A volte mi capita ancora di sentire qualcuno citare il "Russiagate". La gente ne ha sentito parlare talmente tanto che i più pensano che sia una cosa evidentemente con qualche fondamento di verità. Chi ha seguito tutta la vicenda, sa che al di là degli (inverosimili) proclami, e delle illazioni mai sostenute da qualche elemento reale, proprio non c'è nulla né di concreto né di verosimile. Anzi, l'intera storia mette bene in luce molto di concreto a carico di chi grida all'interferenza russa nelle elezioni!

La gente perlopiù non ha notato, siccome sono notizie molto meno appariscenti, che tutte le accuse sul "Russiagate" che si sono susseguite nei mesi sono state poi debitamente smentite o dimostrate senza fondamento, e non ha capito bene che razza di azioni rimangono generalmente impunite dall'altra parte.

La percezione superficiale di chi ascolta distrattamente i media ha creato la diffusa convinzione che ci siano valide ragioni per indagini, rapporti di intelligence, testimonianze ufficiali al Congresso, e così via. Tutte cose che possono creare grane molto serie, almeno per un certo intervallo di tempo, a molta gente che proprio non ha fatto nulla. Ne sanno qualcosa Paul Manafort e Roger Stone, attaccati con l'obiettivo di arrivare a Trump.

Questa storia ha raggiunto livelli di assurdità tali da dare spunto a moltissima ironia (esempi su questo sito sono qui, qui e qui). Oggi (30 settembre) su RT è apparso l'articolo qui sotto, che mi è parso meritevole di traduzione. Il 29/9 sempre RT ha pubblicato un'intervista a Ron Paul: Ron Paul a RT: la campagna anti-Russia deriva da faziosità e volontà di limitare la libertà di parola, in cui Ron Paul usa apertamente il termine "caccia alle streghe". Tutta questa storia dell'interferenza russa ha avuto infatti il risultato di creare censura sui social media a... voci come quella di Ron Paul. 

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Danielle Ryan (RT.com, 30 settembre 2017)

I russi si sono dati molto da fare. Si sono infiltrati nel movimento Black Lives Matter, sono penetrati nella rete elettrica americana, hanno attaccato i sistemi di voto negli Stati, hanno invaso Facebook e hanno attizzato la polemica sull'inno nazionale e la lega di football americano -- tutto ciò nel tentativo di distruggere il tessuto della società americana.

Intendo dire che “probabilmente” hanno fatto quelle cose, ma non lo sappiamo di sicuro.

È un anno triste per i Democratici e ancora più triste per il giornalismo americano di mainstream. Siamo quasi in ottobre e il presidente americano Donald Trump ancora non è stato messo sotto impeachment per collusione con i russi -- né è emersa alcuna prova solida che il governo russo abbia avuto qualche reale influenza sull'esito delle elezioni. Forse questo spiega la recente intensificazione dei tentativi di addossare ai russi anche tutti gli ultimi episodi di tensione sociale.

Molteplici tentativi di provare che il Cremlino abbia inclinato le elezioni verso Trump sono state demoliti oppure rimangono altamente discutibili. Ogni volta che compaiono dei punti interrogativi su qualche rapporto abbozzato sulla Russia, si diffondono nuove accuse che prendono il posto delle precedenti. È come una malattia che si diffonde rapidamente per la quale non ci sono cure.

Prima è stata una mitragliata di affermazioni non specifiche e senza prove per le quali la Russia avrebbe "hackerato" le elezioni. Poi sono state le orde di russi, come operai in fabbrica al lavoro sui social media, che hanno inondato Internet di fake news a favore di Trump, tramite migliaia di messaggi robotici su Twitter.  Poi ci sono state affermazioni false sul governo russo che sarebbe entrato nella rete elettrica americana. Adesso è l'infiltrazione russa su Facebook e Twitter per attizzare guerre culturali in America, per divertimento.

Facebook, Twitter, Reddit, oh cielo!

Qualche settimana fa, Facebook ha ammesso che 470 falsi account "verosimilmente" operati in Russia hanno comprato 3000 inserti pubblicitari mirati a amplificare la divisione su temi sociali come i diritti dei gay, la razza, l'immigrazione e le leggi sul possesso di armi. Facebook ha ammesso che molte delle pubblicità che hanno verificato avevano "segni molto deboli di una connessione" con la Russia, se ne avevano del tutto. Per esempio, account usati negli Stati Uniti ma con l'impostazione della lingua russa erano stati contati come account russi. Non c'è bisogno di un genio per capire che chiunque può impostare la lingua russa e saltare su Facebook per comprare qualche inserto pubblicitario.

Ma i media sono impazziti per questa storia, riportando come fatto provato che “i russi” hanno infiltrato Facebook per fare a pezzi gli Stati Uniti. Il CEO di Facebook Mark Zuckerberg è stato aspramente criticato dai media per non essersi curato abbastanza della "influenza russa" finora. Zuckerberg, in risposta, ha detto che rimpiange di non aver preso seriamente questo problema e che "ha profondamente a cuore" l'integrità della democrazia americana.

I commenti di Zuckerberg sono interessanti perché, mentre non possiamo sapere con certezza se questi 470 account davvero operavano dalla Russia, o se avevano alcun collegamento con il Cremlino, quello che sappiamo di sicuro è che il Chief Operating Officer di Facebook, Sheryl Sandberg, lavorava attivamente a supporto della campagna di Hillary Clinton.

Sono trapelate e-mail tra la Sandberg e John Podesta, il chairman della campagna per la Clinton, le quali rivelano che Facebook ha fornito ricerche alla Clinton nel 2015 e che la Sandberg "ardentemente" voleva che vincesse la Clinton. Inoltre ha incontrato privatamente la Clinton in varie occasioni. In una e-mail, Podesta ringrazia la Sandberg per il suo “aiuto e supporto”.

Ora, provate soltanto ad immaginare quale sarebbe l'indignazione, se venisse rivelato che la più grande e più influente piattaforma di social media del paese ha dato una mano alla squadra di Trump, e ha scritto al chairman della sua campagna per dire quanto ardentemente volevano che vincesse.

Ma è tutto a posto, perché ai media non interessa che Facebook abbia apertamente favorito Hillary. A loro interessa solo che 470 account falsi - possibilmente, forse collegati alla Russia - abbiano comprato un po' di pubblicità fasulla.

Anche Twitter è sotto pressione a causa dell'influenza russa. Il New York Times ha preso al volo informazioni fornite da un nuovo "gruppo sulle politiche pubbliche", chiamato Alliance for Securing Democracy, secondo le quali gli account robot dei russi inviavano messaggi riguardo alla NFL e al dibattito sull'inno nazionale. Anche questo è stato accettato come verità dai giornalisti, nonostante il fatto che il gruppo stesso non chiarisca neanche su quale base decide quali account Twitter sono effettivamente robot russi. Il New York Times semplicemente accetta quello che dicono senza ulteriore analisi. [...]

Ancora illazioni di hackeraggio demolite

Nel frattempo, una delle ultime "notizie-bomba" sull'hackeraggio è stata smontata senza troppo clamore. La scorsa settimana il DHS (Department of Homeland Security) ha comunicato a 21 stati che essi erano stati presi di mira dall'hackeraggio russo durante le elezioni dello scorso anno.

I soliti sospetti sui media hanno affannosamente ripetuto la notizia, felici di fare affidamento esclusivamente su informazioni fornite da funzionari del governo. È diventata una storia di particolare risonanza perché la lista di 21 stati includeva Wisconsin e Pennsylvania, entrambi considerati stati in cui la Clinton ha mancato di fare adeguata campagna elettorale, avendo considerato scontata la vittoria. Le informazioni fornite dal DHS hanno fornito ai media l'occasione perfetta per affermare che la ragione per cui la Clinton ha perso è che questi stati erano tra quelli nel mirino della Russia.

L'unico problema è che, non appena la storia è emersa, gli stati sulla lista hanno cominciato a prendere le distanze. I funzionari del Wisconsin hanno detto che i loro sistemi elettorale non erano stati hackerati dai russi, nonostante le precedenti dichiarazioni dal DHS. Il Segretario di Stato della California, Alex Padilla, si è presto accodato, rilasciando una dichiarazione in cui dice che le conclusioni del DHS “erano sbagliate” e che i sistemi della California anch'essi non erano stati hackerati. Padilla non ha moderato le parole: le informazioni del DHS sono "non solo un anno in ritardo, in più sono risultate essere cattive informazioni", ha detto.

Ma nulla di tutto ciò importa. La storia originale sulla Russia che avrebbe hackerato il sistema di voto in 21 stati è tutto ciò che sarà ricordato -- perché quando si tratta della Russia è come se tra i giornalisti non ci fosse alcun appetito per informazioni accurate.

Rachel Maddow, la giornalista con uno show quotidiano sulla MSNBC, è ossessionata dalla storia sulla Russia sin dal primo giorno. Ora ha usato le più recenti accuse ai russi di presunte attività con robot informatici sui social media, per condurre un esperimento con i suoi fan. Con un atto di giornalismo da premio, la Maddow sta chiedendo ai suoi telespettatori di creare falsi movimenti secessionisti, usando nuovi hashtag come #NOhio e #oreGONE, giusto per vedere se qualche troll russo abboccherà e comincerà a twittare su questi falsi movimenti.

Ma non aspettatevi che la Maddow o qualunque altro giornalista di mainstream dedichi molto tempo a chiarire i fatti reali. Quello sarebbe di gran lunga troppo banale.

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Update (1/10/17)

Su RPI c'è un articolo di Tyler Durden (Congress Relying On Debunked 'Guilt By Association' Online Tool To Track 'Russian Influence') con molti dettagli sulle accuse di infiltrazioni dei social media da parte dei russi, e come queste accuse siano strumentali a colpire i siti indipendenti americani. L'accusa ai russi di fomentare la polemica sull'inno nazionale e la lega football è stata fatta anche a un'audizione al Congresso, proprio da parlamentari. Sembra incredibile, ma è proprio così.

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