Tornato alla direzione dell’Agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini si è rivolto ai dipendenti con il classico discorso motivazionale infarcito di “giustizia sociale”, “fisco equo” e altre parole d’ordine trite e ritrite.

Affrontando il malcontento dei dipendenti, sottodimensionati a dire dei loro sindacati, Ruffini ha parlato di “una nuova stagione di riforme in materia tributaria per rimettere tutti sul fuso orario di un Paese moderno e sostenere la crescita, le partite Iva, chi fa impresa, le famiglie, così come i professionisti del settore.”

Non so su quale fuso orario sia sincronizzato l’orologio di Ruffini, ma dubito che il fisco possa essere uno strumento di sostegno per “la crescita, le partite Iva, chi fa impresa, le famiglie, così come i professionisti del settore”. Semmai il contrario.

Quanto ai dipendenti, Ruffini ha concluso:

Svolgiamo un servizio importante, necessario. Chiediamo anche di essere rispettati come servitori fedeli dello Stato. Cercherò di ricordarlo sempre a tutti. Così come ricorderò sempre a tutti – a tutti i livelli – il lavoro e la professionalità delle donne e degli uomini di agenzia delle Entrate e di agenzia delle Entrate-Riscossione, due grandi strutture che devono funzionare nel migliore dei modi proprio per il ruolo centrale, fondamentale che hanno per lo Stato e gli italiani.”

Anche accreditando questi signori delle migliori intenzioni, dubito che “gli italiani” associno un significato positivo al ruolo “fondamentale” svolto da costoro. Per i pagatori di tasse sono per lo più fondamentali nel rendere ancora più detestabile il versamento dei vari oboli.

Per quanto la retorica statalista cerchi da tempo immemore di identificare lo Stato con i suoi cittadini, si tratta in realtà di due insiemi non coincidenti. Servire al meglio lo Stato non può essere fatto se non a danno dei pagatori di tasse. Non c’è alternativa.

(Matteo Corsini)

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