di Dmitry Babich (da The Voice of Russia, voiceofrussia.com), 23 gennaio 2014

Socrate, il filosofo dell’antica Grecia, nelle sue discussioni con i sofisti (i responsabili delle pubbliche relazioni di quei tempi) cercava di persuaderli che ESSERE è più importante di APPARIRE. Perché? Perché, pensava Socrate, la natura fallace del “sembrare saggi quando non si è saggi” prima o poi si rivela per quello che è. I suoi avversari, i sofisti, replicavano dicendo che le parole sono sempre soggette ad interpretazione, perciò chi controlla l’interpretazione prima o poi controllerà la realtà. Nei nostri tempi i sofisti troverebbero probabilmente la loro epoca d’oro. Le parole e le immagini vengono distorte all’inverosimile. Due storie spiccano tra le tante in questi giorni. Una è l’interpretazione sui media occidentali dei commenti di Putin sulla situazione dei gay in Russia. La seconda è l’interpretazione sugli stessi media degli eventi di Kiev (dove si tratta di un pogrom neo-nazista leggiamo della “repressione del governo su dimostranti pacifici”).

Lynn Berry, ex responsabile capo del Moscow Times, lancia accuse sulla base della risposta di Putin ad una domanda sulle leggi contro la propaganda gay tra i minori. Come si può constatare ascoltando la registrazione del discorso di Putin, il presidente russo ha fatto di tutto per mostrare l’atteggiamento più amichevole possibile: “Non abbiamo alcun divieto riguardo alle forme di interazione sessuale non tradizionali tra individui, è proibita solo la propaganda dell’omosessualità - vorrei mettere in risalto - verso i minori, così come è proibita la pedofilia. Si tratta di due cose assolutamente diverse. Cose assolutamente diverse – proibizione di certe relazioni e proibizione di propagandare questo tipo di relazioni. Noi non proibiamo nulla, non arrestiamo nessuno, non si deve rendere conto di queste relazioni. In questo senso siamo diversi da molti paesi nel mondo, inclusi gli Stati Uniti, dove in alcuni stati l’orientazione sessuale non tradizionale è tuttora formalmente un crimine. Noi non abbiamo nulla del genere, per questo chiunque si può sentire libero e senza restrizioni, semplicemente lasciate stare i bambini, per cortesia.”

Cosa scrive allora Lynn Berry per l’Associated Press e per molti giornali che considerano obiettiva questa agenzia? Bene, la Berry intitola: “Il presidente russo Putin collega i gay ai pedofili.”

Poi, giusto dopo due righe di testo, Lynn Berry aggiunge un’altra bugia su quella iniziale: “Ha difeso le leggi anti-gay della Russia identificando i gay con i pedofili e ha detto che la Russia ha bisogno di “purificarsi” dall’omosessualità se vuole far crescere il tasso di nascita.” Questo è un classico caso di manipolazione sofistica, anche se molto rozza. I due verbi “collegare” e “identificare” sono forse sinonimi? No. Se si collega una cosa ad un’altra, non significa che si identificano tra loro le due cose. Se qualche mente contorta riesce ancora a vedere un “collegamento” tra la pedofilia e l’omosessualità in quello che Putin ha detto, allora la stessa mente contorta non dovrebbe vedervi l’”identificazione”, a meno che quella mente non sia completamente disonesta – persino con se stessa. E, naturalmente, vedere come “legge anti-gay” una legge che parla di multe per “propaganda di relazioni sessuali non tradizionali tra i minori” è una manipolazione, una interpretazione arbitraria e disonesta di un testo. Però questa manipolazione è già così “mainstream”, così ingranata nella coscienza del lettore, che Lynn Berry non si cura nemmeno di fornire alcuna prova, limitandosi a citare “proteste internazionali”, ovviamente incitate da articoli che trattano in modo parimenti poco rigoroso la sostanza dell’argomento trattato.

Ovviamente, Putin non ha mai parlato di “purificare” il paese dall’omosessualità – ma su, questa è la Russia, si può dire qualsiasi cosa su questo paese con impunità. E Lynn Berry non si fa sfuggire l’occasione. Scrive che Putin ha insinuato che i gay hanno maggiori probabilità di abusare di minori (non ci sono citazioni – per la semplice ragione che Putin non ha mai detto questo).

Non si tratta del primo caso in cui le parole di Putin (o di Milosevic, o di Vladimir Meciar) sono mal interpretate dai media occidentali, i quali si arrogano il diritto di essere i “traduttori” di quello che dicono i leader di altri paesi. Questi “traduttori” seguono questo principio: se la realtà non corrisponde agli stereotipi occidentali (che noi, i media, abbiamo costruito) allora tanto peggio per la realtà.

Dalla disonestà dei media è un passo soltanto verso grossolani errori politici. Tutti devono aver dimenticato come giornalisti alla Lynn Berry discutevano sul Washington Post o sul New York Times sulla quantità di armi di distruzione di massa a disposizione di Saddam Hussein prima dell’invasione dell’Iraq nel 2003. Pubblicazioni di altrettanto prestigio avevano contato i mesi (se non i giorni) che restavano al potere di Assad poco prima che cominciasse la guerra civile in Siria nel 2011. Ora, la guerra va avanti da quasi tre anni e nessuno di questi cosiddetti “esperti” ha dato le dimissioni o è stato licenziato per questi errori di valutazione.

Il lettore può vedere il video di poliziotti ucraini avvolti dalle fiamme a causa di quelli che i media occidentali avevano definito “dimostranti pacifici” e che invece mostrano uno strano gusto “pacifico” per i cocktail Molotov.

Ma sui media occidentali di mainstream si legge soltanto di “leggi draconiane” del governo ucraino che non consente a questi incendiari e ad altri “manifestanti” di indossare maschere ai loro cortei. Peggio, il Washington Post chiama questi massacratori “militanti d'opposizione incitati da provocatori finanziati dal governo” e deplora il fatto che questi giovinastri supereccitabili hanno “guastato il carattere in precedenza pacifico del movimento di protesta” (per coloro interessati alle “precedentemente pacifiche” aggressioni ai poliziotti e distruzioni di statue, è sufficiente guardare il video degli avvenimenti nella piazza Maidan di Kiev nel dicembre 2013).

Segue la grottesca reazione del Dipartimento di Stato americano agli eventi di Kiev, che attribuisce la violenza all’incapacità del governo di “riconoscere le lamentele legittime della popolazione” e loda l’opposizione.

E, naturalmente, il Washington Post che sa tutto degli altri paesi descrive generosamente la Bielorussia come “un’autocratica colonia del Cremlino” (il problema con il presidente bielorusso Alexander Lukashenko è che non sembra essere il viceré di nessuno, incluso il buonsenso). E il WP non è mai troppo timido nel trarre conclusioni dalla propria onniscienza, chiedendo sanzioni contro Yanukovich se egli “usa violenza contro i manifestanti” (mi chiedo quali bouquet di fiori riceverebbe chi desse fuoco a poliziotti a Washington D.C.). Molto tempo fa, i padri fondatori incitarono l’America a guidare le altre nazioni con l’esempio. E’ un peccato che questo esempio sia sempre più “lost in translation” – traduzioni che riceviamo da Lynn Berry e quelli come lei. Questa traduzione della realtà assomiglia sempre più a manipolazione.