Lo strano caso del libro assurdo che nessuno lesse però finì per stregare il mondo

Gary North (mises.org, 20 dicembre 2019)

Nel 1959, il libro di Henry Hazlitt The Failure of the "New Economics" fu pubblicato dalla D. Van Nostrand Company, una casa editrice di buona reputazione ma di dimensioni, al più, medie. Il libro aveva per sottotitolo An Analysis of the Keynesian Fallacies.

Si tratta della magnum opus di Hazlitt. Cioè, è la sua grande opera. Ciononostante, il libro era strettamente focalizzato. Era una monografia. In prosa chiara, Hazlitt faceva a pezzi la magnum opus di Keynes, The General Theory of Employment, Interest, and Money (1936), il libro che, indirettamente, ha cambiato forma alla teoria economica nella seconda metà del ventesimo secolo.

Il libro che quasi nessuno ha letto

Quasi nessuno ha mai letto il libro di Keynes. Per una buona ragione: il libro è illeggibile. I suoi argomenti sono incoerenti. È per questo motivo che raramente vediamo citazioni dirette dal libro. Il keynesianismo non fu un fattore importante nel pensiero della maggior parte degli economisti prima del 1945. Il movimento keynesiano accelerò nel 1948 spinto dalla prima edizione del libro di testo di economia di Paul Samuelson, Economics. Io possiedo una ristampa di quell'edizione originale. Non ci sono citazioni dirette di Keynes nel libro. Samuelson cita il suo nome alle pagine 253 e 303. Questo libro e le sue edizioni successive hanno venduto qualcosa nell'ordine di quattro milioni di copie. È stato il libro di economia di maggior successo del ventesimo secolo. Forma il pensiero, o piuttosto il non-pensiero, di milioni di studenti da settant'anni. Però quasi nessuno di questi studenti ha mai letto The General Theory dall'inizio alla fine.

Nel 1946 Samuelson scrisse un valutazione elogiativa dell'impatto della General Theory. Fu pubblicato in Econometrica, una rivista accademica non nota per la chiarezza.

In ogni caso, non è fuori luogo ripetere che la General Theory è un libro oscuro, cosicché i potenziali anti-keynesiani devono assumere la loro posizione in buona parte sulla fiducia, a meno di non essere disposti a metterci molto lavoro e a rischiare di farsi sedurre nel processo. La General Theory sembra fatta di appunti estemporanei, lungo un periodo di anni, di un uomo intelligente che in gioventù riuscì ad ottenere la frusta dalla parte del manico verso i suoi editori, in virtù dell'acclamazione e del profitto risultanti dal successo del suo Economic Consequences of the Peace.

Una ristampa di questo articolo è qui.

The General Theory non fu ben accolta all'epoca della pubblicazione.  Richard Ebeling, un economista misesiano, ha scritto nel 2004:

Tranne che per pochi giovani protégés di Keynes alla università di Cambridge, la maggior parte dei recensori del libro furono altamente critici di molte delle sue "innovazioni" teoriche e delle sue prescrizioni inflazionistiche per la disoccupazione. Persino alcuni economisti che in seguito divennero sostenitori della "nuova economia" keynesiana furono inizialmente molto critici del suo lavoro. Ad esempio, Alvin Hansen,  uno dei principali propugnatori dell'economia keynesiana negli Stati Uniti negli anni '50 e '60, scrisse verso la fine del 1936 che The General Theory “non è un punto di svolta nel senso di porre le fondamenta di una 'nuova economia'. ... Il libro è più un sintomo di trend economici che una pietra angolare sulla quale può essere costruita una scienza".
Tuttavia nel giro di pochi anni, e certamente per la fine della Seconda Guerra Mondiale, le idee di Keynes avevano praticamente spinto da parte ogni altra spiegazione delle cause e cure delle depressioni economiche. Il libro di Keynes divenne la pietra angolare della nuova "macroeconomia".

In contrasto con il libro di Keynes, quello di Hazlitt è leggibile, sebbene non così leggibile quanto sono leggibili tutti gli altri suoi libri. Questo perché Hazlitt dovette dedicare tempo a cercare di dare un senso alla prosa contorta di Keynes e alle sue definizioni mutevoli. Però il libro di Hazlitt è coerente e le sue spiegazioni sono lucide, fintanto che non cita Keynes direttamente.

Io lessi il libro nell'estate del 1963. Lo so con sicurezza perché ero solito scrivere la data in cui compravo un libro sulla prima pagina frontale. Non lessi Economics in One Lesson che nel 1971, quando divenni un senior staff member alla Foundation for Economic Education (FEE). Il primo libro mi aveva viziato. È davvero un tour de force. Mi rendo conto che il secondo libro è il bestseller di Hazlitt ed è un ottimo libro introduttivo per la gente che non sa nulla di teoria economica, però il libro su Keynes lo mette in ombra. Purtroppo quasi nessuno l'ha letto. Rimane un libro non letto che demolisce un libro altrettanto non letto.

Nel 1960, la Van Nostrand pubblicò un volume che vi faceva seguito, edito da Hazlitt, The Critics of Keynesian Economics. Si tratta di una compilation di articoli accademici scritti da critici di Keynes.

Il Mises Institute rende un servizio all'uomo comune assicurando che entrambi questi libri rimangano in stampa, e entrambi rimangano disponibili in formato pdf senza costi.

Il buco della memoria

Il libro di Hazlitt non era il primo libro interamente dedicato alla critica di Keynes, né il più lungo. Tale onore appartiene a Arthur Marget, che fu il primo economista a dedicare un intero libro alla critica di un aspetto strettamente circoscritto della General Theory di Keynes. È un mastodonte in due volumi, più di 1400 pagine, The Theory of Prices. Tratta anche un precedente libro di Keynes, Treatise on Money (1930). Il primo volume fu pubblicato nel 1938; il secondo volume nel 1942. Era sconosciuto quando fu pubblicato, e rimase sconosciuto dopo essere stato ripubblicato nel 1966. Non è incoerente come il libro di Keynes, però è pomposo, prolisso e non letto. Quasi nessun economista ha mai sentito parlare di Marget. Questo era vero anche ai suoi tempi. Non c'è una pagina Wikipedia su di lui. Il suo libro non è finito nel buco della memoria: fu pubblicato nel fondo del buco della memoria ed è rimasto lì. John Egger ne scrisse una recensione dettagliata nel 1995, il che dà un'idea di quanto ignoto sia quel libro: c'è voluto più di mezzo secolo per avere una recensione dettagliata. Egger concluse: "Lasciando da parte le etichette, l'opera di Marget offre un'erudizione nella storia della dottrina monetaria che non ha uguali, e un'analisi dei processi che per qualche aspetto non ha uguali, nelle opere esplicitamente austriache. 'Prolissità' o meno, merita di essere riconosciuto quale contributo stimolante e significativo alla tradizione dell'analisi metodologicamente individualista applicata ai processi monetari". L'uso dell'aggettivo "stimolante" per descrivere questo libro a mio avviso è esagerato. Il Mises Institute ha reso disponibile in pdf ognuno dei volumi.

Hazlitt nel 1959 era un nome noto tra gli economisti. Ebbe una rubrica fissa su Newsweek dal 1946 al 1966. Il Mises Institute ha ristampato quegli articoli in un enorme libro di 800 pagine, Business Tides. Tuttavia, nonostante il suo nome fosse conosciuto al pubblico, la gilda degli economisti riuscì a oscurare ogni riferimento al libro di Hazlitt su Keynes. Non ricordo di aver mai visto nemmeno una nota che citava il libro, in nessun articolo accademico di economia che non fosse uno di quelli pubblicati su riviste della scuola austriaca.

La gilda accademica degli economisti non prese mai Hazlitt seriamente . Dopo tutto, Hazlitt non era andato all'università. Keynes c'era andato, ma non si era laureato in economia, bensì in matematica. Questo fatto certamente non ostacolò la sua conquista della corporazione accademica dopo il 1945.

Aspettiamo da sette decenni che si faccia vivo qualche altro economista con la capacità di Hazlitt di penetrare gli argomenti dell'avversario, analizzarli criticamente e discutere sul perché essi (1) sono incoerenti, e (2) non riescono a connettersi con la realtà economica. W. H. Hutt in effetti provò a farlo in un libro del 1963, Keynesianism — Retrospect and Prospect, e in un libro che ne era un proseguimento, The Keynesian Episode: A Reassessment (1980), però i libri di Hutt erano ampollosi e poco stimolanti. Lo dico da fan di Hutt. Avevo pensato di studiare economia sotto di lui. Mi diede una borsa di studio post-laurea quando i nostri progetti congiunti saltarono. Nel confutare Keynes, egli permise che gli argomenti contorti di Keynes sopraffacessero la sua stessa prosa. Questi due libri non riuscirono mai ad avere qualche popolarità. Persino all'interno della comunità a favore del libero mercato, anti-keynesiana, essi non guadagnarono alcuna popolarità.  In un articolo del 1971, Hutt commentò:

Mi aspettavo obiezioni ragionate ai miei argomenti rigorosamente esposti, dopo la pubblicazione del mio libro. Nessuno si è fatto avanti. Neppure un successivo mio articolo (intitolato Keynesian Revisions), che conteneva ulteriori prove di una ritirata da parte dei maggiori esponenti del vangelo keynesiano, suscitò alcuna replica. Nel frattempo la ritirata è continuata, sebbene, a parte la critica importante e di grande profondità accademica di Leijonhufvud, non sono al corrente di nessun altro attacco diretto al sistema keynesiano.

Il libro di Leijonhufvud del 1968, On Keynesian Economics and the Economics of Keynes: A Study in Monetary Theory, è anch'esso impenetrabile. Fu scritto per i suoi pari accademici, ma non ebbe alcun effetto nel rallentare la valanga keynesiana. Non era un assalto frontale all'economia keynesiana. Non fu ristampato. Da lungo tempo è sparito.

Egli scrisse nell'Introduzione al libro che l'esegesi della General Theory era caduta in disgrazia. Quello che non disse era che questa esegesi era richiesta dopo il 1945 perché giovani economisti recentemente convertiti consideravano necessario spiegare quello che Keynes aveva voluto dire realmente. Era così perché nessuno riusciva a comprendere quello che Keynes intendeva dire. Leijonhufvud scrisse :

The General Theory of Employment, Interest and Money di John Maynard Keynes segnò una rivoluzione nella teoria economica e l'inizio della teoria macro "moderna". Nessun'altra opera economica in questo secolo è stata oggetto di qualcosa di neanche vicino al vasto zampillare di commenti e critiche ricevuti dalla General Theory. Tuttavia negli ultimi cinque o dieci anni, l'interesse teorico e esegetico nella General Theory è declinato vistosamente. Il lungo dibattito “Keynes e i Classici”, dedicato alla valutazione della precisa natura e significato delle innovazioni keynesiane, alla fine si è praticamente esaurito. L'etichetta "post-keynesiano" attaccata alla  ricerca teorica molto più recente è sintomatica della interpretazione diffusa per la quale la General Theory sia storia chiusa, la "rivoluzione keynesiana" sia finita, e quanto di essa aveva valore sia stato digerito e il resto scartato. La General Theory stessa è diventata un classico -- un'opera che il teorico attivo non ha bisogno di consultare, ma nella quale gli storici delle dottrine economiche mostreranno un interesse che perdura.

The General Theory era diventata un classico in questo senso sin dal giorno in cui fu pubblicata. Nessuno la consultava. Nessuno la citava come autorevole. Come la folla che acclamava l'imperatore senza vestiti, il mondo accademico aspettava un bambino dalla vista buona che annunciasse al mondo "L'imperatore è nudo".

Hazlitt fece questo annuncio e lo dimostrò. Tuttavia la folla continuò ad acclamare l'imperatore. Spinse Hazlitt dietro la folla e pretese che non avesse mai pronunciato la sua valutazione.

I due errori di base

Hazlitt fu sempre molto generoso con me. Era generoso con tutti quelli che conosceva. Quindi, potrebbe essere ingrato da parte mia fare due osservazioni. Ma non gli spiacerà. È morto da molto tempo.

Hazlitt e tutti gli altri critici di Keynes non arrivarono mai ai punti primari su quanto c'era sbagliato con Keynes. Un punto era teorico. L'altro era pratico. Se dovessi scrivere un libro su Keynes, comincerei la mia introduzione con le mie due osservazioni. Poi approfondirei queste due osservazioni per diverse centinaia di pagine. Non farei ricorso a gergo tecnico. Non userei alcuna equazione. Semplicemente martellerei ancora e ancora e ancora su questi due punti.

1. Teoria. L'intero apparato keynesiano si appoggia a questa assunzione: l'economia ha bisogno di maggiore spesa per uscire dalla recessione. Il sistema è quindi un'analisi dal lato della domanda. Egli sostenne che gli investitori, temendo la perdita di denaro, investirebbero. Se investono, questo porterà a consumo ridotto e peggioramento della recessione. Ignorò l'ovvio: tutto il denaro investito va nei redditi di altra gente. Il denaro rimane nell'economia, ricompensando quelli che hanno asset da vendere, che sia lavoro, capitale, o materie prime. Questo argomento "il denaro sparisce" era lo stesso errore concettuale fatto da "Major" C. H. Douglas negli anni dopo la Prima Guerra Mondiale, elogiato da Keynes nella General Theory. Questo fu l'errore supremo del movimento per il Credito Sociale. Ho scritto un libro a questo riguardo, Salvation through Inflation.

La domanda, allora, è questa: "Il governo dove metterà le mani per prendere il denaro che userà per spendere?" Ci sono solo tre vie: prenderlo a prestito, stamparlo, o tassarlo via dalle mani del pubblico.

Dov'era stato il denaro prima che il governo prendesse a prestito o tassasse? Era stato nei conti bancari della gente. Le banche prestavano denaro, e chi prendeva a prestito depositava sui propri conti. Se il governo non fosse intervenuto con i suoi deficit enormi, vendendo i suoi IOU alle banche o direttamente agli investitori, le banche avrebbero dovuto investire il denaro da qualche parte. Il denaro non è stipato sotto ai materassi. Così, il governo semplicemente ha estratto il denaro dagli investitori che avrebbero dovuto cercare vie profittevoli per prestare, soggetti all'incertezza delle loro azioni. Il denaro sarebbe stato speso, in un modo o nell'altro. Sarebbe stato speso o nella formazione di capitale oppure fornendo prestiti al consumo. In altre parole, il governo non può ottenere qualcosa dal nulla. Questa critica dovrebbe essere di fronte e al centro. L'intera critica dovrebbe basarsi su questo fatto ovvio: non esiste una cosa come un pasto gratis. Non esiste neanche una cosa come un investimento gratis.

Nel 2008, Lew Rockwell pubblicò questi miei commenti:

Al cuore dell'analisi di John Maynard Keynes nel 1936 era l'idea di un equilibrio di libero mercato permanente con alta disoccupazione. Per qualche ragione, che Keynes non spiegò mai coerentemente, i venditori rifiutano di abbassare i loro prezzi quando sono di fronte a compratori che rifiutano di comprare ai prezzi di ieri pre-depressione. Questo è specialmente vero per i lavoratori che rifiutano di abbassare le loro richieste salariali.
Il keynesianismo è basato su due idee fondamentali: (1) i venditori non imparano che qualcosa è meglio di niente, e quindi non abbasseranno i loro prezzi di vendita; (2) gli economisti non imparano che la spesa statale finanziata dal debito è ottenuta in uno di due soli modi: (a) denaro prestato da risparmiatori, che avrebbe potuto essere prestato a imprese o consumatori; (b) denaro prestato da una banca centrale, che abbassa il potere d'acquisto dell'unità di valuta. Questa è una filosofia di qualcosa per niente.

2. Pratica. Il keynesianismo si è sempre avvolto in equazioni e matematica. Però ecco la realtà: la spesa dello stato è determinata non dalla matematica, ma dalla capacità dei politici di estrarre ricchezza dal pubblico generale e lo stesso essere rieletti. Non c'è nulla di scientifico in questo.

L'intero apparato analitico keynesiano -- esso stesso auto-contraddittorio -- non è mai stato usato dai politici in un modo scientifico per determinare quale grado di tassazione, prestito o inflazione sarà sufficiente per portare un'economia fuori da una recessione o depressione. Non c'è nessuna scienza di economia keynesiana che dice ai politici quante tasse o quanto debito, o quanto denaro appena creato prendere a prestito dalla banca centrale, sia appropriato. I politici non prestano alcuna attenzione alle raccomandazioni degli economisti keynesiani, il che mostra saggezza da parte dei politici. I politici sono molto più saggi a questo riguardo degli economisti a cui è stato conferito il dottorato da altri economisti.

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