Non è una novità che lo Stato italiano, oltre ad avere pretese fiscali tra le più esose a livello europeo e non solo, sottoponga anche i pagatori di tasse a complicazioni notevoli e assuma atteggiamenti che più che quelli tra sovrano e suddito (già indigeribili, a mio parere) ricordano quelli tra padrone e schiavo.

La gran parte dei pagatori di tasse è, volente o nolente, costretta a rivolgersi a professionisti per gli adempimenti fiscali. Costoro, a loro volta, si trovano puntualmente ad avere a che fare con gli atteggiamenti di cui sopra, con provvedimenti retroattivi e istruzioni per un adempimento che escono alla sera quando la scadenza è il giorno dopo.

Di questo i commercialisti vanno lamentandosi da tempo, e hanno anche ragione. Tuttavia la mia impressione è che si siano svegliati tardi e che per troppo tempo abbiano in realtà avuto un atteggiamento erroneamente “servile” nei confronti del fisco, a volte dando l’impressione di dimenticare che a pagare la loro prestazione è il cliente.

E’ di questi giorni la notizia di uno sciopero dei commercialisti, nel caso specifico per una questione legata agli Indicatori Sintetici di Affidabilità fiscale (ISA), ennesima diavoleria di un fisco a perenne caccia di quattrini.

Avanti pure con questo sciopero, ma poi capita di leggere dei commenti sulla questione, come quella di Angelo Cremonese sul Sole 24 Ore, che a me fanno cadere le braccia.

Secondo Cremonese:

Indipendentemente dai giudizi di merito circa l’opportunità di questa scelta, va registrata una netta ed inconciliabile contrapposizione fra lo Stato e coloro che rappresentano, direttamente, le esigenze di migliaia di professionisti e, indirettamente, i diritti dei cittadini e delle imprese che assistono. Questa frattura ha origini lontane e cause strutturali. Volendo sintetizzare al massimo i problemi più significativi possiamo segnalare: una storica forte reciproca diffidenza, una inspiegabile attitudine a privilegiare la forma sulla sostanza, una ricorrente mancanza di trasparenza nei complessi meccanismi di verifica, accertamento, riscossione e contenzioso.

In effetti l’atteggiamento del fisco è paragonabile a quello di taluni magistrati, secondo i quali parrebbe che tutti fossero colpevoli fino a prova contraria.

Secondo Cremonese serve un “cambiamento di sostanza e non solo di forma, che possa finalmente far superare quell’idea troppo spesso diffusa e dannosa di considerare il Fisco come un nemico da combattere. In questi ultimi giorni abbiamo invece assistito ad un ennesimo esempio di “sordità” da parte dell’Amministrazione finanziaria delle ragioni che con forza e determinazione la categoria dei commercialisti ha cercato di rappresentare.” 

Al di là della retorica del “fisco amico”, uno dei tanti ossimori che i governanti di turno hanno propinato ai pagatori di tasse, i comportamenti dell’amministrazione fiscale non hanno fatto altro che dare forza all’idea che Cremonese ritiene, oltre che diffusa, anche dannosa.

Ma se l’avversione verso il fisco, a maggior ragione quando assume i comportamenti di quello italiano, è considerata dannosa, significa in sostanza che non si mette realmente in discussione nulla. Che il fisco aggiunga complicazioni e vessazioni alle sue pretese è un’aggravante, ma il problema resta, a mio parere, la sostanza delle pretese stesse.

Fino a quando le lamentele riguarderanno la forma senza mettere in discussione la sostanza, non si farà altro che perdere tempo.

Credo che questi signori dovrebbero leggere e riflettere su queste radicali ed efficaci parole con le quali Lysander Spooner paragona lo Stato a un bandito di strada:

Il ladro si limita a rapinarvi: non cerca di rendervi il suo zimbello e il suo schiavo, come fa lo Stato ogni qualvolta vi obbliga a fare qualcosa dicendo che è per il vostro bene, ergendosi ad arbitro morale delle vostre vite”.

(Matteo Corsini)

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