Nel consueto articolo domenicale sul Sole 24 Ore, Marcello Minenna torna a occuparsi del Quantitative easing, ripartendo dalla critica alle quantità di titoli di Stato acquistati in base alle quote di partecipazione al capitale della BCE e alla mancata mutualizzazione dei rischi.

Quindi propone delle modifiche.

Sono ipotizzabili tre reingegnerizzazioni. La prima richiederebbe l’abbandono graduale della capital key in favore di un algoritmo che privilegi gli acquisti da parte delle banche centrali dell’Eurosistema in proporzione al livello dello spread ed al rapporto tra debito pubblico e Pil.

In sostanza, il Qe, che nasce formalmente per cercare di spingere i prezzi al consumo verso una crescita del 2% annuo, dovrebbe essere utilizzato per ridurre gli spread. Funzione contraria al Trattato Ue nella sua versione attuale e politicamente avversata da Germania e altri Paesi. Non da ultimo perché incentiva l’azzardo morale, cosa che si è verificata già con le regole attuali, a partire dall’Italia, dove i governi renziani hanno ben pensato di spendere in altro modo (e pare che sarà così anche andando avanti) i risparmi sugli interessi derivanti dal Qe.

Veniamo alla seconda modifica.

La seconda, sulla base dei medesimi criteri, attribuirebbe alle Bcn opportuni margini di manovra per incrementare la vita media residua dei Govies detenuti in portafoglio e “congelare” così i rischi nel bilancio della banca centrale acquirente.”

In sostanza, occorrerebbe rimuovere il limite di durata massima di 30 anni (terza modifica proposta da Minenna) e di durata media pari alla vita media residua del debito pubblico. Così gli Stato potrebbero emettere titoli anche senza scadenza, o con scadenza ultra lunga, che poi sarebbero acquistati dalle banche centrali. Si tratterebbe, di fatto, di una monetizzazione ancora meno indiretta di quella attuale.

Secondo Minenna i mercati “apprezzerebbero questo ritorno ai rischi condivisi nell’Eurosistema attraverso un’operatività tesa ad azzerare lo spread tra i vari Paesi membri, come avvenne a partire dal triennio antecedente la partenza dell’euro e fino ad un altro autunno caldo, quello del 2010, allorquando, nell’incontro di Deauville, Francia e Germania comunicarono l’impossibilità del risk-sharing nell’Eurozona. Sarebbe un po’ come tornare all’anno zero e superare gradualmente i limiti di decisioni – conseguenti a tale incontro – che hanno privilegiato gli interessi nazionali a quelli dell’Eurozona.”

Resta da capire per quale motivo fare più deficit degli altri sperando che venga monetizzato più o meno (in)direttamente dalla banca centrale in modo tale da non aumentare lo spread non corrisponda a far prevalere gli interessi nazionali. Francamente non saprei.

Quanto al fatto che i mercati apprezzerebbero, non ne dubito. L’intossicazione di liquidità ha già da tempo generato dipendenza e ogni maggior dose non può che essere bene accolta. Per di più ci sarebbe, in un primo momento, da guadagnare nel trade di convergenza dei rendimenti.

A supporto, Minenna cita Olli Rehn governatore della banca centrale finlandese e membro del board della Bce, il quale ha dichiarato che: “Quando lavori con i mercati finanziari, spesso è meglio fare overshooting che undershooting, (e quindi) è importante presentare un pacchetto politico significativo e di grande impatto a settembre piuttosto che tentennare.”

Come no: il problema è che, a forza di overshooting, ogni volta occorre andare più over. Senza risolvere nulla.

(Matteo Corsini)

 
 

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