(26 novembre 2017)

"E chissenefrega". "C'è bisogno di spiegarlo?!" "I libertari hanno tempo da perdere". Le reazioni della grande maggioranza delle persone ad un titolo del genere sarebbero senz'altro di questo tenore. D'accordo, si tratta di un tema per libertari accaniti. Bisogna averne fatta di strada in questa direzione per rendersi conto di quanto è serio questo tema. Forse è l'unica domanda di filosofia politica che ha senso.

Tanti tra i pensatori che stimo di più si definiscono anarco-capitalisti: per citarne solo alcuni, Lew Rockwell, Hans-Hermann Hoppe, Thomas Woods, e naturalmente in primo luogo Murray Rothbard, l'ideatore del termine stesso. Ce ne sono altri, tuttavia, che di fronte all'idea mostrerebbero tutt'altro che entusiasmo, tra questi i due pesi massimi Ludwig von Mises e Ron Paul, e naturalmente Ayn Rand. Una volta capito questo stato di cose, ho cercato di comprendere appieno le ragioni alla base dell'anarco-capitalismo.

Ma mentre per i principi del liberalismo classico, che pure all'inizio lasciano di stucco avendo sentito per tutta la vita ripetere idee diverse da ogni direzione, più li si approfondisce più la loro logica disarmante e la loro inappuntabile verità appaiono evidenti, non mi è successo così con l'idea di abolizione dello stato.

I libertari sostenitori dell'anarco-capitalismo argomentano questa idea innanzitutto snocciolando le nefandezze compiute dallo stato in ogni luogo e periodo storico, per poi mettere in evidenza che il verificarsi di tali nefandezze è intrinseco nel meccanismo statale stesso. "Una banda di briganti in larga scala", che oltretutto inganna le sue vittime convincendole di agire per il loro bene. Questo, come diceva Rothbard, è lo stato. Il problema, però, è che proprio le abominevoli nefandezze compiute dallo stato in ogni epoca costituiscono il più evidente argomento a favore dell'esistenza dello stato, non contro.

Il fatto che la gente tolleri indicibile quantità di abuso da parte dello stato è indice che lo stato ha una funzione fondamentale per gli uomini.

Gli uomini, tutti i giorni, accettano di avere a che fare con cose molto pericolose solo se sono molto utili. Più una cosa è utile e maggiore è il rischio che siamo disposti a tollerare. Ad esempio, le automobili sono molto pericolose. Le usiamo perché sono molto utili. E con tutte le cose pericolose, il modo per ridurre la loro pericolosità è conoscerle bene, prestare attenzione e continuamente cercare di migliorarle.

E quale sarebbe questa funzione fondamentale dello stato? Garantire il contesto legale, la "rule of law" o stato di diritto, insomma l'insieme di regole che stanno alla base della coesistenza e dell'interazione pacifica tra gli uomini all'interno della stessa giurisdizione.

La gente comune, anche se non è consapevole delle nefandezze dello stato, né è consapevole della sua natura sfruttatrice e ingannevole, è però consapevole di questa funzione fondamentale. Per questo l'idea di anarchia fa così tanta paura. Ed è per questo che l'anarco-capitalismo in realtà a me sembra deleterio per la difesa e la diffusione della libertà. La gente tollererà abusi di ogni tipo, rifiuterà di riconoscere  la più malvagia distruttività, se messa di fronte alla ipotesi di anarchia.

Esattamente su questo tema ebbi qualche anno fa un acceso scambio con l'amico Matteo Corsini. Da allora ogni tanto medito di scrivere a questo riguardo, ma ho sempre desistito causa la difficoltà e vastità del tema. Poi qualche settimana fa Lew Rockwell ha pubblicato un saggio di Jesus Huerta de Soto, Classical Liberalism versus Anarchocapitalism; leggerlo mi ha definitivamente motivato a scrivere questa difesa dello stato limitato. Sembra non ce ne siano! Come riferimento per la trattazione rothbardiana di una società senza stato, si può considerare ad esempio Society Without a State. Il punto di vista che contrappongo è quello di Ron Paul, ad esempio in Il manifesto libertario di Ron Paul. L'argomento tocca aspetti talmente vasti che è difficile confinarlo. Ho provato a limitarmi ai principi fondamentali.

Il principio di non aggressione, il nodo della giustizia, l'espansione dello stato

Rothbard, nell'argomentare un sistema senza stato, innanzitutto definisce cosa intende per "stato". Egli definisce lo stato quale entità che: a) si finanzia coercitivamente (la tassazione); b) asserisce e impone il monopolio dell'uso legale della forza.

Dunque l'interrogativo che stiamo esaminando è: al benessere della società è necessaria una simile istituzione?

Tutti i libertari, che siano anarco-capitalisti o non anarco-capitalisti (cioè a favore di uno stato limitato), si riconoscono  nel principio di non aggressione. Tale principio afferma che l'uso della forza sia giustificato solo in difesa dall'aggressione verso la proprietà altrui. Questo principio è difendibile sia dal punto di vista morale, sia dal punto di vista utilitaristico. Cioè, il principio di non aggressione, secondo i libertari, costituisce la base su cui una società può prosperare al meglio.

Posti di fronte all'interrogativo sull'esistenza dello stato, il libertario anarco-capitalista sostiene che l'esistenza stessa dello stato sia in contrasto con il principio di non aggressione; il libertario non anarco-capitalista ... ok, parlo soprattutto per me, ma in sostanza sostiene che, senza l'esistenza di una forma di stato, il principio di non aggressione avrebbe ben poco significato.

Il principio di non aggressione implica il diritto alla difesa della proprietà, tra cui la propria vita e persona. Esclude l'uso della forza ai fini aggressivi, ma non a fini difensivi. E se in una società un diritto esiste, sorge certamente la questione se sia compito della società stessa implementarlo.

Il diritto alla difesa della proprietà contro l'aggressione, in un contesto di legalità, implica che ci sia qualcuno, riconosciuto dalla società, che è preposto a decidere se, da parte di chi, e in quale entità c'è stata aggressione. Altrimenti, la valutazione di chi è aggressore e chi vittima, in caso di controversia, diventa arbitraria.

Dall'inizio dei tempi è la funzione di amministrare la giustizia la base da cui sorge lo stato. Per la convivenza e l'interazione degli uomini appare desiderabile che esista un'istituzione con la facoltà riconosciuta di decidere sulle controversie e decidere chi è legalmente colpevole o innocente, e in qual misura. Naturalmente, l'amministrazione della giustizia ha poca sostanza se non può far affidamento su una forza armata in grado di rendere esecutive le sue decisioni. Tutto ciò per funzionare ha un costo, e, data l'importanza di questo ruolo, appare naturale che tale costo sia distribuito tra tutti coloro che fanno parte della giurisdizione.

Questo potere però finisce presto per attrarre interesse ad usarlo a proprio vantaggio, generando l'incentivo ad espandersi, a rivendicare sempre più funzioni e quindi il diritto di estrarre forzatamente sempre più risorse dai cittadini. Tali risorse vengono poi destinate a corrompere e diffondere propaganda per la quale il ruolo e le funzioni estese dello stato sono benigne e proficue per la società, fino al punto di convincere che lo stato può fare cose come "creare posti di lavoro" e incrementare il benessere generale, come avesse la bacchetta magica.

È un meccanismo che tende ad auto-alimentarsi: più lo stato cresce e aumentano le risorse estratte dalla popolazione, più le persone che lo compongono tendono ad essere corrotte e malvage; lo stato diventa sempre più un'entità predatrice e sempre meno quei servizi fondamentali alla popolazione di difesa del diritto e della proprietà sono esercitati in modo proficuo per la società stessa. Lo stato diventa il principale pericolo a cui la gente è esposta.

Il fatto è che oggi la grande maggioranza della gente è talmente imbevuta della propaganda dello stato da non rendersene minimamente conto, nonostante sia perennemente di fronte ai propri occhi in una miriade di manifestazioni, e lo sia sempre stato in passato. Per i libertari, per chi "ha letto Rothbard", invece è molto evidente e dopo non si torna più indietro. Il giovane Daniel Sanchez, in La pillola rossa di Rothbard, descrive come una "pillola rossa" il momento in cui si è reso conto di cosa è lo stato. È un momento sconvolgente. Lo stato è  talmente malvagio secondo tutti gli standard che applichiamo ad ogni altra cosa che sembra impossibile non averlo visto prima. Lo stato pretende che tolleriamo, e anzi che riteniamo giusti, abusi che non tollereremmo in nessuna altra situazione.

Quando si afferra la reale malignità dello stato, può sembrare naturale pensare: "Ma se lo stato  è un cancro maligno all'interno della società, intrinsecamente portato ad espandersi, allora non sarebbe meglio abolirlo del tutto?"

Come sarebbe una società anarco-capitalista?

Per proporre una società senza stato, Rothbard affronta puntualmente, in lunghe e articolate discussioni, come le funzioni che normalmente sono attribuite allo stato possano essere svolte da entità private in un contesto di mercato volontario. Arrivato al nodo cruciale di giustizia e ordine pubblico, Rothbard non vede particolari differenze e argomenta che queste funzioni possano essere svolte anch'esse su base volontaria. Cioè, per evitare il meccanismo di espansione dello stato, naturale in regime di monopolio legale, Rothbard teorizza l'eliminazione del monopolio statale anche su giustizia e ordine pubblico.

Per capire cosa significa questo, ricordiamo che quello che avviene normalmente è che ci siano giurisdizioni separate territorialmente. Ogni stato esercita la sua giurisdizione su un territorio, generalmente con accordi internazionali verso gli altri stati per regolare i rapporti tra cittadini e entità di paesi diversi. Ad esempio, se avviene un omicidio, esso sarà di competenza dello stato che ha giurisdizione sul territorio dove i fatti sono avvenuti. Le persone residenti nel territorio sono soggette alla tassazione stabilita nella competente giurisdizione.

Rothbard in pratica elimina la distinzione territoriale. Su uno stesso territorio esisterebbero diverse giurisdizioni, ognuna con suoi tribunali e forze di ordine pubblico, alle quali ognuno potrebbe sottoscrivere con contratti privati. Ognuna di queste entità eserciterebbe giurisdizione sull'insieme  delle proprietà dei suoi membri. Un cittadino sarebbe libero di passare da una giurisdizione all'altra (se la sua giurisdizione lo permette); ovviamente, anche la giurisdizione sarebbe libera di cacciarlo o non accettarlo nei termini sottoscritti volontariamente.

Se c'è una controversia tra membri della stessa giurisdizione, questa se ne occuperà al suo interno. Se c'è una controversia tra membri di giurisdizioni diverse, con differente esito del processo legale nelle due giurisdizioni, dice Rothbard che il problema si potrebbe risolvere incaricando una terza giurisdizione di fare da arbitro.  Scrive Rothbard:

[...] Supponiamo che si verifichi il caso più difficile: la corte di giustizia B stabilisce che Jones è innocente. Le due corti di giustizia, a ognuna delle quali sottoscrive una delle due parti, hanno emesso verdetti contrastanti. In quel caso, le due corti sottoporranno il loro caso a una corte di appello, o arbitro, su cui le due corti concordano. Non sembra ci sia alcuna difficoltà reale nel concetto di una corte d'appello. Come nei casi di contratti che prevedono l'arbitrato, sembra molto probabile che le varie corti di giustizia private nella società abbiano un accordo a priori sulla specifica corte d'appello a cui sottomettere le loro dispute. [...]

Qui Rothbard non mi è mai parso per nulla convincente. Se due giurisdizioni sono in conflitto, decide una terza su cui esse si sono accordate in partenza. E se un tale accordo non c'è? E chi paga i servizi della terza giurisdizione? Non è la stessa cosa dei normali contratti commerciali, in cui ci possono essere questi tipi di accordi, fermo restando che per controversie più gravi c'è comunque la giustizia statale. È analogo, ma non la stessa cosa, dei tribunali internazionali che comunque esistono perché riconosciuti da stati.

A me sembra che Rothbard finisca per introdurre qualcosa che è equivalente ad un sistema a clan o a caste che coesistono sullo stesso territorio. Si tratta di sistemi che sono sempre caratterizzati da lotte per la supremazia. Se un clan ha una forza armata più forte degli altri (ad esempio perché ha maggiori mezzi economici) tenderà a sottomettere gli altri. Sì, ricorda un po' la mafia. Rothbard sottolinea che i crimini della mafia nel corso della storia sono ben poca cosa rispetto ai crimini dello stato. È assolutamente vero, però è anche vero che una società a clan tende a non raggiungere grande prosperità diffusa.

C'è una differenza fondamentale tra giustizia e altre funzioni che normalmente (e erroneamente) sono attribuite allo stato: la giustizia non è un servizio all'individuo (come invece sono scuola, sanità, strade, eccetera), bensì ha il ruolo di risolvere le controversie tra individui. Quello che è buono per uno, può non essere per nulla buono per l'altro. Il mercato funziona secondo il meccanismo per cui "vince l'offerta più alta", ed è precisamente per questo che il mercato è in grado di produrre prosperità per tutti, indipendentemente dalle erronee opinioni di chi non ha approfondito la logica economica.

Nel caso di giustizia e ordine pubblico "vince l'offerta più alta" non è necessariamente un meccanismo efficiente. Invece del principio del diritto alla difesa dall'aggressione, diventa in modo palese "il più forte ha diritto di aggredire", proprio ciò che l'evoluzione della società e del diritto nel corso dei secoli ha cercato di superare, perché non fa prosperare la società. È per questo motivo che c'è tutta la questione dell'"indipendenza dei giudici" e una serie rigida di regole a cui gli stessi devono sottostare. Certo, la completa imparzialità non è mai raggiungibile (e con lo stato che si espande si va verso la manifesta parzialità), ma è stata una conquista storica riconoscere il principio "la legge è uguale per tutti". È proprio un sistema a caste (aristocrazia), in cui per alcuni valgono regole diverse da quelle che valgono per altri, quello che lo stato liberale ha soppiantato.

Il principio di non aggressione è tirato in ballo in relazione alla coercizione dello stato nel finanziarsi tramite le tasse. Ma se lo stato non esiste, nella pratica non esiste neanche alcun diritto legale a non essere aggrediti. È equivalente a dire che può avere giustizia solo chi può pagare. Tanto varrebbe dire che non vale alcun principio.

Rothbard descrive in diversi suoi scritti come abbiano prosperato società senza una forma riconoscibile di stato, soprattutto in riferimento a diversi gruppi di coloni nell'epoca pre-rivoluzionaria americana. Ma una cosa è una società piccola, con limitata divisione del lavoro e con popolazione quasi autosufficiente, praticamente una società in cui "si conoscono tutti", nella quale i meccanismi di giurisdizione possono funzionare anche con regole non scritte.

Ma in società evolute con divisione del lavoro intensiva? Società composte da moltitudini di persone che interagiscono e collaborano senza minimamente conoscersi? Mi avventurerei a dire che la certezza del diritto, quindi un giudizio univoco, è un'esigenza quasi più importante rispetto ad avere un giudizio giusto.

Anarco-capitalismo e stato limitato con diritto alla secessione: sono la stessa cosa? È importante?

L'aggressività dello stato a cui Rothbard vuole porre rimedio sostituendo lo stato con giurisdizioni in competizione è un'aggressività legale. Sì, lo stato può anche aggredire illegalmente o forzare l'interpretazione delle leggi in senso aggressivo, ma in sostanza il tema in esame è la propensione dello stato a farsi leggi ad hoc per permettere agli individui che ne hanno le redini di sottomettere gli altri. È in quelle leggi che sono insite le violazioni al principio di non aggressione. E quelle leggi possono essere imposte solo se sono accettate da gran parte della popolazione.

La prima difesa contro l'aggressione dello stato è il diritto a potersene andare. Il diritto alla secessione, cioè la possibilità di una parte della popolazione di staccarsi per formare una nuova giurisdizione o unirsi ad una giurisdizione diversa, costituisce il più potente incentivo per lo stato a non diventare troppo opprimente e va sempre difeso. Abbiamo visto come lo stato reagisce aggressivamente attaccandosi a dubbi cavilli legali quando c'è una minaccia di secessione anche in casi molto recenti, come quello della Catalogna, la Crimea, lo stesso Veneto in occasione del recente referendum, e altri. Anche nel caso dell'unione di stati americani, dove pure il diritto alla secessione era ben stabilito dalla legge, lo stato ha scatenato una guerra civile estremamente sanguinosa pur di impedire la secessione, accampando pretesti quando la reale ragione era come sempre di natura fiscale. Però non c'è alcun motivo per pensare che, senza un contesto legale unico, le varie giurisdizioni in competizione tra loro non siano altrettanto aggressive.

Si può disquisire riguardo a se il diritto alla secessione individuale sia equivalente all'anarco-capitalismo. Capita anche di  leggere che un insieme di giurisdizioni individuali sarebbe il fine ultimo del libertarismo. Sì, il diritto alla secessione individuale implica che l'appartenenza di un individuo ad una giurisdizione sia, alla fine,volontaria. Però non è la secessione individuale che interessa alla gente. Ciò che interessa è stabilire un insieme di regole e meccanismi per la convivenza, oltre ad un modo efficiente di avere forze dell'ordine che proteggano tutti: forze dell'ordine in competizione sullo stesso territorio non è un modo efficiente. È come deve essere organizzata la giurisdizione territoriale, inclusi l'autonomia locale, il principio di sussidiarietà e il diritto alla secessione, che dovrebbe essere l'oggetto dell'indagine politica. Se lo stato è aggressivo, non permetterà mai pacificamente la secessione. Se non lo è, non ci sarà in genere alcun interesse a perseguire la secessione.

E le tasse? Sono comunque in contrasto con il principio di non aggressione? Se lo stato svolgesse solo le funzioni di difesa dei diritti di proprietà, senza pretesa di dover fornire servizi di "stato sociale" o di intervenire nell'economia, le tasse dovrebbero essere molto basse, nell'ordine di pochi punti percentuali. La maggioranza della popolazione è ben disposta a pagare le tasse anche quando sono esose; a maggior ragione le pagherebbe di buon grado se fossero irrisorie. La "punizione" prevista per non pagare le tasse potrebbe essere anche solo l'ostracismo sociale, con la divulgazione pubblica di chi non paga. Quello che è fondamentale è la consapevolezza che le tasse non devono per nessuna ragione superare un limite (si può definire il 10% per ragioni tradizionali, ma dovrebbe essere molto meno) e che l'impiego delle risorse pubbliche va costantemente monitorato.

Allora cosa dovremmo fare?

Huerta de Soto scrive che il potere dello stato, combinato con la natura umana, forma un composto esplosivo che non si può più fermare. L'espansione dello stato è inevitabile. Scrive che i liberali classici non si sono resi conto che lo stato limitato è un'utopia irrealizzabile.

Ma la natura umana è sempre lì: non vedo allora perché la società anarco-capitalista non debba essere anch'essa un'utopia irrealizzabile. La propensione di una parte di uomini ad afferrare il potere della forza per sfruttare gli altri ci sarà anche se non c'è lo stato, e in breve tempo lo stato riapparirebbe.

Le vicende umane non sono e non saranno mai perfette. Però, e qui è la sfida, sono sempre migliorabili, e dopotutto nel corso della storia sono effettivamente migliorate in senso liberale, pur con tutti i corsi e ricorsi storici. Il modo in cui possiamo migliorare le cose non credo sia fantasticare su utopie politiche. Sta molto più nel diffondere conoscenza, nell'esporre idee economiche solide, nel chiarire la natura pericolosa dello stato e perché non bisogna mai trascurare la sorveglianza; nel far capire che le azioni immorali sono immorali anche quando a farle è lo stato; in sintesi, nel promuovere l'idea di libertà.

Rothbard stesso scrive che, qualunque sia il sistema politico, la "bontà" di gran parte della popolazione è necessaria per il fiorire della società. Mises scrisse dell''irrazionalità delle masse', pronte a dubitare proprio di quello che i liberali ottocenteschi avrebbero creduto dimostrato per sempre: un sistema liberale fa ottenere benessere per tutta la popolazione in modo ineguagliabile. Oggi assistiamo ad un rigurgito di idee socialiste in varie parti del mondo, in particolar modo tra i giovani, nonostante nulla abbia prodotto miseria al pari dei sistemi socialisti, sempre.

Particolarmente oggi che la nostra civiltà occidentale è sotto attacco da un progetto globalista che mira ad eliminare in confini storici per promuovere un'inquietante tirannia globale a cui sarebbe sempre più difficile sfuggire, mi sembra molto più centrata la soluzione di Ron Paul, "spiegare la moralità ed efficacia della libertà" rispetto alla soluzione di Rothbard, "abolire lo stato". Il fatto è che non si può affrontare con slogan politici un tema di natura morale.

Nota finale: Rothbard come Einstein, ma non è un complimento

Rothbard è stato un pensatore eccezionale, certamente uno dei più grandi intellettuali mai vissuti. Eppure la sua idea di abolizione dello stato a me è sempre parsa in un certo senso superficiale, quasi una resa; disquisizioni su un'utopia che trascura la natura e la storia dell'uomo. A volte penso che dovesse essere frustrante avere come riferimento Ludwig von Mises, perché, dopo di lui, sebbene le stesse idee potessero essere espresse e illustrate molto meglio (come Rothbard ha fatto), era molto difficile dire qualcosa di veramente nuovo.

Concludo con una nota che in realtà non c'entra nulla, legata al mio personale percorso di approfondimento. L'idea rothbardiana di abolizione dello stato mi ha sempre fatto venire in mente tutta un'altra storia, che ho approfondito diversi anni prima anche solo di sapere il nome di Rothbard. Anche in quel caso, di fronte ad un problema in apparenza insormontabile, fu ritenuta molto brillante l'idea di affermare che in realtà il problema non esiste.

Si trattava di tutt'altro campo rispetto a definire come dovrebbe essere lo stato. Il campo di indagine era la fisica e il problema era l'individuazione di un sistema di riferimento privilegiato. Stante la difficoltà di stabilire quale fosse il sistema di riferimento privilegiato che pure sembrava dovesse esistere, fu proposta l'idea che un tale sistema di riferimento in realtà non esista, in quella che è nota come 'teoria della relatività ristretta'. Elaborazioni probabilmente concepite come speculazioni ipotetiche su "come sarebbe se" vennero elevate a verità dimostrata e indiscutibile, sorvolando su svariati dati che indicavano tutt'altro, e, nel corso dei decenni, ostracizzando qualunque scienziato proponesse spiegazioni differenti. Da allora, la fisica non ha fatto altro che, per così dire, 'andare a spasso' su strade che non producono nulla. La fisica e l'astronomia moderne parlano di cose che hanno ben scarso legame con la realtà (e la realtà include i loro stessi riscontri sperimentali).

Di fronte ad un problema la cui difficoltà appare insormontabile, si propone qualcosa che è equivalente a cancellare il proprio stesso oggetto di studio. Può sembrare un'idea sensazionale, ma, come forse ci si potrebbe aspettare, alla fine non porta da nessuna parte.

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Qualche setimana dopo ho aggiunto anche Addendum a "Perché non sono anarco-capitalista"

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