22 febbraio 2014

L'anno scorso  partecipai alla revisione per il sito vonmises.it della traduzione di questo brano di Rothbard. Non lo conoscevo prima, difficilmente leggo cose su Marx, così finì per  colpirmi profondamente: mi resi conto che dovrebbero davvero bastare queste due fulminanti pagine di Rothbard e Mises per distruggere in modo definitivo ogni argomento marxista. Effettivamente la domanda più pertinente sul marxismo mi sembra sia: Come è possibile che tanta gente si sia lasciata incantare da simili assurdità?

Anche adesso, centocinquant'anni dopo, e dire che il tempo per rifletterci bene c'è stato, anche dopo tutto quello che è successo nel secolo scorso, centinaia di milioni di persone nel mondo considerano la teoria marxista alla stregua di un alto ideale. Persone del tutto normali, spesso molto intelligenti, dall'aria pacifica e benevola. Anche tra i cristiani e tra i cattolici in particolare, anche tra i tradizionalisti, nonostante la Chiesa rispetto al marxismo almeno una posizione categorica l'abbia presa, molti, se non apertamente marxisti, pensano che Marx in fondo un po' di ragione ce l'avesse. Adesso abbiamo persino un papa che non ci va lontano.

Questo brano smaschera la totale irrazionalità su cui si basa la teoria marxista, che è - mi verrebbe da dire è apertamente - una dichiarazione d'odio verso il genere umano. E allora perché il persistere di tanta devozione? Mi sembra di poter concludere che il successo di una simile ideologia sia una dimostrazione lampante di come l'odio e l'invidia abbiano una corsia preferenziale verso il cuore degli uomini. Ne dovremmo essere ben consapevoli, eppure molti si fanno trovare completamente indifesi, irretiti dal conforto di essere una moltitudine.

MM

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di Murray N. Rothbard (da mises.org)

Estratto dal volume 2, capitolo 12 di An Austrian Perspective on the History of Economic Thought (1995)

Anche Marx deve velatamente riconoscere che ad agire nel mondo reale non sono “forze produttive materiali” e nemmeno “classi”, bensì esclusivamente la coscienza e le scelte individuali. Anche nell’analisi di Marx, le classi, o gli individui che le compongono, devono diventare coscienti dei propri “veri” interessi di classe, affinché possano agire per perseguirli o raggiungerli. Secondo Marx, il pensiero, i valori e le teorie di ogni individuo sono tutti determinati non dal proprio personale interesse, bensì dall’interesse della classe alla quale l’individuo presumibilmente appartiene. Questo è il primo errore fatale nell’argomentazione: perché mai ogni individuo dovrebbe tenere in maggiore considerazione la classe a cui appartiene invece di se stesso? In secondo luogo, per Marx, questo interesse di classe determina i pensieri e i punti di vista dell’individuo; deve farlo, perché ogni individuo è capace soltanto di “ideologia” o falsa coscienza dell’interesse della sua classe. Non è capace di una ricerca della verità disinteressata e obiettiva, né di perseguire il suo stesso interesse o quello di tutta l’umanità. Ma, come von Mises ha fatto notare, la dottrina di Marx ha la pretesa di essere pura scienza non ideologica, e al tempo stesso di essere scritta espressamente per far progredire l’interesse di classe del proletariato. Mentre tutta la scienza economica e tutte le altre discipline di pensiero “borghesi” furono interpretate da Marx come false per definizione, in quanto razionalizzazioni “ideologiche” degli interessi di classe della borghesia, i marxisti

non erano sufficientemente coerenti da attribuire carattere meramente ideologico alle loro stesse dottrine. L’implicazione era che i principi del marxismo non sono ideologie. Sono un assaggio anticipato della conoscenza nella futura società senza classi, che, liberata dalle catene dei conflitti di classe, sarà nella posizione di poter concepire la conoscenza pura, non contaminata da deformazioni ideologiche. [1]

David Gordon ha efficacemente riassunto questo punto:

Se tutto il pensiero in materia sociale ed economica è determinato dalla posizione di classe, che si può dire allora del sistema marxista stesso? Se, come Marx proclamò con orgoglio, il suo obiettivo era formulare una scienza per la classe operaia, perché i suoi punti di vista dovrebbero essere accettati per veri? Mises correttamente nota che la prospettiva di Marx si confuta da sola: se tutto il pensiero sociale è ideologico, allora questa proposizione è essa stessa ideologica, invalidando i motivi per cui credervi. Nel suo libro Teorie sul plusvalore, Marx non riesce a contenere la sua derisione verso le “giustificazioni” di vari economisti borghesi. Non si rese conto che, con le sue costanti beffe alla parzialità di classe degli altri economisti, non faceva altro che scavare la fossa alla sua stessa gigantesca opera di propaganda in nome del proletariato. [2]

Von Mises solleva inoltre questo punto: è assurdo credere che gli interessi di qualsiasi classe, inclusi i capitalisti, possano mai essere serviti meglio da una dottrina falsa piuttosto che da una dottrina vera.[3] Per Marx, il senso della filosofia stava soltanto nel raggiungimento di qualche obiettivo pratico. Ma se, come sostiene il pragmatismo, la verità è solo “ciò che funziona”, allora certamente gli interessi della borghesia non sarebbero serviti bene aggrappandosi ad una falsa teoria sociale. Se la risposta marxista sostiene, come fa, che una teoria falsa è necessaria per giustificare l’esistenza del dominio capitalista, allora, come von Mises evidenzia, è dal punto di vista marxista stesso che la teoria non dovrebbe essere necessaria. Infatti, se ciascuna classe persegue spietatamente il proprio interesse, non c’è alcun bisogno per i capitalisti di giustificare il loro dominio e il loro presunto sfruttamento a se stessi. Non c’è nemmeno bisogno di usare queste false dottrine per mantenere il proletariato in uno stato servile, poiché, secondo i marxisti, sono le forze produttive materiali a determinare il dominio o il rovesciamento di un dato sistema sociale: non c’è alcun modo in cui la coscienza può ritardare o velocizzare questo processo. Oppure, se un modo esiste, e spesso i marxisti implicitamente ammettono questo fatto, allora c’è una falla seria e autodistruttiva nel cuore della teoria marxista stessa.

E’ una ben nota ironia, e un altro profondo problema del sistema marxista, il fatto che, nonostante tutta l’esaltazione marxista del proletariato e della “mente proletaria”, tutti i principali marxisti, a cominciare da Marx e Engels, erano essi stessi categoricamente borghesi. Marx era il figlio di un ricco avvocato, sua moglie faceva parte della nobiltà prussiana e suo cognato fu ministro degli interni in Prussia. Friedrich Engels, il benefattore e collaboratore di Marx per tutta la vita, era il figlio di un ricco industriale ed egli stesso un industriale. Perché le loro idee e dottrine non erano anch’esse determinate dagli interessi della classe borghese? Che cosa permise alla loro coscienza di elevarsi al di sopra di un sistema tanto potente da determinare le idee di tutti gli altri?

Tutti i sistemi deterministi cercano di trovare una scappatoia per i loro stessi credenti, i quali sono in grado di sfuggire, per qualche ragione, alle leggi deterministe che affliggono tutti gli altri. Inavvertitamente, in questo modo tali sistemi diventano auto-contradditori e auto-confutanti. Nel ventesimo secolo, marxisti quali il sociologo tedesco Karl Mannheim hanno tentato di elevare questa scappatoia a teoria allucinogena: in qualche modo gli “intellettuali” sarebbero in grado di “fluttuare liberamente”, di levitare al di sopra delle leggi che determinano tutte le altre classi.

Note

[1] Ludwig von Mises, Theory and History (1957, Auburn, Ala.: Mises Institute, 1985), p. 126, n3.

[2] David Gordon, "Mises Contra Marx," Free Market, 5 (Luglio 1987), pp. 2–3.

[3] Per la confutazione di un altro punto collegato della dottrina ideologica di Marx, secondo il quale ogni classe economica ha una differente struttura logica mentale (“polilogismo”), si veda Ludwig von Mises, Human Action (New Haven, Conn.: Yale University Press, 1949), pp. 72–91.