Il duo savoniano composto da Fabio Dragoni e Antonio Maria Rinaldi ha scritto su MF un articolo nel quale, ripartendo dal divorzio tra Tesoro e Banca d’Italia del 1981, arrivano a suggerire alcuni provvedimenti per contenere il costo del debito pubblico.

Ovviamente la lettura del divorzio è tipica di chi ha nostalgia di quanto avveniva prima, con la Banca d’Italia obbligata a monetizzare il debito pubblico non assorbito dalla domanda di mercato, onde contenere la spesa per interessi.

E’ indubbio che la spesa per interessi in rapporto al Pil sia triplicata nei tre lustri successivi al divorzio e che il debito sia raddoppiato, sempre in rapporto al Pil. Ma ciò non significa che fosse preferibile quanto avveniva in precedenza. Semplicemente la fine della monetizzazione automatica avrebbe dovuto comportare la fine della spesa in deficit, cosa che, al contrario, non è avvenuta.

Dragoni e Rinaldi vorrebbero una sorta di ritorno al passato, perché in Germania la Bundesbank mantiene in conto future vendite le quantità di titoli di Stato che non riesce a collocare ai tassi obiettivo.

In un momento di particolare tensione sui tassi di interesse, accompagnato dall’allargamento dello spread Btp-Bund, serve quindi un immediato ripensamento (a) del ruolo di Via Nazionale, che dovrebbe avere la facoltà di intervenire in asta acquistando i titoli in “conto future vendite” al pari della Buba qualora i rendimenti in asta siano superiori agli obiettivi di costo prefissati, e contemporaneamente (b) del meccanismo di asta dei titoli pluriennali ipotizzando che il sistema delle aste competitive valido per i Bot… sia sostanzialmente esteso a tutti gli altri strumenti emessi dal Tesoro, Btp e Cct in primis.”

 

Partendo dalla fine, non avrei nulla in contrario al passaggio ad aste competitive anziché a prezzo marginale anche per i titoli a medio-lungo termine.

Quanto al primo punto, invece, si tratterebbe di reintrodurre dalla finestra la monetizzazione pre divorzio. Contrariamente a Dragoni e Rinaldi, credo che sarebbe opportuno che la Germania interrompesse l’uso del cosiddetto “conto future vendite” da parte della Bundesbank, non che l’Italia tornasse al passato (peraltro vietato dal Trattato Ue). Anche a voler tacere della diversa disciplina fiscale storicamente dimostrata dai due Paesi.

 

Chi fisserebbe gli obiettivi di costo, se non il Tesoro? E quanto sarebbe alto il rischio che il “conto future vendite” funzionasse a senso unico, ossia che quel “futuro” non arriverebbe mai? Secondo me molto elevato.

 

In definitiva, questa è l’ennesima variante dei tentativi di usare la stampante monetaria per consentire allo Stato di spendere senza freni. In attesa del piano B del mentore degli autori.

(Matteo Corsini)