Taki un po' imbarazzato racconta della sua amicizia con Lady Di

Taki Theodoracopulos (Takimag, 2 settembre 2017)

Ero agghiacciato. Lei aveva chiesto a Lord John Somerset di chiedermi di andare al suo tavolo, e mi alzai in modo piuttosto instabile per farlo. Questo accadeva ad un ballo da Jimmy Goldsmith; all'epoca scrivevo la rubrica Atticus su The Sunday Times, oltre all'High Life su The Spectator. Una mia fiamma tedesca dell'epoca mi avvisò di non andare. "Se vai da lei, è finita", mi disse. “Auf Wiedersehen”, risposi. La principessa mi fece cenno di sedermi, ed è qui che arriva la parte agghiacciante. Mancai la sedia e finii sotto al tavolo. Senza perdere un colpo, lei infilò la testa sotto e mi chiese: "Pensi veramente che sia pazza?" "Tutto quello che so è che sono pazzo di te", dissi.

È così che cominciò la mia amicizia con la principessa Diana, e credo questa sarà l'ultima volta che scriverò di lei; sembra che tutti gli altri ne abbiano parlato, così tanto vale che anch'io dica la mia. La ragione per cui voleva incontrarmi è perché avevo insinuato che fosse una pazza che cercava di far cadere la monarchia. Dopo questo inizio non certo sotto i migliori auspici -- io sotto al tavolo e lei chinata sotto a discutere del suo stato mentale -- rapidamente mi fece cambiare idea portandomi dalla sua parte. Badate bene, non parlava mai male di suo marito, né di chiunque altro della famiglia male. E io non mi impicciavo. Non sono esattamente un professionista quando si tratta di ficcare il naso. Il fatto che sia diventato un giornalista non significa che abbia dovuto scordare le buone maniere. Quello che Diana voleva era che io organizzassi una cena e invitassi i direttori dei maggiori quotidiani. Non disse esattamente così, ma fece in modo che una sua amica suggerisse che lei sarebbe stata veramente felice se l'avessi fatto.

Quindi lo feci. Se la memoria non mi tradisce, vennero Charles Moore, Alexander Chancellor e Dominic Lawson, insieme a diversi altri giornalisti. Fu a casa mia a Cadogan Square, e schierai tutto quanto possibile: grandi vini e abbastanza cibo da nutrire una divisione tedesca a Stalingrado. Il problema fu che lei non toccò alcool e spiluccò appena il cibo. Tutti noi altri invece finimmo piuttosto brilli. La voce che ci sarebbe stata la cena era trapelata e un paio di amici suonarono il campanello durante la cena. Mandai un valletto a dire loro di aspettare fuori fino a quando la cena fosse finita. Era uno scherzo, ma uno in particolare la prese veramente male.

Quello che seguì furono altre cene a casa mia e un pranzo a Kensington Palace, dove lessi a voce alta la parte finale di un racconto di Jay McInerney. In esso i nipoti scoprono durante una cena di Thanksgiving che la nonna aveva fatto un pompino al nonno la prima volta che si erano incontrati. Nessuno al tavolo rise tranne i domestici che stavano in piedi dietro di noi. Non seguirono molti inviti a Kensington Palace.

Una cosa che ricordo vividamente è l'ultima volta che le ho parlato. Fino a poco tempo fa pensavo di essere stato l'ultimo a parlare con l'icona della nostra epoca, fino a quando Richard Kay ha affermato di essere stato lui. Gli credo. Ero nel mio giardino a Gstaad e Nigel Dempster era mio ospite. Per fare impressione su di lui e farlo innervosire, gli dissi che avevo il numero privato del cellulare di Diana. Non mi credette, quindi la chiamai dopo avergli fatto promettere che non avrebbe fatto capire che stava ascoltando. "Ciao, sconosciuto", lei disse. "Questa è una telefonata professionale", dissi io con voce stentorea, e lei rise. "Presto porterai un asciugamano sulla testa?", aggiunsi. “You gotta be kidding”, disse lei con esagerato accento americano.

Lei morì quella sera stessa. C'è qualcosa da dire su di lei che non sia stato già scritto, discusso e commentato ad nauseam dai media di tutto il mondo? Ovviamente no. Qualcuno una volta mi disse che lei aveva chiesto di incontrarmi solo per usarmi. "Certamente spero sia così", dichiarai. Molti degli "esperti" di Diana che pontificano su di lei scrivendo e facendo apparizioni in TV, a malapena la conoscevano. Mi viene in mente Tina Brown, che ha incontrato Diana solo una volta ad un pranzo per le donne inglesi in America, o qualcosa di altrettanto banale. Secondo molti di loro, Diana cercava di influenzare la sua copertura mediatica rendendosi disponibile in modo selettivo.  Certamente lo faceva. Sebbene per nulla istruita, era intelligente e sapeva come manovrare gli uomini -- tranne, ovviamente, quelli che veramente contavano per lei. Contavano in senso romantico, cioè.

Non c'è bisogno di dire che la capacità di Diana di vendere è tuttora strepitosa.  Un nuovo romanzo di una donna americana narra di lei che sopravvive all'incidente a Parigi e torna indietro a perseguitare Camilla e sapete-bene-chi. L'autrice dice che non era interessata a scrivere una cosa da poco. Per carità! Penso sia ora di lasciarla in pace. Mi sento in imbarazzo persino scrivendo queste poche righe su di lei. L'ironia è che, quella notte fatidica, uno di quelli che odiavano Diana ed io avemmo una discussione su di lei e sulla famiglia reale. Quando giunse la notizia, quello che odiava Diana scoppiò in lacrime. Lei era un'attraente giovane donna che decise di contrattaccare nei suoi stessi termini. Fine della storia.

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Nota -- MM
Molti anni dopo i fatti, qualcosa mi incuriosì leggendo su qualche sito, così presi ad approfondire un po' la vicenda della morte di Diana per capire se effettivamente l'incidente fosse stato una fatalità. Cominciò distrattamente, non mi interessava veramente molto; finì che lessi per settimane tutti gli atti ufficiali dell'ultima inchiesta inglese che allora era in corso, mi sembra fosse il 2010, disponibili online. Si tratta di valanghe di testimonianze, scritte o con testimoni in persona all'inchiesta interrogati dagli avvocati, di documenti dalle precedenti inchieste, di ricostruzioni dettagliate delle azioni delle persone coinvolte, di fatti di tanto tempo prima e fatti avvenuti in seguito.

Fu addentrarsi in una storia affascinante sulla natura umana, nelle vite di miriadi di personaggi di tutti i tipi, a volte anche grotteschi e improbabili, appartenenti ad un mondo molto lontano dalle persone comuni ma sempre con le stesse emozioni e debolezze. Reali, magnati, paparazzi, guardie del corpo, agenti segreti, e tanti altri, che in qualche modo hanno fatto parte di tutto ciò che ha ruotato attorno alla principessa.

Non ho intenzione di raccontare questa storia e sarebbe molto lungo. Vorrei solo dire che, pur tra mezze verità e bugie, depistaggi, false tracce, alla fine i contorni vengono fuori piuttosto nitidi. La mia conclusione, credo la stessa di chiunque conosca i dettagli, è che non sia stata una fatalità. Fu omicidio premeditato e organizzato, e segnalato con diversi simboli massonici.

Perché fu uccisa? Fin troppi moventi sono stati tirati fuori, in gran parte del tutto fuorvianti. Io penso che fu per qualcosa di molto semplice e atavico, per qualcosa che le persone comuni faticheranno a capire, ma che è sempre stato un affronto pericoloso in tutta la storia: quello che si definisce lesa maestà. Penso che il suo ex-suocero fosse davvero infuriato con lei, dopo l'intervista in TV del 1996 e la copertura mediatica degli ultimi due mesi. Paradossalmente, la morte di Diana ha finito per rafforzare ancora di più la monarchia inglese.

In fondo anche Taki lo suggerisce, qualunque cosa pensi lui: "decise di contrattaccare nei suoi stessi termini".

Leggendo (il meno possibile) in questi giorni ho trovato mescolanze di cose vere e false, e molte omissioni, mentre tutti all'unisono hanno commemorato la principessa cercando di scacciare via il pensiero di ogni ombra sulla sua morte. Ho letto ad esempio che la loro presenza a Parigi fu decisa all'ultimo minuto, quindi non ci sarebbe stato modo di organizzare l'incidente, ma non è così: la loro presenza a Parigi quel giorno era prevista da settimane. Mi ha colpito, perché fu una delle prime informazioni che cercai, all'epoca.

Mohammed al Fayed ha speso decine di milioni di sterline di soldi suoi, ma soprattutto diversi anni della sua stessa energia e del suo stesso tempo, per far sì che ci fosse quell'inchiesta, combattendo fino all'ultimo più di dieci anni dopo i fatti, pur sapendo che il verdetto non poteva che essere contro di lui e avendo tutto da perdere. Chi crede che un uomo come lui avrebbe fatto tutto questo solo per qualche fissazione sua psicologica di rifiuto dell'idea di un incidente, forse potrebbe riflettere con meno superficialità. Le cose non vanno così. 

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