Contento di aver appena ottenuto la definitiva conversione in legge dell’indegno “decreto dignità”, Luigi Di Maio si è espresso sul futuro di Alitalia.

Se da un lato non sarà possibile fare una nazionalizzazione da regime socialista “per tutta una serie di norme europee che io vorrei ridiscutere” (quella della ridiscussione delle norme europee è una formula magica valida per ogni faccenda), dall’altro Di Maio non ha dubbi sul futuro di Alitalia:

E' evidente che per questo governo deve restare un vettore dello Stato italiano legato a realtà produttive italiane e allo stesso tempo voglio sincerarmi con i cittadini del fatto che non vogliamo mettere altri soldi dei contribuenti, ce ne sono già abbastanza. Dobbiamo razionalizzare la spesa e fare in modo che i partner possano portare avanti delle sensibilità politiche e non solo le regole del business.”

 

Ora, è del tutto impossibile, non solo improbabile, che possano realizzarsi contemporaneamente queste due condizioni:

1) che i pagatori di tasse non debbano buttare altri soldi in Alitalia;

2) che un partner porti avanti “sensibilità politiche e non solo le regole del business”.

Nessuno metterebbe soldi in Alitalia per restare in minoranza e gestire la compagnia con “sensibilità politiche” (ossia in modo non economicamente sensato) se non avesse qualche altra forma di compensazione da parte del socio di maggioranza.

E il socio di maggioranza la compensazione potrebbe riconoscerla solo attingendo direttamente o indirettamente alle tasche dei pagatori di tasse.

Considerando che quasi un italiano su tre di quelli che sono andati alle urne lo scorso 4 marzo ha votato per Di Maio e compagni di stelle, non mi meraviglierei se anche questa affermazione piena di cose inconciliabili tra loro fosse creduta.

 

Siamo messi così. Siamo messi male.

(Matteo Corsini)