Affinché l'economia viva

di Lew Rockwell (LewRockwell.com, 23 maggio 2016)

Nel 2012, Barack Obama disse che gli Stati Uniti sarebbero entrati in una depressione, se fosse stato applicato il piano di Ron Paul per tagliare mille miliardi di dollari di spese dal bilancio federale.

Un attimo, scusate. Non è stato Obama a dire che i tagli al bilancio federale avrebbero portato ad una depressione.

E' stato Mitt Romney.

Romney andò avanti fino ad ottenere la nomination per l'autodefinito partito del libero mercato.

Un percorso ideologico è completo quando entrambi i lati delle opinioni rispettabili considerano scontate le sue idee di base. Fino a questo punto è stata completa la vittoria keynesiana.

In realtà, il keynesianismo aveva surclassato tutto il resto già un decennio prima che Romney nascesse.

The General Theory of Employment, Interest and Money, il trattato fondamentale di John Maynard Keynes, apparve durante la Grande Depressione, un tempo in cui moltissimi cominciavano a dubitare dei meriti e della capacità di recupero del capitalismo. Era un'opera di teoria economica, ma i suoi sostenitori insistevano offrisse risposte pratiche a urgenti domande contemporanee, quali: perché si è verificata la Depressione, e perché sta durando così a lungo?

La risposta a entrambe le domande, secondo Keynes e i suoi seguaci, era la stessa: insufficiente intervento statale.

Ora, come  Murray N. Rothbard mostrò nel suo libro del 1963 America’s Great Depression, e come Lionel Robbins e altri avevano scritto all'epoca, la Depressione certamente non era stata causata da troppo poco intervento statale. Era stata causata dalle banche centrali del mondo, a cui è concesso dallo stato il privilegio di regolare la quantità di denaro a corso legale, ed era prolungata dai vari rimedi da ciarlatani che i governi continuavano a mettere in atto.

Non era una tesi che i governi fossero ansiosi di sentire. I funzionari statali erano invece più attratti dal messaggio che Keynes stava inviando loro: il libero mercato può portare a depressioni, e la prosperità richiede maggiore spesa e intervento statale.

Diciamo in breve qualche parola sul libro che ha lanciato questa rivoluzione ideologica. A volerlo dire gentilmente, la Teoria Generale non era il tipo di testo che ci si aspetterebbe surclassi gli altri.

Paul Samuelson, uno dei più prestigiosi divulgatori del keynesianismo, ammise in un momento di candore che la prima volta che lesse il libro egli "non capì per nulla di cosa stesse parlando". "Non penso di rivelare segreti", continuò, " se asserisco solennemente  - sulla base di vividi ricordi personali - che nessun altro a Cambridge, Massachusetts, seppe realmente di cosa parlasse per dodici-diciotto mesi dalla pubblicazione".

La Teoria Generale, disse,

è un libro scritto male, organizzato in modo confuso; qualsiasi persona non esperta che abbia comprato il libro, fuorviato dalla reputazione passata dell'autore, è stata derubata dei suoi cinque scellini. Non è adatto all'uso nelle aule accademiche. E' arrogante, scontroso, polemico e certamente non troppo generoso nei riconoscimenti. Abbonda di pensieri illusori e confusione... In breve, è un'opera di genio.

Murray N. Rothbard, dopo la morte di Ludwig von Mises considerato il decano della Scuola Austriaca di economia, scrisse diverse importanti critiche a Keynes, insieme ad un lungo e rivelatore saggio biografico sul personaggio. La prima di queste critiche fu in forma di saggio, scritto quando Murray aveva 21 anni: "Riflettori sull'economia keynesiana". La seconda apparve nel trattato del 1962, Man, Economy and State,  e la terza come capitolo del libro For a New Liberty.

Murray scrive senza giri di parole, riferendosi al keynesianismo come "l'imbroglio di maggior successo e più dannoso nella storia del pensiero economico". "Tutto il pensiero keynesiano", aggiunse, "è un tessuto di distorsioni, errori logici, e assunzioni drasticamente irrealistiche".

Oltre ai problemi del sistema keynesiano, c'erano i tratti dolenti di Keynes stesso. Lascio che sia Murray a descriverli:

Il primo era il suo smodato egotismo, che lo rendeva sicuro di poter gestire tutti i problemi intellettuali rapidamente e accuratamente, e lo portava a disdegnare ogni principio generale che potesse tenere a freno il suo ego. Il secondo era la sua forte convinzione di essere nato nella elite di comando della Gran Bretagna, e che il suo destino fosse esserne un leader...
Il terzo elemento era il suo profondo disprezzo per i valori e le virtù della borghesia, per la moralità convenzionale, per il risparmio e la parsimonia, e per le istituzioni di base della vita familiare.

Mentre era uno studente all'università di Cambridge, Keynes faceva parte di un gruppo esclusivo e segreto chiamato gli Apostoli. Esserne membro nutriva il suo egotismo e il suo disprezzo per gli altri. Scrisse in una lettera privata: "E' monomaniacale, questa colossale superiorità morale che proviamo? Ho la sensazione che la maggior parte del resto [del mondo fuori dagli Apostoli] non veda mai nulla del tutto - troppo stupido o troppo malvagio".

Da giovane uomo, Keynes, insieme ai suoi amici, divenne quello che egli stesso descrisse come "immoralista". In un articolo del 1938 intitolato "Le mie convinzioni giovanili" scrisse:

Ripudiavamo interamente una responsabilità personale che ci obbligasse a obbedire alle regole generali. Rivendicavamo il diritto di giudicare ogni caso individuale in base ai suoi meriti, e la saggezza di saperlo fare bene. Questa era una parte importante della nostra fede, sostenuta violentemente e aggressivamente, e per il mondo esterno era la nostra caratteristica più ovvia e pericolosa. Ripudiavamo interamente i consueti principi morali, le convenzioni e la saggezza tradizionale. Eravamo, per così dire, nel senso stretto del termine, immoralisti.

Keynes aveva 55 anni quando pubblicò questo articolo. E persino in quello stadio avanzato della sua vita affermava che l'immoralismo "è ancora la mia religione sotto la superficie... resto e resterò sempre un immoralista".

In economia, Keynes mostrava lo stesso tipo di approccio che aveva verso la filosofia e la vita in generale. "Temo quello che è 'principio'", disse a un comitato parlamentare nel 1930.  Questo, naturalmente, è l'atteggiamento di chiunque brami influenza e l'esercizio del potere; i principi sarebbero solo d'intralcio a queste cose.

Quindi, Keynes era a favore del libero commercio, poi svoltò repentinamente nel 1931 e diventò un protezionista, poi durante la Seconda Guerra Mondiale fu di nuovo a favore del libero commercio. Come disse Murray: "Mai qualche riflessione interiore o anche solo un'esitazione pose resistenza ai suoi mutamenti fulminei".

La Teoria Generale scomponeva la popolazione mondiale in diversi gruppi, ognuno con le proprie caratteristiche . Qui Keynes fu in grado di dar sfogo alle sue avversioni di tutta la vita.

Primo, c'era la grande massa dei consumatori, stupidi e robotici, le cui decisioni di consumo erano fisse e determinate da forze esterne, quindi Keynes li poté ridurre a una "funzione di consumo".

Poi c'era un sottoinsieme di consumatori, i risparmiatori borghesi, che Keynes disprezzava in particolar modo. In passato, queste persone erano state lodate per la loro parsimonia, che rendeva possibile gli investimenti, i quali facevano crescere gli standard di vita. Il sistema keynesiano tagliò il collegamento tra risparmi e investimenti, affermando che i due non avevano nulla a che vedere l'uno con l'altro. I risparmi erano, effettivamente, una palla al piede per il sistema, disse Keynes, e potevano generare recessioni e depressioni.

Perciò, Keynes detronizzò la borghesia e la sua tradizionale rivendicazione di rispettabilità morale. La parsimonia era stoltezza, non saggezza.

Il terzo gruppo erano gli investitori. Qui Keynes era in qualche modo più favorevole. Le attività di questi uomini non potevano essere ridotte ad una funzione matematica. Erano dinamici e liberi. Purtroppo, erano anche dediti a oscillazioni selvagge e irrazionali in comportamento e mentalità. Queste oscillazioni irrazionali mettevano l'economia su un otto volante.

E ora arriviamo al quarto e ultimo gruppo. Questo gruppo è supremamente razionale e economicamente informato, ed è indispensabile per la stabilità economica. Questo gruppo può scavalcare le decisioni dissennate degli altri e impedire all'economia di scivolare in depressioni o eccessi inflazionistici.

Probabilmente non sarete sconvolti di apprendere che i maghi dalla lunga vista che compongono il quarto gruppo di Keynes sono i funzionari del governo.

Per capire esattamente quello che Keynes si aspettava facessero i funzionari statali, diciamo brevemente qualche parola sul sistema economico sviluppato da Keynes nella Teoria Generale. La sua principale affermazione è che l'economia di mercato è affetta da uno stato cronico di sottoutilizzo delle risorse. Affinché questo stato non porti a discendere e rimanere impantanati in depressione, è richiesta la saggia supervisione e l'intervento della classe politica.

Di nuovo, possiamo con sicurezza rigettare la possibilità che le classi politiche del mondo occidentale abbiano abbracciato il keynesianismo perché avevano studiato approfonditamente le opere di Keynes. Al contrario, il keynesianismo faceva appello a due fondamentali motivazioni dei funzionari statali: il loro bisogno di apparire indispensabili, e la spinta ad esercitare il potere. Il keynesianismo faceva penzolare queste idee davanti alla classe politica, che a sua volta reagiva come cani con la bava alla bocca. Non vi era nulla di più romantico o dignitoso di così, mi dispiace dover riportare.

Per l'inizio degli anni '70, tuttavia, il keynesianismo aveva subito un colpo devastante. O, per adottare la colorita frase di Murray, era diventato "morto dal collo in su".

Il keynesianismo non poteva spiegare la stagnazione, o recessione inflazionistica, che si stava verificando negli USA negli anni '70.

Si supponeva fosse il ruolo dei pianificatori keynesiani tenere il timone dell'economia in modo tale da evitare le minacce gemelle di una surriscaldata economia inflazionistica e di un'economia sottotono e depressa. Durante una fase di boom, i pianificatori keynesiani avevano il compito di "raccogliere il potere d'acquisto in eccesso", alzando le tasse e portando la spesa fuori dall'economia. Durante una depressione, i keynesiani avrebbero abbassato le tasse e aumentato la spesa statale per iniettare la spesa dentro l'economia.

Ma in una recessione inflazionistica, l'intero approccio doveva essere gettato via. La parte inflazionistica significava che la spesa doveva essere ridotta, ma la parte sulla recessione significava che la spesa doveva essere aumentata. In che modo, chiedeva Murray, i pianificatori keynesiani potevano fare entrambe le cose allo stesso tempo?

Ovviamente non potevano, il che è il motivo per cui il keynesianismo cominciò a declinare negli anni '70, sebbene abbia avuto un non gradito ritorno dopo la crisi finanziaria del 2008.

Murray aveva smantellato il sistema keynesiano ad un livello più fondamentale in Man, Economy, and State. Aveva mostrato che le relazioni tra grandi aggregati economici postulate dai keynesiani, essenziali per il loro sistema, in realtà non valevano. E aveva demolito i principali concetti usati nell'analisi keynesiana: la funzione di consumo, il moltiplicatore, e l'acceleratore, per cominciare.

Allora, perché tutto ciò dovrebbe essere importante oggi?

Gli errori di Keynes hanno dato potere a classi politiche sociopatiche in tutto il mondo e hanno depredato il mondo del progresso economico a cui altrimenti avremmo assistito.

Il Giappone è un grande esempio di devastazione keynesiana: il Nikkei 225, che ha raggiunto il valore 38.500 nel 1990, da allora non è mai riuscito a raggiungere neanche la metà di quel livello. Un quarto di secolo or sono l'indice della produzione industriale in Giappone era a 96.8; dopo 25 anni di aggressiva politica keynesiana  che ha dato al Giappone il più alto rapporto debito su PIL del mondo, l'indice della produzione industriale è ... ancora 96,8.

Gli Stati Uniti, nel frattempo, hanno avuto sedici anni di stimolo fiscale o tassi di interesse assurdamente bassi, tutto quanto acclamato dai keynesiani. Il risultato? Due milioni di posti di lavoro produttivi in meno rispetto a quando Bill Clinton ha lasciato la Casa Bianca.

Nessuna quantità di stimolo sembra mai abbastanza. Quando lo stimolo fallisce, l'ottuso establishment keynesiano riesce solo a pensare di raddoppiare la dose, senza mai mettere in dubbio la politica stessa.

Però un'alternativa c'è, ed è quella portata avanti da Murray N. Rothbard e Ludwig von Mises: la Scuola Austriaca di economia, con la sua analisi della pura economia di mercato.

Contro l'intero edificio delle opinioni dell'establishment, il Mises Institute rappresenta un ammonimento. Per i dissidenti, per quelli intellettualmente curiosi, per quelli inclini allo scetticismo verso i cosiddetti esperti che ci hanno portato null'altro che rovina, il Mises Institute rappresenta un faro.

Abbiamo formato un'intera generazione di studiosi, giornalisti e professionisti finanziari Austriaci. Vi abbiamo dedicato duro lavoro per far sì che quando fosse accaduta una catastrofe come la crisi del 2008, una replica Austriaca fosse pronta.

Con il vostro aiuto, possiamo fare molto di più. I keynesiani pretendono di avere tutto sotto controllo, ma noi sappiamo che si tratta di una fantasia. Un'opportunità ancora maggiore del 2008 ci aspetta, e vogliamo aiutare a guidare l'opinione pubblica,  formando una squadra di giovani e brillanti studiosi per quel giorno. Con il vostro aiuto, possiamo, finalmente, svegliarci dall'incubo keynesiano.

Come ha detto il traduttore coreano di un testo Austriaco, "Keynes deve morire affinché l'economia possa vivere". Con i vostro aiuto, possiamo far giungere in fretta quel giorno glorioso.

(traduzione Maria Missiroli)

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Nota [MM] - L'importanza di questo articolo non può essere sovrastimata. E' fondamentale rendersi conto di quanto le idee keynesiane siano profondamente incastonate nella mente di quasi tutti, e di quanto al tempo stesso siano palesi fandonie. L'accettazione, spesso inconsapevole per non aver mai sentito nulla di realmente diverso, dei punti di base dell'economia keynesiana dà un'impronta pervasiva e caratterizzante alla società contemporanea.

Dedico questo articolo su Keynes  in modo particolare al signor Copertino (di cui in questo articolo), convinto sostenitore dell'economia keynesiana al punto di affermare che i principi economici solidi siano "una passata espressione culturale", e di non vedere l'immoralità nefasta delle politiche keynesiane. Credo sia il caso di riflettere su come Keynes rifiutasse  i principi e la saggezza tradizionali, prima di correre a sostenere che "con ampia dose di prove, gli investimenti vengono prima dei risparmi".

Ma perché sono così allettanti le idee keynesiane? Perché riescono a fare proseliti anche tra chi non ha nulla da guadagnarci in prima persona? A me sembra che la loro attrattiva sia nel fornire una base per poter pontificare su quanto gli altri dovrebbero fare con quello che è loro, e questa è una radicata debolezza dell'animo umano. E soprattutto, promettono "qualcosa per niente", la creazione di abbondanza dal nulla; suggeriscono di aver trovato una via "furba" per creare ricchezza, in modo analogo alle monete d'oro che crescono sugli alberi. Fa un po' sorridere, e un po' rabbrividire, riflettere su come tutti non esitino a vedere chiaramente l'ingenuità di Pinocchio, per poi correre ad acclamare il Gatto e la Volpe keynesiani, i quali non fanno altro che promettere di moltiplicare i soldi che si danno loro. E in che modo lo faranno? Spendendoli!

 

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