Qualche settimana fa la Corte suprema degli Stati Uniti, ribaltando i precedenti due gradi di giudizio, ha considerato legittimo il rifiuto opposto nel 2012 da un pasticcere di Lakewood, in Colorado, a preparare per due uomini una torta nuziale.

Sull’inserto domenicale del Sole 24Ore Ermanno Bencivenga ha commentato il fatto. Ecco Alcuni passaggi.

 

La parola «tolleranza» è spesso usata, con enfasi e senza molto riflettere, per designare una generica virtù positiva; ma, come ho mostrato nel mio libro Prendiamola con filosofia, può accadere che la tolleranza entri in contraddizione con sé stessa e causi l’insorgere di un dilemma morale (o legale). Il caso che ho descritto ne è un brillante esempio. Una coppia gay ha il diritto che vengano tollerate le sue preferenze sessuali. D’altra parte, una persona che svolge un lavoro creativo e in tale lavoro si esprime, ha il diritto che vengano tollerate le sue preferenze su che cosa è disposto o non è disposto a esprimere. E un diritto esclude l’altro; una forma di tolleranza si oppone all’altra.”

In effetti la parola “tolleranza” è spesso usata a sproposito. In casi come questo meglio concentrarsi sulla tutela dei diritti.

 

Nel mio libro auspicavo che, di fronte a casi tanto controversi, la comunità istituisca un dialogo interno per stabilire priorità fra i diritti che si escludono, o eventualmente aree speciali in cui l’uno o l’altro diritto venga sospeso. Nel caso in questione, per esempio, si potrebbe proporre che una persona creativa che realizza un’opera per un committente stia esprimendo non le proprie opinioni ma quelle del committente. Non c’è speranza, però, che in un ambiente così radicalmente partigiano come quello degli attuali Stati Uniti (o, mi sembra, dell’attuale dappertutto) si riesca a condurre con civiltà e spirito costruttivo un dialogo del genere.”

 

Non credo che dovrebbero essere necessari accrocchi come quello proposto da Bencivenga, perché la persona, creativa o meno che sia, deve pur sempre decidere a priori se fare qualcosa in linea o meno con le idee del committente. Se fosse obbligato, non avrebbe la possibilità di decidere.

Bencivenga ricorda, poi, che la Corte suprema ha risolto la questione censurando il comportamento della Commissione dei diritti civili del Colorado, alcuni membri della quale avevano definito la fede di Phillips (il pasticcere) spregevole e lui stesso un bugiardo, e avevano paragonato il suo atteggiamento a quello di chi difende la schiavitù o l’Olocausto (senza che nessun altro membro obiettasse).

In realtà sarebbe bastato rispondere a una semplice domanda: nel caso in questione, il pasticcere ha un obbligo a servire ogni potenziale cliente oppure può rifiutarsi di farlo? Se tale obbligo sussiste, allora viene meno la libertà contrattuale del pasticcere e, in ultima analisi, il suo diritto di proprietà risulta violato. Viceversa, se tale obbligo non sussiste, nulla può pretendere un potenziale cliente che si veda rifiutato l’ordine, a prescindere dal motivo.

 

Ovviamente in un mondo (minimamente) libertario la questione sarebbe stata risolta constatando che il pasticcere non aveva alcun obbligo di accettare l’ordine di quei due signori. Punto.

(Matteo Corsini)