Come è noto, il 19 marzo il Tribunale Ue ha riconosciuto la legittimità dell’intervento del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi (Fitd) nel salvataggio della Cassa di risparmio di Teramo (Tercas), contro cui si era dichiarata la Commissione europea e nello specifico la commissaria alla Concorrenza Margrethe Vestager, che ravvisava un aiuto di Stato.

Ciò costrinse allora le banche aderenti al Fitd a costituire un braccio volontario del Fondo, che a seguito della restituzione dei soldi (300 milioni) da Tercas li riconferì. La questione fu sistemata, ma nel frattempo interventi analoghi del Fitd a sostegno di altre banche in crisi sfumò, con conseguente risoluzione di Carife, Banca Marche, Carichieti e Banca Etruria. Nel caso di Carife l’intervento del Fitd era addirittura già stato approvato dall’assemblea straordinaria della banca.

Ora in Italia tutti quanti sparano contro Vestager, con richieste di dimissioni avanzate dal presidente dell’ABI. Lei si difende rimandando la responsabilità alla Banca d’Italia, che a sua volta fornisce la sua versione dei fatti. Padoan, allora ministro dell’Economia, difende a sua volta la (in)azione del governo dell’epoca.

Ovviamente la colpa è una brutta bestia, che nessuno vuole. Io credo che le responsabilità non siano di una sola parte. La Commissione Ue evidentemente esagerò i suoi poteri, se lo riconosce perfino il Tribunale Ue. Ma la tutt’altro che sollecitudine dimostrata in Italia tanto dal governo dell’epoca, quanto dalla Banca d’Italia e dalle stesse banche non va dimenticata. Quelle banche erano in crisi da anni, per cui il tempo per cercare una soluzione meno “cruenta” di quella di novembre 2015 ci sarebbe stato.

Tutto questo però mi interessa relativamente in questa sede. Vorrei invece soffermarmi su una questione più generale. Se la direttiva BRRD, che prevede il salvataggio di una banca con sacrificio da parte di azionisti e creditori, tanto subordinati quanto senior, se necessario, fu introdotta probabilmente in modo errato, senza un adeguato periodo transitorio, il principio su cui si fonda a me pare incontestabile. Non deve essere chiamato il contribuente a farsi carico delle crisi bancarie, di fatto proteggendo gli investimenti altrui.

Resta il fatto che ipotizzare una “risoluzione ordinata” e supporre che intermediari anche di dimensioni non significative non creino effetti di contagio e sistemici a livello quantomeno di mercato domestico a me appare del tutto irrealistico e sostanzialmente smentito fin qui dalle crisi verificatesi negli ultimi anni.

Alla fine il conto pagato dalle altre banche e anche dai contribuenti non è stato irrisorio, probabilmente non inferiore ai tempi in cui gli interventi erano preventivi, né credo lo sarebbe in caso di future crisi.

Tutto questo, a mio parere, non per via del principio sottostante la BRRD, bensì per come ancora oggi e in un futuro prevedibile funzionano e sono regolate le banche. Le quali, operando in regime di riserva frazionaria, si trovano costantemente a essere a rischio insolvenza. Nonostante l’aumento dei requisiti di liquidità e patrimoniali imposti negli ultimi dieci anni, infatti, le banche ancora oggi operano con carenza di mezzi propri e con una significativa trasformazione delle scadenza, per di più con attivi generalmente illiquidi, come lo sono i prestiti a famiglie e imprese.

Fino a quando non saranno messi in discussione il modello stesso di attività bancaria e, di conseguenza, la sua regolamentazione, ogni tentativo di applicazione della BRRD darà luogo a contagi più o meno consistenti.

In definitiva, come ho già sostenuto in passato, introdurre il bail-in senza mettere in discussione la riserva frazionaria è come volere la botte piena e la moglie ubriaca.

(Matteo Corsini)

 

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