In un articolo dedicato alle traversie delle banche tedesche, Deutsche Bank in primis, Gianpaolo Rossini, docente di Politica economica all’Università di Bologna, scrive che tra le ragioni del deterioramento dei conti di tali banche vi sono “i bassi tassi d’interesse scesi a livelli mai visti. Durante la grande depressione degli anni 30 del secolo scorso, i tassi sui titoli pubblici non erano mai andati in zona negativa (neppure quelli a 3 mesi e quelli a 20 anni vicini al 2%). Oggi, in Germania sono negativi i tassi su tutti i titoli con maturità fino a dieci anni.”

A suo dire, un “sano mercato di eurobond eviterebbe tutto questo. Purtroppo però Berlino non accetta di dar vita agli eurobond perché ritiene - a torto - che questi caricherebbero sui tedeschi i costi di politiche fiscali non abbastanza severe di Italia e di altri Paesi. Certo gli eurobond farebbero aumentare i tassi tedeschi e diminuire quelli sui titoli italiani e degli altri periferici affetti dagli spread. Ma questo non implica alcun esborso dei cittadini tedeschi a favore dell’Italia. Aumenterebbero solo gli interessi che le banche tedesche (e i consumatori tedeschi) percepirebbero sugli eurobond emessi da Berlino.”

Si può avere l’opinione che si vuole in proposito dell’emissione di titoli di debito a livello comunitario, ma negare che ogni forma di mutualizzazione comporti una redistribuzione corrisponde semplicemente a negare la logica e la realtà.

Dinamica che, peraltro, si riproduce anche a livello nazionale, dove l’onere del debito è, di fatto, a carico dei pagatori netti di tasse. Per questo chi è contrario a mutualizzare il debito a livello sovranazionale dovrebbe esserlo, per coerenza, anche a livello nazionale e locale. Ancorché sia comprensibile che, al diminuire della dimensione dell’aggregato, al pagatore di tasse possa apparire meno indigesto il conto da pagare, percependo più “vicino” l’utilizzo che viene fatto di quel denaro.

Per questo credo sia comprensibile che un tedesco digerisca meglio (o meno peggio) il dovere farsi carico del debito pubblico teutonico rispetto a un ipotetico debito europeo, ancorché l’effetto redistributivo esista comunque.

Per quanto riguarda il livello dei tassi di interesse, ampiamente negativi in Germania, Rossini non fa alcun riferimento alla politica monetaria. Il che equivale grosso modo a non prendere in considerazione l’elefante nella cristalleria.

Se la BCE non avesse portato in territorio negativo il tasso sulla deposit facility e non avesse comprato paccate di miliardi di titoli nell’ambito del quantitative easing (alimentando oggi aspettative di rincarare la dose nei mesi a venire), i tassi dei titoli di Stato tedeschi (e non solo) non sarebbero negativi.

Gli unici veri beneficiari dei tassi negativi sono i consumatori netti di tasse, siano essi al governo (perché possono fare più spesa per le loro clientele elettorali a parità di saldi di bilancio), siano essi governati (perché beneficiano della suddetta spesa).

Che poi a lungo andare gli effetti collaterali superino i benefici (per alcuni) di breve termine è vero, come per qualsiasi droga.

Il problema è che, prima dell’inevitabile resa dei conti, a prevalere sono le voci dei pusher e dei tossici.

(Matteo Corsini)

 

You have no rights to post comments