A distanza di una decina di giorni, Carlo Pelanda torna sul tema dell’utilizzo della politica monetaria come supporto a quella fiscale per evitare, a suo dire, che prevalgano forme di statalizzazione proposte dai cosiddetti sovranisti.

Chi scrive sta studiando una soluzione che combina la de-debitazione degli Stati attuata via acquisto e cancellazione (parziale) del debito da parte delle banche centrali per dare ai bilanci statali spazio sia per detassazioni utili a ravvivare il libero mercato sia per nuovi welfare che investano sulla competenza degli individui affinché possano in numero maggiore cogliere le opportunità. Tale ipotesi di riqualificazione del capitalismo democratico liberalizzato implica una convergenza d’eccezione tra politica monetaria e fiscale e una migliore comprensione di quanto sia flessibile la “moneta fiduciaria”, materia di ricerca innovativa che chi scrive spera sia più frequentata.”

A parte il linguaggio un po’ fumoso che a me più che un approccio scientifico ricorda le supercazzole, non c’è veramente nulla di nuovo.

Sulla parziale cancellazione del debito detenuto dalle banche centrali si può rimandare Pelanda a un testo di fondamentale importanza, su cui si sono esercitati luminari del calibro dei leghisti Borghi e Bagnai, coadiuvati da colleghi pentastellati temporaneamente distaccati dalla caccia alle scie chimiche: la prima bozza carbonara del contratto per il governo del cambiamento, che da sola è costata un salto dello spread di un centinaio di punti base in pochi giorni.

Non vedo poi come la monetizzazione di una parte di debito pubblico, soprattutto se accompagnata da “nuovi welfare”, rappresenti una minore statalizzazione e possa “ravvivare il libero mercato”.

Quanto, infine alla “convergenza d’eccezione tra politica monetaria e fiscale e una migliore comprensione di quanto sia flessibile la “moneta fiduciaria””, Pelanda può rifarsi ai teorici della Modern Monetary Theory, che pure sta riscuotendo un buon successo negli Stati Uniti. Anche qui nulla di innovativo, men che meno di non statalista. Nonché segno, a mio parere, del degrado (anche) di quel grande Paese.

(Matteo Corsini)

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