di Daniel McAdams (RonPaulInstitute, 21 gennaio 2016)

La gente normale osserva il cimitero di rovine fumanti che è la Libia post-"liberazione", l'altrettanto raccapricciante terra bruciata della quasi-"liberata" Siria, i 14 anni di fallito cambio di regime al rallentatore in Afghanistan, l'Iraq grondante di sangue, e ne è inorridita. Jennifer Rubin, voce ronzante dei neocon sul Washington Post, osserva questo paesaggio insanguinato e vi vede uno splendido progetto in avanzamento.

Scrive oggi sull'edizione online del Post che, nonostante quello che possiamo sentir dire da qualche politico "libertario/populista che si atteggia a conservatore", l'impresa interventista sta procedendo egregiamente. La promozione della democrazia con i fucili puntati è "onere di ogni uomo bianco" americano, che gli piaccia o no.

Non fa niente se la Siria è stata quasi rasa al suolo da quasi cinque anni di rivolta islamista, fermata a poche settimane dal successo dalla Russia. Il vero cattivo è il presidente secolare Bashar al-Assad, scrive la Rubin. Dopotutto, egli "è alleato dell'Iran e incita l'appoggio alla ribellione islamista..."

Assad "incita l'appoggio ai ribelli islamisti" facendo loro guerra da sei anni? O in qualche modo la Rubin nega che Assad stia combattendo i ribelli che cercano di rimuoverlo dal potere? Non possono essere vere entrambe le cose.

E poi, sul pianeta Rubin, finanziare, addestrare e armare ribelli islamisti, come hanno fatto gli Stati Uniti e i loro alleati, in nessun modo può essere visto come incitamento alla ribellione islamista.

"In alcune cerchie è diventato di moda denigrare il sostegno alla democrazia", brontola la Rubin; non così veloce, dice. Non si tratta di un progetto fallito. Le prove? Tra tutti i paesi destabilizzati dai progetti americani di promozione della democrazia, c'è "l'incoraggiante storia di un successo" - la Tunisia!

Proprio così, dopo la distruzione e le stragi in posti come Egitto, Libia, Siria, Iraq e tutto il resto, è il grande successo nella piccola Tunisia a rendere degno il tutto!

Purtroppo per la Rubin, persino il piccolo successo in Tunisia sembra abbia un finale poco felice. Come mostrato da BBC News, si stanno diffondendo disordini in tutta la Tunisia in cui i dimostranti si scontrano con la polizia. I tunisini sono in condizioni economiche molto peggiori ora, rispetto a prima che la "Primavera Araba" appoggiata dagli Stati Uniti portasse loro la "liberazione". Nella Tunisia post- liberazione sono disoccupati un terzo dei giovani e il 62% dei nuovi laureati non riesce a trovare lavoro.

"Aspettiamo da cinque anni che le cose migliorino e non è successo nulla", dice Yassine Kahlaoui, un trentenne in cerca di lavoro, nel servizio della BBC.

Ecco qui la spiacevole verità che gli entusiasti del cambio di regime come la Rubin non ammetteranno mai: è molto facile destabilizzare e distruggere un paese da fuori in nome della "promozione della democrazia", ma quelli che ricevono le elargizioni americane in quest'area si rendono conto presto che è impossibile far tornare un paese persino ai livelli economici pre-"liberazione". Sono lasciati a rimpiangere i loro "dittatori".

Che importa alla Rubin: lei non deve certo vivere in quei luoghi infernali che ha contribuito a creare.

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