Come è noto, il disaccordo tra M5S e Lega sulla realizzazione della TAV Torino-Lione ha fin qui prodotto una serie infinita di pretesti per rimandare la decisione. Da ultimo la grottesca parte dell'azzaccagarbugli assunta dal'"avvocato del popolo", Giuseppe Conte.

L’analisi costi benefici chiesta dal ministro Toninelli è stata da più parti criticata, sia perché sarebbe stata affidata a esperti prevalentemente contrari (pare in via pregiudiziale) all’opera, sia per come è stata condotta.

Inevitabilmente quando si conduce un’analisi che tenta di prevedere il futuro entrano in gioco molte variabili soggettive, a maggior ragione se l'orizzonte temporale si estende per decenni. Se poi di mezzo c’è la politica è altrettanto inevitabile che sorga il dubbio in merito a un’analisi fatta con reverse engineering, ossia partendo dal risultato che si intende ottenere.

Non voglio entrare nel merito della diatriba sul sì o no alla TAV. Mi limito a osservare che quando la proprietà non è interamente privata e/o allo Stato è concesso di espropriare i proprietari questi esiti sono inevitabili.

Mi capita, però, di leggere critiche “tecniche” all’analisi costi benefici che sono a loro volta criticabili. Per esempio, Mario Baldassarri (già vice ministro dell’Economia a inizio millennio in uno dei governi di centrodestra a guida Berlusconi e oggi presidente del centro studi Economia reale), critica, tra le altre cose, il tasso di sconto utilizzato per attualizzare i costi e i benefici.

È stato scelto il 3 per cento. Ebbene, sessant’anni fa un altro mio grande maestro, Robert Solow, ha definito un teorema: se il tasso di interesse supera il tasso di crescita dell’economia, il debito pubblico è insolvibile», poiché cresce più del Pil e il suo rapporto è destinato ad aumentare verso... l’infinito! Ne deriva che la Relazione “dice” implicitamente che tutti i debiti pubblici europei, non solo quello italiano, sono oggi insostenibili. Infatti non c’è nessuna economia europea che possa avere una crescita a più del 3% per tutti i prossimi cinquant’anni e tale da fronteggiare un tasso di interesse al 3 per cento. Per di più, se il tasso di interesse è al 3% e la crescita all’1%, significa che dire che i benefici delle future generazioni “valgono” il 2% in meno rispetto alla attuale generazione. Per quarant’anni, significa che i futuri cittadini valgono “meno” rispetto a noi di oltre l’80 per cento. In realtà il tasso sociale di sconto, normalmente applicato nella storia, è sempre stato molto più basso, tra lo zero e l’1 per cento.”

E’ indubbiamente vero che se il costo del debito eccede la crescita del Pil il debito tende a essere insostenibile, ossia c’è la tendenza al default. L’Italia, per esempio, è in questa situazione da ormai oltre due decenni.

Il che è vero anche se si valuta un investimento privato, laddove il rendimento atteso dall’investimento sia inferiore al costo del suo finanziamento (il valore attuale netto di tale investimento è negativo, come dimostrerebb l’analisi costi benefici oggetto di diatriba).

Va detto, peraltro, che si tratta di confrontare il costo del debito con la crescita nominale del Pil. Da questo punto di vista, per l’Italia non è effettivamente ragionevole pensare a una crescita nominale del Pil stabilmente superiore al 3 per cento annuo, se non ipotizzando un consistente aumento del deflatore, ossia dell’indice di prezzi utilizzato per calcolare il Pil reale. Altri Paesi europei mostrano ancora tassi di crescita nominali anche superiori al 3 per cento.

Quanto al 3 per cento da utilizzare come costo del debito, il tasso, per quanto soggettivo, non lo è di meno di quello proposto da Baldassarri. Un tasso compreso tra zero e 1 per cento è oggi realistico (ipotizzando di finanziare l’intera opera all’apertura dei cantieri, o quanto meno di fissarne in anticipo, tramite opzioni, il costo massimo: ipotesi in realtà abbastanza irrealistica) solo per la Germania, qualche altro Stato nord europeo o emittenti sovranazionali, come la BEI.

Per l’Italia il costo del debito a lungo termine è ben superiore al 3 per cento. Il BTP trentennale costerebbe oggi attorno al 3.5-3.6 per cento (l’ultima emissione, un mese fa, è stata collocata al 3.9 per cento), ed è stato sotto il 3 per cento solo in pieno QE della BCE. Il che, tra l’altro, conferma i problemi di sostenibilità del debito pubblico italiano.

Né si può pensare di finanziare un’opera a lungo termine con debito a breve, perché evidentemente il rischio di dover poi rinnovare il debito a tassi ben superiori è significativo (si tratta, peraltro, di una prassi abbastanza diffusa in Italia, non solo nel settore pubblico).

E’ pur vero che non tutta l’opera sarebbe a carico dell’Italia, mentre l’analisi costi benefici è stata condotta (altro fatto contestato) considerandola nella sua interezza. Per quanto riguarda l’Italia, però, utilizzare un tasso di sconto compreso tra zero e 1 per cento sarebbe a mio parere ancora più arbitrario e meno realistico che utilizzare il 3 per cento.

Di certo, più basso è il tasso di sconto utilizzato, maggiore è il valore attuale netto, dato che i benefici sono più avanti nel tempo rispetto ai costi, quindi vanno scontati per un periodo più lungo.

Per inciso, lo schiacciamento verso il basso dei tassi di interesse provocato da una politica monetaria espansiva è anche al centro dell’analisi del ciclo economico della scuola Austriaca di economia. Tale schiacciamento fa apparire profittevoli (ossia, con un valore attuale netto positivo) investimenti che non lo sarebbero a tassi di mercato non distorti.

Il che comporta che un ritorno verso tassi di interesse meno distorti a seguito dell’interruzione dell’espansione monetaria (e dell’eventuale fase restrittiva) genera un esito fallimentare per tali investimenti (che Mises definiva “malinvestimenti”).

In definitiva, non dubito che esistano diversi argomenti per criticare l’analisi costi benefici. Ma pensare che sia finanziabile dall’Italia a un tasso inferiore a 1 per cento a me pare molto meno realistico di ipotizzare il 3 per cento, che pure è inferiore al costo attuale di emissione di BTP trentennali.

Finendo per dare l’impressione che certe critiche all’analisi costi benefici corrispondano a null’altro che reverse engineering partendo da un risultato opposto a quello della commissione che ha prodotto l’analisi per il ministero del Trasporti.

(Matteo Corsini)

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