27 luglio 2018 (Update 29/7/18: un commento di Matteo Corsini - Update 12/8/18: replica)

La tregua non è durata tanto. Eccomi di nuovo in questo pantano. Il pungolo è arrivato sotto forma di saggio di Guglielmo Piombini: "In difesa dell'anarco-capitalismo nell'epoca dello statalismo maximo".

Il saggio prende spunto da un libro del 1993, di un autore anarco-capitalista, Pierre Lemieux, che in seguito un po' ci ha ripensato. Il ripensamento è dovuto in parte alle riflessioni di Mancur Olson sull'"inefficienza dell'anarchia".

Il saggio presenta allora una sintesi delle idee di Olson, con accenni molto interessanti a diversi esempi storici di società anarchiche e non anarchiche Da questi esempi, a me sembra emerga evidente che, indipendentemente dalla forma di governo, una società tenderà a prosperare tanto più i cittadini hanno ragionevole sicurezza che resterà loro buona parte del frutto del proprio lavoro. Se non c'è sufficiente sicurezza che ne resterà  buona parte, oppure c'è sicurezza che ne resterà poco, la società non prospera. Non dovrebbe sorprendere.

Il saggio continua con critiche alla democrazia come forma di governo, su cui comunque libertari anarco-capitalisti o meno sono generalmente d'accordo.

È nella parte finale che si parla di anarco-capitalismo. Piombini in sostanza scrive che una società anarco-capitalista funzionerebbe  (e sarebbe la miglior forma di società) se fosse diffusa "una cultura che consideri sacri e inviolabili i diritti naturali alla vita, alla libertà e alla proprietà".

In realtà non c'è una elaborazione di un contesto legale in cui funzionerebbe una società anarco-capitalista, che approfondisca come sicurezza e giustizia sarebbero gestite da "agenzie private" e "arbitrati".

L’anarco-capitalismo è descritto come "la corrente di pensiero che porta alle sue logiche conseguenze i principi antistatalisti del liberalismo, fino all’estremo limite dell’anarchia". Tuttavia, l'oggetto del contendere è proprio se le conseguenze che portano all'anarchia siano "logiche". A me non pare sia così, come ho scritto in Perché non sono anarco-capitalista e Addendum a "Perché non sono anarco-capitalista". Non ripeto qui gli argomenti già esposti.

Aggiungo invece qualche riflessione stimolata dalle frasi nella parte finale del saggio, dove si ribadisce che una società anarco-capitalista potrebbe funzionare se la cultura diffusa fosse quella ispirata al principio di non aggressione.

Scrive Piombini:

".... nessun governo riuscirebbe a governare stabilmente una società composta in grande maggioranza da anarchici individualisti, dato che la sua pretesa di monopolizzare l’uso della forza e di tassare la popolazione susciterebbe vaste ribellioni ....

Solo le agenzie private di protezione e i tribunali di arbitrato che rispettano i diritti di proprietà, senza esigere tributi non volontari, godrebbero del rispetto e della legittimazione per compiere atti di coercizione come incriminazioni, arresti, perquisizioni.

... una società anarco-capitalista sarà stabile, ordinata e non conflittuale se abitata da persone che pongono come valore sociale supremo il principio libertario di non aggressione, secondo cui nessun uomo o gruppo di uomini può dare inizio all’uso della violenza contro gli individui pacifici ..."

A me sembra che qualche problema ci sia.

L'eterno fascino subdolo dell'utopia

Una cosa che mi ha sempre colpito riguardo al comunismo è che molti lo descrivano come un'utopia bellissima e desiderabile ma purtroppo irrealizzabile nella pratica. Chi dice questo, di solito lo fa con l'aria di dire qualcosa di ovvio, sicuramente condivisibile da tutti. Mi colpisce perché il mio pensiero di fronte a quest'idea è invece: "Per fortuna non è realizzabile!"

L'utopia da sempre esercita un fascino potente sulla mente degli uomini. Di fronte alle imperfezioni della società, alla situazione molto brutta in cui può versare parte dell'umanità, di fronte alla difficoltà di risolvere problemi millenari pur con tanti tentativi, la tentazione è quella di andare alla ricerca di una soluzione definitiva che risolva alla radice i malanni che affliggono la società. Identificare la modalità di interazioni umane che risolverà tutto. Immaginare un mondo senza più piaghe sociali. Fare felici tutti quanti.

Con il comunismo, si tratta dell'abolizione della proprietà privata, per arrivare all'abolizione anche dello stato. Si suppone che l'"uomo nuovo" lavori in perfetta armonia gli uni con gli altri, producendo abbondanza per tutti. Inutile chiedere come sarebbe possibile. Nessuno ha mai dato una risposta. Queste domande infastidiscono i sostenitori delle utopie.

Il problema dell'utopia è che non si cura della natura dell'uomo. Perché l'uomo agisce, come reagisce agli incentivi, non è rilevante. La natura dell'uomo esistente è un intralcio da superare, una "falsa coscienza" nel gergo comunista. Il fatto che siano le differenze tra gli uomini a creare incentivi per produrre ricchezza non può intralciare l'utopia. Una ipotetica società di uguali non potrebbe che essere misera, e terrificante per l'uomo reale, ma è un dettaglio che non turba gli utopisti.

L'utopia non è realizzabile non perché la natura umana sia cattiva o non abbastanza buona: non è realizzabile perché la natura umana è come è. È un miscuglio di pulsioni buone e cattive in perenne conflitto, che costituiscono il senso della nostra esistenza sulla Terra. Temo che la tendenza a perseguire utopie non faccia parte delle pulsioni buone.

L'anarco-capitalismo ambisce invece all'abolizione dello stato, al contempo ponendo la proprietà privata alla base delle relazioni sociali. Finché lo stato esiste, sostiene, le cose non potranno andare in modo ottimale. Si faccia attenzione: qui non si parla di decentralizzare lo stato, né di promuovere autonomia locale e neppure di azzerare la burocrazia. Altrimenti sempre Stato sarebbe. Qui si preconizza una società senza separazione territoriale delle giurisdizioni.

Perché sarebbe desiderabile eliminare questa separazione? Perché una giurisdizione monopolista su un certo territorio sarebbe senz'altro cattiva. Ma non sarebbe cattiva anche la giurisdizione non territoriale? Sì, ma le giurisdizioni sarebbero in concorrenza tra loro e ognuno potrebbe scegliere e cambiare giurisdizione. E chi garantirebbe tale diritto di poter cambiare? Silenzio. 

Niente più cittadinanza territoriale, ma giurisdizioni a pagamento in concorrenza tra loro, che naturalmente hanno facoltà di cacciare un proprio membro. Si può cercare di immaginare cosa succederebbe nel mondo reale ad un simile sistema. Direi che evolverebbe subito in un sistema a caste assolutamente chiuse e con una delle caste dominante sul territorio. Oppure si farebbero giurisdizioni territoriali.

Gli anarco-capitalisti spesso riconoscono che in una società a giurisdizioni "private" una singola giurisdizione, molto probabilmente, otterrebbe il monopolio su un dato territorio. Ma sarebbe un monopolio naturale, precisano, non un monopolio imposto per legge: noi libertari non abbiano nulla contro ai monopoli naturali. Ma un monopolio naturale nel commercio è tale se la giurisdizione garantisce ad altri la possibilità di sfidarlo, anche se il monopolista naturale vorrebbe impedirlo. Ma il "monopolio naturale" del governo diventa per sua stessa natura un monopolio imposto per legge e sicuramente attaccherà un possibile concorrente. Almeno in questo mondo.

Questo è il problema nella tesi di Piombini: quelle "persone che pongono come valore sociale supremo il principio libertario di non aggressione", se abitata dalle quali "la società anarco-capitalista sarà stabile, ordinata e non conflittuale", assomigliano un po' troppo all'"uomo nuovo" dei comunisti, in grado di far funzionare una società a produzione collettivista come un orologio.  In realtà le persone possono essere assolutamente convinte del principio di non aggressione e al tempo stesso essere estremamente litigiose! Di nuovo, la natura dell'uomo reale è messa da parte come un intralcio.

Scrive Piombini: "[in una società composta in grande maggioranza da anarchici individualisti] solo le agenzie private di protezione e i tribunali di arbitrato che rispettano i diritti di proprietà, senza esigere tributi non volontari, godrebbero del rispetto e della legittimazione per compiere atti di coercizione come incriminazioni, arresti, perquisizioni". Vi sembrano cronache da questo mondo? Perché mai, al di là dell'idea astratta, "anarchici individualisti" dovrebbero rispettare in buon ordine gli atti aggressivi di agenzie private, se loro non li considerano giusti?

Si noti che che il principio di non aggressione non significa che non si può aggredire, bensì specifica in quale genere di circostanza lo si può fare.  È una teoria politica, non un principio morale. Esplicitamente, indica che non sia legittimo aggredire qualcuno per "dare ad altri" (welfare state) o per dichiarato impedimento ad azioni non aggressive (interventi in economia), quindi nega la legittimità di leggi in questo senso. È una filosofia politica che dovrebbe guidare chi governa la società, ma in sé non afferma che dovrebbero esserci più governi in concorrenza.

Abbiamo il principio di non aggressione perché l'uomo una qualche tendenza ad aggredire ce l'ha. Ha una marcata tendenza, se si sente impunibile, a valutare i confini tra la sua e l'altrui proprietà in modo non sempre imparziale. Una società anarco-capitalista non  è compatibile con "la legge è uguale per tutti", quindi con un pari diritto a non essere aggrediti.

Il principio di non aggressione da solo non esaurisce il compito del governo, che è cosa molto complessa anche in una società libertaria. La difesa della proprietà si declina in innumerevoli situazioni. Le proprietà degli individui confinano e interagiscono tra loro continuamente, in una miriade di modi diversi.

Per cultura, tradizione, inclinazione, popoli diversi possono vedere queste interazioni in modo diverso. Ad esempio, se un certo comportamento prefigura un reato di minaccia oppure no. Anche in un mondo interamente libertario, popoli diversi avrebbero giurisprudenze diverse. La gente è legata alla propria tradizione, alla propria patria, alla propria nazione.

Una società in cui non si è italiani, o veneti, o francesi, o inglesi, ma cittadini di Amazon o Google. Si sentono dire cose del genere di questi tempi. Al pari dell'utopia comunista, terrificante.

Perché è così importante

Noi libertari  spendiamo energie sulle nostre idee non con fini politici. Non è impossibile che un libertario abbia fini politici, e neanche che riesca ad avere successo politico. Ma l'obiettivo principale che ci spinge è cercare di diffondere "una cultura che consideri sacri e inviolabili i diritti naturali alla vita, alla libertà e alla proprietà" perché riteniamo sia giusto e proficuo per la società.

Dall'altra parte abbiamo statalisti di ogni tipo e sentiamo pronunciare costantemente idee economiche irrazionali, mirate a far leva sugli istinti più distruttivi come l'invidia. Costantemente ci troviamo a dover spiegare che alla base dell'economia c'è la scarsità, cioè per produrre i beni che gli uomini desiderano occorre lavoro e gli uomini lavorano solo se lo considerano vantaggioso per se stessi.

Perché mettere in mezzo quella parola, "anarchia", che tanta paura fa agli uomini, e non senza ragione? A cosa serve?

A me sembra un darsi la zappa sui piedi da soli, e, come ho cercato di mettere in luce, senza un reale motivo. Non è chiaro come potrebbe funzionare una società anarco-capitalista, non è chiaro come sia compatibile con il principio di non aggressione. D'altra parte, una volta diffusa la cultura libertaria, gli uomini potrebbero realizzare l'anarco-capitalismo, se volessero. Ma perché doverlo stabilire in partenza? Quando, in tutta verosimiglianza, se fosse diffusa la cultura libertaria lo stato sarebbe molto meno aggressivo e le "giurisdizioni private" non interesserebbero a nessuno? La suddivisione territoriale delle giurisdizioni è il modo più efficiente di avere quella "sicurezza del diritto" che tanto preme agli uomini.

E così, questo è il mio dilemma. Continuerò a dover suggerire: Leggete Lew Rockwell, leggete Rothbard, leggete Lottieri, leggete Piombini, ma non fate caso a quella roba sull'anarco-capitalismo. E, nel dubbio, leggete Ron Paul.

Ma allora poi, mi dico, sarebbe troppo facile...

(Maria Missiroli)

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Update (3/2/19) Anarco-capitalismo, IV

Update (29/7/18)

Commento di Matteo Corsini (Guglielmo Piombini ha commentato che riflette anche la sua posizione)

Da qualunque parte la prendi, a me pare evidente che una società possa funzionare solo se c’è una base di valori ampiamente condivisa. Nel caso libertario è il principio di non aggressione. Ma mentre nel sistema di Piombini (che è poi quello che difendo io) è possibile che ci siano anche comunità volontarie su base territoriale che stabiliscono tra le condizioni di appartenenza anche quella di fare riferimento a una giurisdizione unica e identificata, nel tuo mondo non sarebbe consentito ad altri di organizzarsi diversamente.
Ne abbiamo già discusso tanto, per cui non mi dilungo. Ma attenta a tirare in ballo il comunismo come utopia e a dare degli utopisti (un po’ nozickianamente) ai libertari anarchici, perché chiunque (e sono una moltitudine) pensa alla Churchill che la democrazia sia la forma di governo meno peggiore darà dell’utopista anche a te (e infatti Ron Paul dal mainstream è sempre stato preso per eccentrico nella migliore delle ipotesi). 
Come poi lo stato minimo rimarrebbe tale per me resta un mistero che nessun miniarchico ha mai solidamente spiegato. Quella mi pare davvero utopia. Se c’è ampia condivisione del nap, allora è una questione di scelte individuali e gli arbitrati tra diverse giurisdizioni (oltre che nelle questioni commerciali) esistono già oggi.

Inizialmente avevo pensato di rispondere subito a questo commento. Tuttavia mi sono resa conto che è del tutto incorrelato con quanto ho cercato di dire (forse non chiaramente). Per questo motivo risponderò dopo averci pensato un po', alla ricerca di una formulazione il più possibile sintetica per ribadire cosa ho voluto dire e perché questo commento non vi risponde.

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12/8/18

Scrive Piombini:
-  gli esempi storici di anarchia non sono storie di successi
-  un sistema anarco-capitalista non funzionerebbe se implementato tra gli uomini come sono attualmente
-  tuttavia l'anarco-capitalismo funzionerebbe se fosse diffusa una cultura che "consideri sacri e inviolabili i diritti naturali alla vita, alla libertà e alla proprietà"

Ho risposto:
- non è vero che necessariamente se fosse diffusa una cultura che "consideri sacri e inviolabili i diritti naturali alla vita, alla libertà e alla proprietà" gli uomini propenderebbero per l'anarco-capitalismo, cioè per un'organizzazione senza separazione territoriale delle giurisdizioni (d'altra parte Piombini lo enuncia, non lo spiega)
- un'idea che per funzionare ipotizza una diversa natura dell'uomo è un'utopia (non realizzabile, e fortunatamente così)
- l'idea di anarco-capitalismo è controproducente  per la diffusione dei principi di libertà

Questo commento di Matteo non affronta nessuno di questi temi.

Tra l'altro, si dice una cosa inesatta: non ho scritto che non sarebbe possibile un'organizzazione non territoriale, anzi ho esplicitamente scritto che lo sarebbe, se gli uomini lo volessero; quello che ho voluto dire è che porsi l'anarco-capitalismo come obiettivo fondamentale è dannoso per la causa della libertà. Ribadisco: non intendo indicare uno stato minimo come indispensabile, bensì sostenere che è tutt'altro che ovvio che gli uomini vorrebbero farne a meno o che sarebbe inevitabile farne a meno. Quello che scrive Matteo sembra presupponga che l'organizzazione sociale sia calata dall'alto, "io scelgo questo, tu scegli quello", ma non è così che funziona il mondo reale.

Il principio di non aggressione è una teoria politica secondo la quale fondamentalmente non sono legittime leggi che prevedono di prendere ad alcuni per dare ad altri (welfare state o privilegi o sussidi) e interventi in economia tramite il fissaggio coercitivo dei prezzi, in quanto misure dichiaratamente aggressive in se stesse. La gestione monetaria coercitiva è l'esempio primario. Queste sono le principali differenze rispetto ai sistemi esistenti in occidente.
Siamo tutti d'accordo qui che tali misure sono distruttive per il benessere della società, in particolare dei più deboli. Tutti noi siamo impegnati a farlo capire alle persone tramite semplici ragionamenti logici, alla luce dei quali valutare gli avvenimenti.

Queste considerazioni valgono in ogni caso, qualunque sia la popolazione e la percentuale di gente che ne è consapevole. Valgono in ogni caso perché la natura dell'uomo è di agire in base ad obiettivi individuali. Le leggi citate sopra inibiscono in qualche misura la produttività e lo scambio. Favoriscono l'immoralità e il dominio di alcuni gruppi a scapito degli altri.

Tutto questo non ha in sé nulla a che vedere con l'amministrazione della giustizia e con la forza di pubblica sicurezza (e la difesa).
La natura dell'uomo lo porta a ricercare la sicurezza del diritto, indispensabile per l'attività economica. È proprio questa caratteristica  che porta l'uomo ad essere accondiscendente verso leggi come quelle citate. Per questa ragione, indicare l'eliminazione di giurisdizioni territoriali come indispensabile fa rifuggire gli uomini.

Un sistema "statale" esiste dall'antichità in tutti i posti civilizzati. La gente tollera abusi di ogni tipo dallo stato. Questo dovrebbe suggerire quanto una giurisdizione unica sul territorio sia importante per gli uomini; non dovrebbe suggerire che sia indispensabile fare diversamente.

L'anarco-capitalismo in sé non dice nulla sull'aggressione. Non prefigura una società meno aggressiva e più prospera. L'attività economica intensiva e le interazioni diffuse non possono realizzarsi efficientemente senza un contesto legale stabile e la ragionevole sicurezza dei diritti di proprietà.

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