Alle prese con l’emergenza Covid-19, mentre c’è chi pensa solo a proporre piani di spesa da decine, centinaia o migliaia di miliardi, qualcuno rilancia anche ipotesi di tassazione patrimoniale da introdurre a emergenza passata per smaltire la gran quantità di nuovo debito che sarà accumulato in questi mesi.

Per esempio Fabrizio Onida, il quale scrive:

Non perdiamo di vista però che massicci interventi della Bce, ricorso a prestiti condizionali del Mes, emissione di Eurobond e simili, mentre vengono incontro a importanti esigenze di liquidità, non attenuano i ricorrenti sospetti dei mercati che l’accresciuto fabbisogno di liquidità in soccorso del settore privato nasconda una vera e propria (sia pure eccezionale) crisi di insolvenza del debito sovrano. Da qui il rischio di ricorrenti pressioni al rialzo dello spread sui titoli pubblici, che aggravano le condizioni del debitore, possano tradursi in una vera “emergenza” di sostenibilità del debito pubblico dei Paesi più fragili come l’Italia. Ma perché più fragili? Il governo dovrebbe mandare segnali credibili ai mercati sulla sostenibilità del debito stesso.”

E quel segnale non può venire che da un ragionamento in stile stato patrimoniale consolidato pubblico-privato.

Guardiamo ai numeri. Con una ricchezza netta delle famiglie grande 8,4 volte il reddito disponibile (una ricchezza pro capite di 158mila euro, superiore a quella della Germania: dati Bankitalia) gli italiani potrebbero ben assorbire l’introduzione di qualche forma di tassazione annuale della ricchezza (non solo immobiliare come Imu e cedolare sugli affitti). Parliamo di tassazione annuale delle rendite finanziarie in generale, probabilmente preferibile a ipotesi di pesante prelievo una tantum sullo stock di risparmio (governo Amato 1992), e anche di prestiti irredimibili a rendimento quasi zero da tempi di guerra. Tenuto conto che più di due terzi della ricchezza netta è concentrata nel quinto più ricco delle famiglie, e un altro 15% della ricchezza appartiene al quintile subito inferiore (ancora dati di Bankitalia), tale tassazione delle rendite finanziarie potrebbe essere disegnata rispettando il vincolo costituzionale della progressività.”

Beh, ci mancherebbe non rispettare il sacro vincolo costituzionale della progressività.

Onida mette anche le mani avanti.

Anticipo almeno due obiezioni: 1 accrescere la pressione fiscale sui privati in una fase di recessione è una mossa autolesionista che aggrava la recessione stessa; 2 qualsiasi annuncio di imposta patrimoniale fa fuggire i capitali all’estero, riducendo la base imponibile.”

Ce ne sarebbe anche una terza: una imposta patrimoniale sulle rendite finanziarie è per definizione una stupidaggine, dato che una rendita è al più un reddito, ossia un flusso, e non un patrimonio, ossia uno stock.

E ci sarebbe anche una quarta obiezione: una imposta patrimoniale sulle attività finanziarie esiste già, anche se è ipocritamente camuffata sotto la dicitura”imposta di bollo”.

Per non parlare della obiezione generale, che però i non libertari di solito non considerano o non condividono, per cui ogni forma di tassazione è equivalente a una violazione della proprietà del soggetto tassato.

Onida, comunque, ritiene di poter “smontare” le due obiezioni:

Alla prima obiezione risponderei che l’accresciuta tassazione patrimoniale, ben calibrata per pesare poco o nulla sui due quinti dei contribuenti che detengono tutti assieme meno dell’8% della ricchezza privata, inciderebbe solo marginalmente sulla spesa delle famiglie.”

Un approccio utilitarista abbastanza grossolano, che peraltro finirebbe per scontrarsi con la crescente necessità di gettito, quindi non mi stupirei se nella definizione di “ricco” rientrasse dopo poco tempo anche l’italiano medio.

Alla seconda obiezione, ricorderei intanto che a confronto con la maggioranza degli altri Paesi europei l’Italia si segnala per un carico fiscale sbilanciato che penalizza i redditi da lavoro rispetto alle rendite, e inoltre che un’aliquota modesta sui patrimoni non dovrebbe spaventare. Colleghi assai più esperti di me potrebbero essere più precisi circa i mezzi di cui altri governi si sono crescentemente dotati per colpire forme di fuga dalle proprie responsabilità verso paradisi fiscali vicini e lontani.”

E’ tipico di chi argomenta come Onida confrontare il sistema fiscale italiano facendo cherry picking sulle forme di imposizione. Quindi tralasciare il fatto che in Italia si tassa ormai anche l’aria che si respira (per di più rendendo complicato pagare tutti i balzelli), concentrandosi sulle forme di tassazione in cui lo Stato ha la mano un po’ meno pesante che altrove, ovviamente prendendo come esempio i Paesi che, sull’imposta specifica, calcano maggiormente la mano.

Quanto ai mezzi per “colpire forme di fuga dalle proprie responsabilità”, il tutto suona abbastanza sinistro. Sarebbero vincoli all’esportazione di capitali. Perché anche quelli devono stare in casa. E non solo per il tempo necessario a far passare la poandemia.

(Matteo Corsini)

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