Beppe Scienza scrive pistolotti sul Fatto Quotidiano per lo più volti a indicare ai lettori-risparmiatori i costi e le possibili fregature contenuti nei prodotti finanziari e assicurativi. 

Al netto del fatto che il suo punto di partenza, ancorché non esplicitamente scritto, pare essere che chi propone il prodotto (o il suo mandante) abbia come unico scopo quello di fregare il risparmiatore (cosa che non è da escludere in tutti i casi, ma neppure da dare per scontata a priori), Scienza fornisce indicazioni generalmente utili scrivendo senza tecnicismi che risulterebbero incomprensibili al risparmiatore medio.

Tuttavia capita anche di leggere:

Non è, però, neppure vero che un’alta redditività da sola implichi sempre un maggiore rischio. In mano a risparmiatori italiani vi sono ancora buoni fruttiferi postali sottoscritti nel 1996. Alcuni di essi rendono l’11,5% annuo fino al 2026, mentre altri fruttano solo lo 0,5%. Forse che i secondi sono più sicuri dei primi? No, da nessun punto di vista.”

Va bene cercare di rendere semplici le spiegazioni ai lettori, ma senza esagerare. I buoni postali sono emessi da Cassa Depositi e Prestiti con garanzia dello Stato e collocati dagli uffici postali. Dal punto di vista del rischio di credito, quindi, sono assimilabili a titoli di Stato.

A differenza dei titoli di Stato, però, non hanno un mercato secondario, anche se a partire dal tredicesimo mese può essere chiesto il rimborso del capitale e degli interessi maturati. I buoni postali non subiscono quindi oscillazioni di prezzo per via dell’andamento delle variazioni dei tassi di interesse o dello spread.

Tecnicamente incorporano un’opzione put a favore del sottoscrittore. Per questo motivo all’emissione rendono generalmente meno di un BTP di pari scadenza (anche se tale opzione è spesso sottoprezzata).

Tuttavia, i rendimenti all’emissione riflettono in linea di massima le condizioni a cui lo Stato si indebita in quel momento. Per questo non deve stupire che dei buoni postali collocati nel 1996 con durata ventennale riconoscano al sottoscrittore tassi a doppia cifra. Non avendo un mercato secondario ciò non si riflette sul prezzo di mercato, che dovrebbe essere superiore al valore nominale per allineare il rendimento a scadenza con quelli oggi previsto su scadenze 2026.

Ma credo che la valutazione fatta da parte di Scienza possa essere fuorviante, perché basata su un ragionamento fatto col senno di poi. Cosa che andrebbe evitata.

(Matteo Corsini)

You have no rights to post comments