crescenti diseguaglianze nella distribuzione di redditi e ricchezza si accompagnano a deludenti scenari di crescita macroeconomica, diffuso malcontento sociale, impoverimento del tessuto urbano e civile, instabilità politica, pulsioni populiste, fino a ventilare minacce alla tenuta dei valori democratici.”

Secondo Onida, “la variabile centrale si chiama “capitale umano”. Contrariamente a una narrazione popolare, nei Paesi a reddito pro capite medio-alto un acuirsi prolungato delle diseguaglianze rappresenta sempre meno la classica molla per chi sta in basso a impegnarsi per conquistare gradini più alti nella scala sociale, ma sempre più provoca diffuse frustrazioni giovanili, agisce da disincentivo a investire nel proprio capitale umano (grado di istruzione, apprendimento, innalzamento delle proprie skill). Si riduce così la mobilità sociale inter-generazionale, (il cosiddetto “ascensore sociale”), il futuro appare poco attraente, la fiducia nei risultati attesi dai propri sforzi cede terreno rispetto a scelte professionali minimaliste che privilegiano la conservazione del proprio stato rispetto alla scommessa sul domani.”

Bisognerebbe chiedersi per quale motivo tutto ciò accada. La “molla per chi sta in basso a impegnarsi per conquistare gradini più alti nella scala sociale” funziona se la salita della scala sociale dipende da un processo competitivo privo di barriere artificiali, che non di rado derivano da provvedimenti legislativi. Il contesto che genera frustrazioni non mi pare proprio essere quello di un libero mercato. Tutt’altro.

Eppure, per Onida:

Innanzi tutto occorrono investimenti massicci non solo in istruzione, ma anche (importante!) formazione professionale, insieme a fondamentali beni pubblici come salute e sicurezza. Poi (va da sé) serve un sistema fiscale con esplicite componenti redistributive che non penalizzino l’iniziativa privata. Servono una progressività ragionevole nelle imposte sul reddito (includendovi rendite finanziarie, senza agitare i confusi spettri della “patrimoniale”), una contenuta e progressiva tassazione sul patrimonio immobiliare, imposte di successione sui patrimoni di entità rilevante, prevenendo facili forme di evasione.”

In sostanza, più spesa pubblica e più tasse. Una ricetta non certo innovativa, da applicare, tra l’altro, in un Paese che già non scherza quanto a tassazione. I “confusi spettri della patrimoniale” non sono poi tanto confusi. E la patrimoniale sulle attività finanziarie già esiste, anche se è chiamata ipocritamente imposta di bollo, proprio per non spaventare nessuno. Assorbe ogni anno 20 centesimi su ogni euro di patrimonio finanziario. Per Onida probabilmente sono pochi, ma considerando i tassi di interesse artificialmente compressi da quella politica monetaria che non gioca un ruolo secondario nell’incremento delle disuguaglianze (ancorché per Onida pare non sia così), per chi non vuole correre molti rischi significa che il bollo azzera i rendimenti (o anche peggio).

In cosa poi consista “un sistema fiscale con esplicite componenti redistributive che non penalizzino l’iniziativa privata”, non è dato sapere. Se la frase fosse stata pronunciata da Tognazzi in “Amici miei” saprebbe tanto di supercazzola.

(Matteo Corsini)

 

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