Il dottor Dalrymple con il consueto sense of humour (e qualche beata ingenuità) affronta la catastrofe finanziaria in arrivo... non si sa quando

Theodore Dalrymple (takimag, 16 febbraio 2019)

Ci sono pochi piaceri nascosti più forti di contemplare una futura catastrofe. Fortunatamente, siamo viziati da un'ampia scelta: se non è il ritorno dell'influenza spagnola, è lo scioglimento dei ghiacciai dell'Himalaya, oppure il collasso completo del sistema finanziario mondiale. Quest'ultimo è il mio preferito: giustizia sarà fatta e tutti avremo il nostro ben meritato castigo. Alcuni di noi sono stati prodighi di spese a credito, altri sono stati avari e non hanno stimolato l'economia, e altri ancora incautamente hanno omesso di prestare attenzione agli avvertimenti sullo tsunami finanziario in arrivo.

Da molti anni sono un lettore saltuario di una newsletter finanziaria che predice, più o meno settimanalmente, il collasso imminente del sistema. Il trucco, suppongo, è scegliere la settimana corretta in cui entrare nel panico, in quanto un giorno (se la storia è in qualche modo da seguire, e non abbiamo molto altro a farci da guida) sarà vero, ci sarà un Armageddon finanziario. Nel frattempo, tuttavia, la vita continua nel suo modo mediocre, né completamente soddisfacente né interamente insoddisfacente, né interamente gioiosa né completamente miserabile, né sempre interessante né sempre tediosa.

Contemplare catastrofe in arrivo è un buon modo di scacciare il tedio. Ha tutti i vantaggi e l'interesse di una catastrofe senza i relativi inconvenienti.  Una settimana fa, o giù di lì,  ho letto nella mia newsletter un avvertimento di disastro imminente così persuasivo (per un ignorante finanziario come me) da deliziarmi. Quanto segue è derivato da qualcun altro al punto tale che non posso omettere di citare l'autore le cui idee sto descrivendo, un analista finanziario di nome Nikolai Hubble.

Tralasciando il solito auto-elogio degli analisti finanziari che enfatizzano la correttezza delle proprie passate predizioni, o di quelle delle organizzazioni per le quali lavorano ora (di solito sono in qualche modo meno disponibili sui dettagli delle previsioni che non si sono avverate), il quadro delineato da subito mi è sembrato parecchio convincente. Naturalmente, nessuna previsione di disastro è piacevole a meno che non sia quantomeno plausibile, a meno che non lusinghi o dia soffio vitale ad idee che già esistono in stato embrionale nella mente di una persona; e io ritengo da molto tempo che stiamo ballando sul cratere di un vulcano finanziario.

Il nostro autore allarmista informa gli outsider come me che quelli che conoscono i fatti finanziari stanno già trasferendo i loro asset nel rifugio, presumibilmente sicuro, della Svizzera. Non ho idea se questo sia vero o meno, ma ho fin troppa voglia di crederci. È certamente vero che l'anno scorso il prezzo delle azioni delle banche europee si è più o meno dimezzato, suggerendo che gli investitori istituzionali sappiano qualcosa sulla loro precarietà che io, povero misero di un piccolo cliente che sono, non so, fiducioso che ogni euro o dollaro o sterlina che deposito in loro sia perfettamente al sicuro e mi sarà restituito quando ne avrò bisogno.

Il valore dei titoli italiani è sceso, il tasso di interesse chiesto per l'emissione di nuovi titoli è aumentato (come è stato per diversi altri paesi dell'Europa meridionale), e il governo italiano ha scelto questo momento per aumentare le spese statali. Però le banche europee hanno immense quantità di titoli italiani, ed è stato loro permesso di metterli a bilancio come asset non a rischio, a differenza di tutti gli altri tipi di asset.  Un crollo del loro valore sarebbe più che sufficiente a spazzare via le riserve di capitale di molte grandi banche, che sono tutte esposte al debito italiano (e altri) tramite il groviglio di prestiti intrecciati. Se alcune banche starnutiscono, altre prenderanno la polmonite, e le somme coinvolte se questo accadesse sono così enormi che le conseguenze saranno incalcolabili.

Le banche non saranno in grado di rispettare i propri impegni, e, come a Cipro non molto tempo fa, i depositi saranno congelati e una parte di essi sarà sequestrata -- semplicemente espropriata -- per la ricapitalizzazione.  (Questo accadde ad un mio vicino di casa che vendette la sua attività per diversi milioni e depositò il ricavato in una banca cipriota perché i tassi di interesse che offriva erano superiori, solo per scoprire poco dopo che quasi il 10% del suo denaro era in effetti stato rubato, mentre l'accesso al resto era così ristretto che gli ci vorranno anni per tirarlo fuori.)

Nel caso di collasso del valore dei titoli italiani e altri, il congelamento delle banche non sarebbe più periferico, confinato alla Grecia o Cipro, ma sarebbe pan-europeo. Se così fosse, l'attività economica si ingripperebbe, il valore delle azioni crollerebbe di almeno metà, a milioni finirebbero a dedicare la vita a cercare per mangiare a sufficienza, e il baratto sarebbe nuovamente il principale mezzo di sussistenza. È improbabile che enormi popolazioni prendano tutto ciò altrettanto pacificamente di come hanno fatto (tutto quanto considerato) i greci. La Gran Bretagna sarebbe particolarmente vulnerabile a tumulti violenti, perché la famiglia è stata duramente bistrattata dalle politiche del governo per le quali tutta la solidarietà sociale deve passare attraverso lo stato, in bancarotta esso stesso e non in grado di rispettare i suoi impegni. Inoltre, mentre i greci diplomati hanno potuto emigrare verso paesi più prosperi, non esiste una simile valvola di sicurezza per moltitudini di milioni di europei. La rivoluzione è lontana non più di un collasso finanziario.

Perché è stato permesso che questa situazione si sviluppasse? Secondo il nostro autore, i governi, le banche centrali e le banche commerciali hanno tutti colluso per mantenere in piedi il sistema. Con poche eccezioni, i governi devono continuare a prendere a prestito per mantenere, pur al minimo, le promesse che hanno fatto alle popolazioni. Non prendere a prestito richiederebbe tagli alle spese così severi da produrre caos politico.

Ma è giustificato il panico, che il mio articolo suggerisce sia la risposta razionale?  Il debito non è dannoso in se stesso se può essere pagato e se è impiegato per fini economicamente produttivi, e la proporzione di PIL che va a pagare il debito in Europa non è per nulla a massimi senza precedenti.  Il debito nazionale del Giappone è più di due volte quello della Gran Bretagna in rapporto al PIL, ma mantenerlo costa meno della metà in proporzione al PIL di quanto costi alla Gran Bretagna. Questo suggerisce, almeno a me, che i debiti fatti dai giapponesi siano stati molto più produttivi di quelli inglesi, usati largamente per sostenere uno standard di vita non guadagnato per una larga fetta della popolazione. Un debito speso per rendere disponibili alle masse fast food e schermi piatti non è lo stesso di debito a cui si ricorre per (tra altre cose) costruire una superba infrastruttura.  In altre parole, i giapponesi sono stati seri e gli inglesi frivoli.

Suppongo che alla fine il nostro destino sia deciso dal sentimento di mercato: le cose possono continuare come sono fino a quando la gente crede che possano farlo. Personalmente, non credo che possano continuare, ma non so in quale preciso momento sopravverrà l'impossibilità. Perciò rimango calmo e vado avanti, godendomi il mio panico di terza mano.

(Traduzione Maria Missiroli)

You have no rights to post comments