Qualche giorno fa ho commentato l’idea del presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, di istituire una forma pensionistica complementare pubblica, che nei suoi auspici dovrebbe “canalizzare” più risorse in investimenti in Italia.

Sul Manifesto è apparso un articolo a firma Felice Roberto Pizzuti il quale, contrariamente a me, pare entusiasta dell’idea di Tridico.

Scrive Pizzuti:

Va premesso che il problema principale del nostro sistema previdenziale complessivo sta nel rendere possibile al suo pilastro obbligatorio - che da tempo non ha più problemi di sostenibilità finanziaria – di assicurare una copertura sufficiente. Invece, se alle generazioni che attualmente stanno incontrando difficoltà ad avere un reddito da lavoro adeguato e continuativo non verranno riconosciuti contributi figurativi per i periodi di disoccupazione, la maggioranza di loro non maturerà una pensione sufficiente ad evitare la povertà. Se non si interviene in tal senso verrà a determinarsi un disastro sociale.

Il problema è probabilmente ancora peggiore, dato che perfino chi versa contributi regolarmente va incontro ad assegni pensionistici che, in termini reali, saranno decisamente inferiori a quelli di coloro i quali sono finora andati in pensione con il sistema retributivo.

Per non parlare della reale copertura finanziaria delle pensioni stesse, su cui, però, Pizzuti pare non ritenere ci sia un problema, quando afferma che andrebbero “riconosciuti contributi figurativi per i periodi di disoccupazione”. Una formula per creare dal nulla dei contributi che, inevitabilmente, dovranno poi essere coperti da altri, anche tramite la fiscalità generale.

Quanto al fondo complementare pubblico:

È paradossale che i lavoratori iscritti al sistema obbligatorio non abbiano la facoltà - che sarebbe praticabile anche per periodi circoscritti, in base alle disponibilità - di aumentare la contribuzione all'Inps e, corrispondentemente, di incrementare la pensione nell'ambito del sistema a ripartizione, le cui prestazioni sono molto più stabili e gravate da costi di gestione relativamente irrisori. Peraltro, il metodo contributivo si presterebbe benissimo a questo ulteriore compito dell'Inps che non avrebbe nessun costo gestionale ulteriore. Naturalmente, per omogeneità di trattamento rispetto all'adesione ai fondi privati, anche il finanziamento aggiuntivo al sistema pubblico dovrebbe poter utilizzare il Tfr e i contributi delle imprese e non dovrebbe essere toccato da riforme del sistema obbligatorio.”

In sostanza, chi contribuisce dovrebbe fidarsi del fatto che questo fondo “non dovrebbe essere toccato da riforme del sistema obbligatorio”. Quale concezione angelica dello Stato è necessaria per tale atto di fede, lascio a ognuno giudicarlo.

Anche perché, aggiunge Pizzuto:

Oltre ad aumentare il risparmio previdenziale, l'uso di questa nuova opzione previdenziale, aumentando le entrate contributive, avrebbe l'effetto immediato, particolarmente utile in questa fase, di migliorare il bilancio pubblico.”

Quindi anche questo fondo pensione pare di capire che avrebbe un funzionamento a ripartizione, ossia i soldi di chi versa contributi oggi non sarebbero investiti in un conto a lui intestato, ma spesi per pagare altre uscite pensionistiche correnti. Come da classico schema Ponzi.

Infine, la parte cara a Tridico:

Fermo rimanendo gli obiettivi di sicurezza e di rendimento del risparmio previdenziale e la necessità di evitare ogni conflitto d'interesse da parte dei fondi privati, sarebbe opportuno incentivarne l'impiego in progetti di ammodernamento dell'economia reale del nostro Paese che potrebbero essere gestiti nell'ambito di un piano di sviluppo definito con il contributo delle imprese, dei lavoratori e dello Stato. Purtroppo, nonostante la questione sia rilevante, finora né i responsabili politici né quelli dei fondi pensioni vi hanno prestato attenzione. In questo vuoto d'iniziativa, mentre aumentano le spinte verso impieghi rischiosi del risparmio previdenziale, il nuovo canale di previdenza complementare pubblica potrebbe favorire il suo impiego diretto e dedicato a progetti per lo sviluppo del Paese.”

Come no: neanche un euro verrebbe utilizzato per casi di salvataggio di aziende defunte, per esempio uno degli oltre 150 tavoli di crisi attualmente aperti al ministero dello Sviluppo economico, a cominciare da Alitalia.

Questi non sarebbero investimenti a rischio, ma perdite certe.

(Matteo Corsini)