Un episodio della High Life di Taki, in cui l'attempato gentiluomo per un attimo dimentica la galanteria

Taki Theodoracopulos (Takimag, 26 novembre 2016)

NEW YORK—Se solo il mio amico grande cesellatore di parole Jeremy Clarke fosse stato con me, quanto si sarebbe divertito per la cosa veramente scortese che ho fatto la settimana scorsa! La prosa di Jeremy è al suo meglio in queste occasioni, ma, ahimè, egli si trova nella terra del formaggio e dell'impressionismo. Avevo appena finito di pranzare con il mio amico Alex Sepkus, un designer di gioielli eccezionale, e un prete cattolico di cui non rivelerò il nome, in considerazione di quanto seguì. Dopotutto, la Chiesa Cattolica ama i peccatori, ma il teppismo non è incoraggiato.

Camminavo lungo la Quinta Avenue, gremita in modo soffocante di gente in giro per acquisti, di curiosi e di turisti, quando sono giunto presso la Cinquantaseiesima Strada, bloccata da polizia armata e barriere d'acciaio, un imbottigliamento enorme, a causa di manifestanti che gridavano e lanciavano insulti alla roccia di vetro nero che è la Trump Tower. Una donna con un cartello e l'apparenza di una Madame Defarge del ventunesimo secolo era di gran lunga quella che gridava più forte. Non avevo mai visto tanto odio, i suoi occhi erano fessure di furore e disprezzo per l'uomo che padroneggiava sopra la folla da molto più in alto.

Nel momento in cui l'ho urtata lievemente passando oltre, non so cosa mi è preso ma le ho gentilmente chiesto se faceva anche i pompini. Senza perdere il ritmo lei ha fatto roteare il cartello, cercando di ficcarlo nella mia testa, ma ha sbagliato mira. Un poliziotto l'ha vista e ha cercato di arrestarla. Però quando ha visto che ridevo ci ha ripensato e l'ha solo avvertita di non farlo più.  Mi sono perso tra la folla, ma per circa un minuto lei si è dimenticata di Donald lassù in alto e ha gridato insulti rabbiosi contro il povero piccolo ragazzo greco. Alcuni turisti hanno smesso di fissare la torre nera e hanno chiesto di sapere chi fosse il signore elegante che aveva fatto infuriare a quel modo la manifestante. "Mi ha scambiato per Trump", è tutto quello che ho detto.

Quelli per cui mi dispiace sono i commercianti al dettaglio i cui negozi ora sono bloccati da questi robot programmati - pagati per protestare da George Soros, aggiungerei - specialmente durante questo periodo di grandi acquisti per le feste. L'ironia è che questi manifestanti spiritualmente invalidi sono pagati per fare quello che fanno, mentre i negozianti non vendono nulla. I manifestanti pagati sono attori maledettamente bravi. Mostrano un'intensità bruciante, una sofferenza sentita, una lacerazione straziante, emozioni che non si trovano più sui palcoscenici o sul video. Nessuno degli imbecilli che stanno attorno e osservano le proteste ha molto da dire sulle difficoltà dei negozianti. La gente che lavora, dopotutto, è quella che ha votato nel modo sbagliato, quindi che vadano all'infermo. La donna a cui ho posto quella domanda piuttosto indelicata era bianca, di mezz'età, e molto brutta. Ma ben vestita, molto probabilmente la proprietaria di una piccola fortuna lasciatale o da un marito che si è suicidato, oppure da un padre che pure si è tolto la vita.

Badate bene, se il cartello avesse colpito l'obiettivo potrei non essere qui a scrivere. Mi hanno salvato i miei capelli bianchi, per quanto riguarda il poliziotto. Ero l'unico ad indossare un completo da uomo tra migliaia di persone vestite come minatori di carbone, ma senza la dignità di quegli uomini forti che scendono sottoterra. Che cos'è a fare della superiorità morale una ragione di protesta tanto fasulla quanto efficace? Come è mai possibile che uno degli uomini - a mio avviso, si intende - più malvagi non dietro le sbarre, George Soros, riesca a mascherarsi di virtù pagando gente piena di sé, soprattutto giovani ricchi, per protestare mentre le telecamere sono accese, e di certo sono accese non-stop dal martedì di due settimane fa? Madame Defarge a parte, i manifestanti mi ricordano di Tony Last, tenuto prigioniero da un pazzo che recitava Dickens all'infinito. Staranno gridando gli stessi slogan otto anni da ora, o finché durano i miliardi disonestamente guadagnati di Soros.

Soros è un serpente. Opera nel nome della virtù invece che nel nome di avidità, materialismo e cupidigia - cioè il suo credo. Non c'è bisogno di dirlo, i media stanno pompando questa confezione come mai prima. Il New York Times, quella vecchia strega, il cui maggior azionista è il messicano pimpante di nome Carlos Slim, con un patrimonio di 50 miliardi di dollari, ha abbandonato ogni pretesa di giornalismo e obiettività e ora stampa solo storie adatte a demonizzare Trump. ("E' l'apocalisse...") Persino le foche ammaestrate si sono unite alla giostra. Mi è capitato di trovarmi a teatro seduto vicino a Netanyahu, circa quindici anni fa, durante un periodo in cui non era al potere. Se qualcuno del cast lo avesse esortato, durante un intervallo, a smettere di costruire insediamenti illegali e occupare la Cisgiordania, l'indignazione sarebbe stata universale, e giustamente così. Nonostante Israele abbia occupato la Cisgiordania dal 1967, Trump non ha occupato la Casa Bianca, almeno non ancora, e mentre gli israeliani hanno occupato la Cisgiordania con la forza delle armi, Trump occuperà la Casa Bianca dopo un voto legale. E tuttavia una foca ammaestrata legge a voce alta le sue preoccupazioni ed è applaudito per questo. L'arroganza e l'ostilità del cast di Hamilton illustra la ragione per cui Trump traslocherà al 1600 di Pennsylvania Avenue tra qualche settimana.

Non imparano mai, proprio mai, e continuano a restare nella patetica convinzione che i rapper e le star dei reality e gli attori e i trafficanti professionisti di lamentele  rappresentino la vera America. Nel frattempo, se qualcuno di voi visita New York e soffre di agorafobia anche nella forma più leggera, stia lontano dalla Quinta Avenue e dalla Cinquantaseiesima Strada.

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