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Maria Missiroli (13 ottobre 2014)

La rete di collaborazione invisibile

Io non sono capace di produrre neanche una delle materie prime con cui si prepara il cibo che consumo. Nonostante sia convinta che sarebbe meglio saperlo fare, è molto comodo per me che le materie prime che consumo siano prodotte da altri, persone che in genere non conosco e non ho mai visto. Al più, conosco le persone che lavorano affinché queste materie prime siano disponibili vicino a dove vivo, in modo che per me sia agevole procurarmele. Tutte queste persone lavorano per me volontariamente, ognuna motivata da considerazioni economiche individuali, le quali suggeriscono che per rendere ottimali le proprie possibilità di consumo occorre lavorare per andare incontro ai desideri di altri.

Naturalmente ottengo queste materie prime in cambio di denaro, che anch’io cedo volontariamente e solo nei casi in cui mi aggrada. Il denaro che ho a sua volta mi è stato dato in cambio di qualcosa che ho fatto (o fatto da qualcun altro di cui sono beneficiario). Questo lavoro, attraverso una serie di scambi più o meno lunga, contribuisce a produrre qualcosa che è desiderato anche da chi produce le materie prime che compro.

Il mercato è una rete di collaborazione inconsapevole tra persone che non si conoscono in cui ognuna ha interesse a compiere qualcosa che sia apprezzato da altri. Quello che si vede è un meccanismo intricatissimo di milioni di persone che inventano, producono, trasportano, vendono, comprano, il quale funziona spontaneamente quasi come un orologio senza essere stato pianificato da nessuno. In qualsiasi situazione, anche la più difficile, anche se deve essere in grotte nascoste, una forma di mercato sorge spontaneamente. La capacità del mercato di creare prosperità è fenomenale e molto robusta rispetto agli ostacoli che può incontrare. Però questa robustezza non è infinita: a forza di mettere ostacoli agli scambi volontari tra persone, si può arrivare al punto in cui anche il mercato tracolla.

Spesso si sente parlare di “mercato” in senso spregiativo, ma nessuno sano di mente direbbe che il mercato è una cosa cattiva in sé. Tutte le cose, anche molto buone, possono dar luogo ad eccessi, il cibo è un esempio quotidiano. Il “mercato” può avere connotazione negativa solo se inteso nell’eccesso di far trascurare aspetti più fondamentali della vita umana. Stabilire che “la domenica non si fa mercato” può essere una sana regola spirituale; eliminare il mercato sarebbe una catastrofe per la società.

Comprare basso e vendere alto: il principio universale del mercato

Il funzionamento del mercato poggia sul principio che ognuno vuole comprare al prezzo più basso e vendere al prezzo più alto. E’ il principio per cui, ad esempio, pochi avrebbero da obiettare all’aumento del proprio stipendio. Questo principio è praticamente universale anche se ci sono casi in cui per i più svariati motivi non sembra sia così. Nell’ambito del mercato si intende normalmente con “prezzo” il corrispettivo materiale (in genere monetario), ma in generale il “prezzo” nelle interazioni umane include tutta una serie di considerazioni individuali che possono non aver nulla a che fare con il denaro. Anche chi ha l’obiettivo di aiutare delle persone, non considera meritorio cercare la via più faticosa o costosa per ottenere il medesimo risultato.

Un commerciante in gamba in un mercato serio non ha come obiettivo rifilare ad un cliente una cosa ad un prezzo più alto di quanto il cliente troverebbe a pochi metri ma non lo sa. Sarebbe una pessima strategia commerciale che metterebbe a repentaglio i suoi introiti futuri; piuttosto, ogni commerciante di successo dedica notevoli sforzi a sincerarsi che i suoi prezzi non siano troppo alti. Il “prezzo più alto” a cui vuole vendere in generale non è il prezzo di ogni singolo scambio.

Vendere alto e comprare basso è la traduzione in termini commerciali della spinta ad utilizzare efficientemente, tenendo conto non solo dell’immediato ma anche con lungimiranza futura, le proprie risorse. Non è "egoismo”: è il principio che permette di creare abbondanza per tutti[1].

Il sistema dei prezzi, la legge della domanda e dell'offerta

Vediamo di illustrare i meccanismi del sistema dei prezzi sul mercato.

La “domanda” di una merce consiste in generale di un certo numero di potenziali compratori; ogni compratore ha un prezzo massimo per cui è disposto ad acquistare la merce e preferisce comprarla al minor prezzo possibile (supponiamo per semplicità di esposizione che si tratti sempre di acquisti unitari; in realtà, invece del numero di compratori la domanda è composta dalla quantità di merce che i compratori sarebbero disposti ad acquistare). C'è una relazione monotona decrescente tra prezzo e numero di potenziali compratori, cioè all'aumentare del prezzo calano i compratori e viceversa; come è fatta questa relazione, cioè di quanto aumenteranno i compratori al diminuire del prezzo o viceversa (la derivata), dipende da ogni singola situazione; in generale la relazione sarà tutt’altro che lineare, specialmente agli estremi. Supponendo che questa curva di domanda sia costante, il mercato della merce in questione tende a stabilizzarsi su un prezzo, naturalmente uguale per tutti i compratori, che è quello che massimizza il profitto del venditore. Il profitto è la differenza tra costi e ricavi; la struttura dei costi dipende dalla quantità del bene prodotto, anche se non necessariamente i costi aumentano in modo proporzionale alla quantità. Il profitto in funzione della quantità di merce venduta (a cui corrisponde un prezzo di vendita) presenta un massimo: se il prezzo di vendita è superiore a tale valore, si vende di meno e il profitto si riduce, se il prezzo è inferiore si vende di più ma di nuovo il profitto si riduce, fino al punto in cui si azzera e diventa una perdita.

Se ci sono più venditori, in generale essi avranno una struttura dei costi diversa tra loro e quindi un diverso valore di prezzo di vendita che massimizza i profitti. Se ci sono venditori che massimizzano il profitto per un prezzo di vendita inferiore, gli altri venditori dovranno anch’essi ridurre i loro prezzi di vendita, altrimenti non venderanno quanto preventivato. I loro profitti si riducono; se comunque rimangono accettabili, questi venditori continueranno l'attività e cercheranno di migliorare la loro struttura dei costi.

Si affermano cioè i venditori più efficienti, che massimizzano i profitti soddisfacendo il numero più alto di compratori.

Se si modifica la domanda, cioè la relazione tra numero di compratori e livello di prezzo, si modifica di conseguenza il prezzo che massimizza i profitti. Se aumenta la domanda a parità di beni prodotti, il prezzo a cui il venditore massimizza i profitti è più alto e i profitti aumentano; questo aumento di profitti stimola una maggiore produzione, che tende a ribassare il prezzo. Se cala la domanda, il prezzo che massimizza il profitto a parità di beni prodotti scende; scende anche il profitto, e la produzione tende a scendere, spingendo il prezzo a rialzarsi. L’attività di vendita del bene si riassesta e continua fintanto che la domanda consente comunque a qualcuno di ottenere profitti sufficienti. E così via in tutta una serie di meccanismi che rispondono alle variazioni stimolando effetti contrari.

Ovviamente il mercato è composto da infinite e complesse situazioni diverse, le merci non sono mai del tutto uguali tra un venditore e l’altro, qualcuno è più bravo a farsi conoscere e a vendere, luoghi anche vicini possono avere prezzi completamente diversi, ecc., ma i principi che abbiamo visto sono sempre validi e si adattano ai diversi contesti.

Il sistema dei prezzi e la legge della domanda e dell’offerta sono espressione del fatto che il mercato premia l’efficienza e contiene in sé dei meccanismi spontanei di robustezza alle variazioni. Il sistema dei prezzi guida la produzione verso il miglior utilizzo delle risorse: un prezzo alto di una risorsa segnala che si tratta di una risorsa molto scarsa rispetto alle richieste, quindi invita ad impiegarla solo nei casi in cui il suo specifico impiego comporta un vantaggio notevole rispetto ad alternative più economiche.

Eliminare il sistema dei prezzi, come intendeva fare Marx, significa rendere impossibile l’uso efficiente delle risorse. Un’economia completamente pianificata dal governo potrebbe, per ipotesi, essere guidata dal più bravo e onesto pianificatore, ma anche costui, non potendo fare riferimento ad un sistema di prezzi, non può impedire la deriva dell’allocazione delle risorse verso l'irrazionalità. Immaginate di dover andare a fare la spesa senza poter sapere i prezzi né di quanto denaro si dispone! Nel 1922 Ludwig von Mises dimostrò l’”impossibilità del calcolo economico” sotto un regime puramente marxista, dimostrazione che nessuno poté confutare ma che gli attirò le ire degli innumerevoli accademici marxisti, che da allora cercarono escamotage teorici per uscire dal problema della mancanza del sistema dei prezzi nei regimi socialisti. I regimi socialisti del ventesimo secolo hanno resistito tanto solo perché all'esterno c'erano paesi con un sistema dei prezzi determinato dalle fluttuazioni del mercato, a cui i pianificatori dei regimi socialisti potevano fare riferimento.

I "problemi" del libero mercato?

I sostenitori della necessità di regolare il mercato citano numerose possibilità di insorgenza di “malfunzionamenti” del libero mercato, i quali presumibilmente avrebbero effetti disastrosi e di conseguenza dovrebbero essere impediti per legge. Ne esaminiamo due, il price dumping e il price gouging, ma considerazioni analoghe si possono fare anche per gli altri, incluso l’insider trading, che è trattato addirittura come un reato grave.

Il price dumping (o predatory pricing) consisterebbe nel praticare prezzi molto bassi per periodi prolungati, vendendo in perdita, in modo da eliminare i concorrenti, in base al meccanismo illustrato poco sopra, e poter poi praticare prezzi più alti in regime di monopolio. Non c'è molto da dire, se non che si tratta di una sorta di leggenda metropolitana. Ci sono tanti modi, non imputabili al libero mercato, in cui qualcuno può essere iniquamente avvantaggiato rispetto ai concorrenti in modo da poter praticare prezzi più bassi, come nel caso di privilegi fiscali. La situazione di libero mercato è proprio quella che non offre garanzie sulla presenza o meno di concorrenti futuri, per cui lavorare in perdita deliberatamente in una situazione di libero mercato non ha mai senso economico. E’ la presenza di barriere all’ingresso per nuovi concorrenti che può rendere vantaggioso il price dumping, barriere che sono costituite essenzialmente da regolamentazioni governative. Come è spesso il caso, si incolpa il mercato di qualcosa che è causato da limitazioni al libero mercato. Si sente dire che i grandi gruppi industriali praticherebbero price dumping approfittando della loro forza per mettere fuori mercato i piccoli produttori e diventare monopolisti; nella realtà quello che normalmente succede è che i grandi gruppi industriali utilizzano la loro forza per far promulgare leggi ad hoc dai governi in modo da penalizzare i piccoli produttori. Per controbattere la possibilità di price dumping, la via migliore è togliere regole, non metterne di nuove.

Il price gouging è un meccanismo in genere noto anche tra la gente comune; nel seguito cercherò di mostrare come questo presunto "malfunzionamento" del mercato sia un esempio di argomento a favore del libero mercato, non contro come solitamente si dice.

Gli alberghi al mare costano molto di più ad agosto che a gennaio. Durante le fiere gli alberghi in città e vicino alla città hanno prezzi molto più alti del solito. E’ un fatto che non stupisce e non scandalizza nessuno. La domanda di camere d'albergo è molto più alta in certi periodi e l’offerta praticamente la stessa. E’ considerato normale che i prezzi siano più alti. Ma se un aumento della domanda e/o un calo dell’offerta avvengono improvvisamente per qualche motivo imprevisto, e soprattutto se avvengono in seguito ad una calamità, l’aumento dei prezzi è bollato come “speculazione”.

Alcuni albergatori di New York sono stati denunciati e condannati per i prezzi praticati in corrispondenza agli eventi dell’11 settembre 2001, quando molte persone si trovarono bloccate per la chiusura dell’aeroporto. “Profitti sulle disgrazie altrui”, “discriminazione verso i meno ricchi”, sono accuse tipiche. Ora, è vero che l’albergatore momentaneamente guadagna di più in conseguenza della disgrazia, ma non è colpa sua se è successa. Lui adegua la normale legge di mercato alla situazione modificata. Il prezzo più alto segnala che la risorsa è diventata più scarsa e invita alla gestione più efficiente, ad esempio a dividere ogni stanza tra più persone rispetto a quanto si farebbe normalmente, oppure a darsi da fare per procurarsi una sistemazione alternativa (da un amico o parente, ad esempio) se ciò è possibile, in modo che la risorsa rimanga disponibile solo per chi ne ha assoluto bisogno. Se il prezzo rimane uguale, non c’è alcun incentivo ad economizzare una risorsa divenuta più scarsa. Occorre provvedere ai razionamenti, ci deve essere qualcuno che decide a chi allocare le camere, e così via, in genere ottenendo risultati decisamente peggiori rispetto a lasciare liberi i meccanismi di mercato. Il miglior risultato si avrebbe liberalizzando il più possibile il mercato, almeno temporaneamente in occasione dell’emergenza, nell'esempio dell'11 settembre lasciando libertà a chiunque di affittare camere e farsi pagare, senza ripercussioni burocratiche e fiscali.

La situazione può essere più seria rispetto trovare un posto per la notte. Se avviene una catastrofe come un’inondazione che rende inutilizzabili molte abitazioni, il prezzo dei materiali da costruzione, ad esempio il legno, si impennerà. “I soliti speculatori che non hanno pietà per chi è colpito dalla calamità”, sono pronti a storcere il naso tanti che sono al calduccio per nulla affetti dalla catastrofe. Il prezzo alto in realtà segnala che il materiale è divenuto più scarso e va usato solo per cose fondamentali. Al tempo stesso il prezzo più alto tende ad attirare maggiore quantità del materiale, “deviandolo” da altre località in cui il prezzo sarebbe invariato. Imponendo un prezzo massimo, non si crea alcun interesse ad economizzare il materiale né ad attirarlo in quantità maggiori. Occorre mettere in atto un razionamento e far trasportare coercitivamente più materiale nelle zone colpite. I burocrati sono convinti di saper far meglio del mercato con le loro misure coercitive. Nei fatti le misure di controllo dei prezzi in molti casi hanno causato ulteriori disagi e miseria alle persone già colpite dalla natura, prolungando le loro sofferenze e rendendole sempre più dipendenti dalle autorità.

Leggi sul controllo dei prezzi massimi o minimi sono state adottate tante volte nel corso della storia nelle occasioni e con le modalità più varie. Sono immancabilmente propagandate alle masse come misure a loro favore contro gli “approfittatori”, mentre in realtà si tratta solitamente di un tentativo di nascondere gli effetti sui prezzi di azioni del governo, come è il caso tipico durante le guerre. Il prezzo fissato per legge diminuisce i profitti dei fornitori, al punto che per alcuni il profitto diventa non più sufficiente a giustificare l'attività. (Ricordiamo che l’uomo intraprende un’attività di produzione solo se la prospettiva del frutto del suo lavoro ha sufficiente valore per lui rispetto a fare altro o non far niente.) Ostacolando la libera collaborazione a mutuo vantaggio, si creano gli “scaffali vuoti”, le file e il tempo perso nelle stesse, le tessere per il razionamento, e il mercato nero, dove le cose si possono acquistare ma a prezzi più alti di quelli che avrebbero avuto sul libero mercato, perché l'illegalità introduce un costo addizionale (il caso di mercato nero che esiste accanto al mercato legale praticando prezzi più bassi perché evita le tasse è un tema diverso).

Effetti del furto e delle tasse

La diffusione del furto è distruttiva per l’economia, oltre che per gli effetti individuali immediati, perché in prospettiva riduce la fiducia sull'entità del frutto del proprio lavoro e quindi può scoraggiare la produzione. Un esempio semplice è quello delle biciclette, così facilmente rubabili senza che ci siano da parte delle autorità troppi sforzi per eliminare il problema. La prospettiva che la bicicletta possa essere rubata disincentiva a lavorare per costruire una bicicletta, o, in modo equivalente, a spendere denaro per farsela costruire da qualcun altro, anche se si gradirebbe molto avere una buona bicicletta. Una bicicletta che può facilmente essere rubata non ha lo stesso valore di una bicicletta che durerà anni. Il risultato è sotto gli occhi di tutti ad esempio a Bologna dove vivo: circolano soprattutto biciclette vecchie, scassate, a malapena intere e con prestazioni pessime, da paese del terzo mondo. Nessuno ci ha guadagnato. In generale la diffusione del furto mantiene povera la società.

Le tasse sono un prelievo forzoso che ha anch’esso l’effetto di diminuire l'entità del frutto del proprio lavoro. Un certo ammontare di tasse (mai superiore al 10%) può essere necessario per finanziare servizi volti a garantire il buon funzionamento della società (giustizia, ordine pubblico, difesa) che beneficiano tutti. L’aumento delle tasse per finanziare altre attività dello stato è deleterio per innumerevoli motivi: decurta i profitti e quindi può disincentivare gli investimenti e la produzione; favorisce il potere di una classe di burocrati che oltre ad appropriarsi di buona parte del frutto del lavoro altrui lo usa spesso per ostacolare ancora di più tale lavoro, inserendo regolamentazioni eccessive e inutili che aumentano i costi e favoriscono alcuni gruppi a scapito di altri; invece di chi riesce a produrre efficientemente, avvantaggia chi si impegna a trovare modi per pagare meno tasse, rendendo profittevoli professioni e lavoro che non portano alcun vantaggio alla società e che non esisterebbero senza le tasse (ad esempio, succede che i fiscalisti guadagnino più degli ingegneri); le attività gestite dallo stato senza vincoli di efficienza di mercato competono con le attività private per i lavoratori e le risorse, alzando ulteriormente i costi di produzione.

Il prelievo di tasse in quantità molto più onerosa di quanto sarebbe ragionevole viene giustificato a fronte di servizi che lo stato dichiara essere suo compito offrire ai cittadini, sull'altare del mito della "giustizia sociale", e a spese che sostiene per investimenti e opere dichiarati di pubblico interesse. Ora, non è teoricamente impossibile che lo stato compia investimenti che si rivelano indovinati, o che in qualche caso i servizi che offre siano di grande qualità, e effettivamente questo talvolta succede, in genere per iniziative e meriti individuali. Complessivamente, però, i servizi che lo stato offre sono nettamente e sempre più inefficienti. La sanità pubblica parte promettendo cure e soggiorni termali, finisce col non avere sufficiente materiale sanitario nei reparti di terapia intensiva, pur spendendo sempre di più.

Il denaro estorto con la forza e gestito da burocrati finisce inevitabilmente per creare meccanismi perversi che mortificano il comportamento virtuoso e premiano quello scorretto.

E non sono solo le tasse. Lo stato decreta che quello che fa è talmente essenziale che occorre anche indebitarsi; si impegna per pagamenti futuri per guadagnare consenso da parte dei beneficiari (dipendenti, pensionati), impegni a cui lo stato non può far fronte con i soli proventi delle tasse. Quindi compete con il mondo produttivo privato anche per il risparmio, che finisce in buona parte a finanziare spese dello stato invece che investimenti privati, deprimendo ancor più la produttività e la crescita economica. Lo stato è appoggiato in questo da una teoria economica che proclama che se lo stato diminuisse le spese si genererebbe crisi economica.

Libero mercato e intervento statale

I sostenitori della necessità di un forte intervento statale sull’economia amano ridicolizzare i sostenitori del libero mercato dicendo che questi ultimi “sostengono che il mercato non sbaglia mai” (cfr. Paul Krugman, in un editoriale sul New York Times del 2012). In realtà nessun sostenitore del libero mercato pensa né ha mai detto questo; il mercato è composto dall’interazione di innumerevoli persone che spesso sbagliano, e anche di grosso. Però il mercato ha in sé dei meccanismi di autocorrezione, per cui evolve in una direzione certo non perfetta ma comunque positiva. L’intervento statale, al contrario, ha in sé dei meccanismi per spingono all’amplificazione dell’errore: per rimediare agli effetti negativi di una misura economica si introducono ulteriori misure, che a loro volta producono effetti negativi da qualche parte, che faranno gridare alla necessità di altri interventi e così via.

Si dice anche che il libero mercato favorirebbe la concentrazione di ricchezza in mano a pochi impoverendo gli altri. E’ vero esattamente il contrario: il libero mercato migliora le condizioni di tutti, non di tutti contemporaneamente allo stesso modo ma di tutti, e tende a ridurre le differenze di ricchezza. Qualcuno può diventare molto ricco, ma è proprio il libero mercato la situazione in cui è più difficile mantenere lo status di ricchezza superiore a quella degli altri. Se fosse sufficiente essere ricchi, possedere capitale, per diventare sempre più ricchi, perché mai i ricchissimi di un tempo avrebbero insistito tanto per avere leggi che con la forza garantissero loro dei privilegi? Il problema causato dai ricchi non sta nel fatto di essere ricchi, ma nel fatto di usare la loro ricchezza, oggi come sempre, per ottenere privilegi dallo stato tramite leggi che li avvantaggiano rispetto agli altri, privilegi che sono contrari al libero mercato.

Infine, è forse il caso di sottolineare che libero mercato non vuol dire che non ci devono essere regole: innanzitutto c'è la regola non aggredire o danneggiare la proprietà altrui, che da sola pone restrizioni severissime. Inoltre, le autorità dovrebbero ottemperare al compito importantissimo di stabilire regole di interesse pubblico, non discriminatorie, che tutti devono rispettare. Stabilire che a Roma non si costruiscono edifici più alti di San Pietro non è contro al libero mercato. E così tante altre cose. Quello che conta è che lo spirito, nelle azioni delle autorità e soprattutto nella consapevolezza della popolazione, sia quello di proteggere e non ostacolare la libera collaborazione tra gli uomini.

(Maria Missiroli)

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Introduzione all'economia

1. Cos'è l'economia

2. La teoria del valore

3. Il denaro

4. Il mercato

5. L'espansione del credito e il business cycle


[1]Uno scrittore di fantascienza morto qualche anno fa, a me molto caro, di inclinazione libertaria ma non troppo ferrato in economia, in un racconto dei primi anni 2000 descrisse una società immaginaria in cui le contrattazioni tra venditore e acquirente avvenivano al contrario di come siamo abituati a pensare: il venditore cercava di spuntare il prezzo più basso e l'acquirente insisteva per pagare più di quanto richiesto. Un dialogo di contrattazione lasciava di stucco un visitatore proveniente da una società come la nostra, il quale chiedeva spiegazioni alla ragazza "indigena" che gli faceva da guida. Lei allora diceva che in quella società era normale così, nessuno cercava di ottenere più di quanto gli "fosse necessario" e non esisteva la logica di "comprare basso e vendere alto". Era una scena affascinante e all'epoca - ancora non sapevo nulla di economia - mi colpì profondamente. Lo scrittore era uno che mai avrebbe sostenuto l'idea di limitare coercitivamente il mercato. Però, con questa immagine voleva esprimere il suo disgusto rispetto ad una società in cui l'ansia di far soldi, di avere di più, passava sopra ad ogni altra considerazione. Sarebbe meglio, gli sembrava, se l'atteggiamento degli uomini fosse quello descritto nella scena.

Anni dopo, e molte letture di economia dopo, ho capito dov'era il problema.

In un libero mercato nulla vieta che ci possano essere contrattazioni del tipo descritto nella scena immaginata; effettivamente a volte le cose vanno proprio così. Le considerazioni che possono guidare l'uomo nei suoi scambi con gli altri possono essere di vario tipo. Però, la spinta a "comprare basso e vendere alto" rappresenta la spinta dell'uomo a cercare di migliorare la propria e l'altrui condizione di vita. Quello che è considerato "necessario" agli uomini cambia nel tempo, anche molto rapidamente, e per fortuna è così. Se non avesse la spinta ad ottenere di più dalle proprie risorse l'uomo sarebbe verosimilmente rimasto in una condizione primordiale.

Lo scrittore, a mio parere, cadeva vittima di un mito molto diffuso, anche perché certamente le fonti di informazione principali non fanno nulla per sfatarlo: il mito che l'ansia di fare soldi e l'eccessivo rilievo dato ai possedimenti materiali siano in conseguenza dell'economia di mercato. Il ruolo fondamentale delle banche centrali è sottaciuto e mai analizzato a fondo, come non lo è il fatto, strettamente connesso alle banche centrali, che la teoria economica dominante sia quella keynesiana. Il denaro che circola e su cui è basata l'economia attuale è denaro fittizio, contraffatto, disonesto. La capacità delle banche centrali di iniettare grandi quantità di questo denaro nel sistema bancario produce distorsioni enormi, ad esempio situazioni in cui si può guadagnare moltissimo con speculazioni assurde dal punto di vista della reale produttività. Se il denaro è onesto, garantito da qualcosa di concreto, non è tanto facile fare soldi se non producendo qualcosa a cui gli uomini attribuiscono valore. Il denaro fiat delle banche centrali è assolutamente in contrasto con il libero mercato! Mi sembra che abbia poco significato criticare gli uomini perché sarebbero "attratti solo dal denaro" senza dedicare un po' di tempo a considerare che tipo di denaro è alla base della società e perché.