James George Jatras (RonPaulInstitute, 25 agosto 2017)

È chiaro ormai da qualche tempo che la Casa Bianca del presidente Trump è scossa da una lotta tra varie fazioni di corte, in competizione tra loro per l'orecchio dell'imperatore. Semplificando drasticamente, queste fazioni sono variamente descritte come:

1. La "Junta" militare (generali McMaster, National Security Council; Mattis, Pentagono; e Kelly, White House Chief of Staff);

2. I  "Globalisti" di Goldman-Sachs (preminentemente la First Daughter Ivanka e il First Son-in-Law Jared Kushner);

3. I "Populisti-Nationalisti" ("i due Steve" Bannon e Miller);

4. I normali repubblicani che, a loro credito, nel 2016 hanno scelto di unirsi al movimento populista di Trump rispetto a candidati repubblicani  "conservatori" più convenzionali (l'ex-Chief of Staff Reince Priebus, il Consigliere per il Presidente Kellyanne Conway).

Si ritiene che le prime due fazioni siano generalmente alleate contro le altre due. Dopo l'uscita di Priebus, l'indicatore sarebbe stato chi era il prossimo ad essere defenestrato: Bannon o McMaster. È stato Bannon.

Il 18 agosto, con l'uscita di Bannon, è diventato chiaro che la Junta e i Globalisti erano fermamente al comando. Le uniche eccezioni rimaste - oltre a qualcuno chiamato Trump - sono Conway e Miller. Stiamo a vedere quanto durano. Chiunque di loro.

L'impatto immediato della vittoria di Junta/Globalisti nella lotta interna si è rivelato in una rinnovata retorica dura contro la Corea del Nord (l'opinione di Bannon per la quale non c'era alcuna accettabile opzione militare potrebbe essere stata una causa determinante della sua espulsione) e, ancor più, nel discorso di Trump sull'Afghanistan il 21 agosto ad un pubblico di militari.

Prima di parlare di aspetti specifici, è importante notare che le parole di Trump non solo hanno segnato una sconfitta umiliante del trumpismo all'interno della stessa amministrazione Trump, ma riflettevano il danno subito a seguito degli attacchi feroci contro di lui per aver detto la verità sugli eventi a Charlottesville. Il suo crimine: aver affermato che la responsabilità per la violenza non era solo dei "nazionalisti bianchi" ma anche degli armati "manifestanti antifa" propensi ad attaccarli. In realtà, per chiunque guardasse i servizi in TV con mente imparziale, era chiaro che la violenza proveniva in grandissima parte dai secondi, agevolati dalla decisione, evidentemente deliberata, del Governatore della Virginia Terry McAuliffe (probabile candidato alle presidenziali 2020 per il Partito Democratico), per la quale la polizia non ha tenuto separate le due fazioni e anzi ha guidato i nazionalisti verso gli Antifa.

Nonostante non citi per nome Charlottesville, l'intera parte iniziale del discorso di Trump sull'Afghanistan -- il primo discorso alla nazione da presidente trasmesso in televisione in prime time -- si attiene ad un testo politicamente corretto, intonando ritualmente che "non c'è spazio per i pregiudizi, non c'è posto per l'estremismo e non c'è tolleranza per l'odio". (In ancora un altro zigzag, proprio la sera successiva, ad un comizio a Phoenix di fronte a sostenitori entusiasti, Trump ha letto a voce alta i suoi precedenti commenti su Charlottesville e ha denunciato l'Antifa. I media, in particolare la CNN, si sono sciolti in furibondi attacchi di rabbia.)

Veniamo ora a quanto Trump ha in mente per l'Afghanistan.

Non è nuovo, è la stessa vecchia storia: a parte qualche fioretto retorico in stile Trump, è stato un discorso che avrebbe potuto pronunciare il presidente Hillary Clinton o il presidente Jeb Bush. In sostanza, è stato un rimaneggiamento dei fallimenti di Barack Obama e George W. Bush. Solo alcuni dettagli sono cambiati. Renderà meno rigide le regole di combattimento per le forze statunitensi, il che tra l'altro significherà più afghani morti e più reclute per i talebani. Aumenterà le truppe ma non dirà i numeri al nemico - o al popolo americano; il numero 4000 è circolato, ma chi lo sa. Infine, nessun programma sui tempi "guiderà la nostra strategia", solo "le condizioni sul campo", ma non ha descritto come tali condizioni dovrebbero essere affinché finalmente ce ne andiamo. Neanche c'è alcun indizio di come aumentando i numeri americani a circa 13.000 si potrebbe ottenere quello che 100.000 non sono riusciti a fare.

"Chiederemo ai nostri alleati NATO e ai partner globali di dare supporto alla nostra nuova strategia con truppe aggiuntive e maggiori finanziamenti, in linea con i nostri", ha detto il presidente. "Siamo fiduciosi che lo faranno". Pura fantasia. D'altro canto, Trump ha completamente ignorato la produzione record di oppio in Afghanistan. Evidentemente promettere di estirpare quella sarebbe stato troppo fantasioso.

Non è una strategia, è solo una linea: Uno dei problemi ad essere guidati da militari è la loro tendenza a focalizzarsi sulla propria specializzazione tattica. Si può sperare che siano bravi in quello. Però la loro conoscenza e abilità, sebbene di importanza vitale, non costituisce in se stessa una strategia. O, detto in un altro modo, i militari professionisti possono dire a chi decide gli obiettivi come ottenere quello che vuole ottenere, ma non possono dirgli quello che vuole ottenere. Il risultato è una linea composta da varie tattiche che insieme non danno molto di niente, tranne ancora più di quanto abbiamo visto sin dal 2001.

Non saremo coinvolti nella costruzione di nazioni, ha detto Trump, cioè non diremo agli afghani come devono vivere. Questo potrebbe significare non assillarli più per le leggi che impongono di uccidere gli apostati o per i diritti delle donne. ("Non buttate acido in faccia a ragazzine perché vanno a scuola. Non è carino.") Non che stessimo facendo molto in questo senso in ogni modo, ma ora è ufficiale: gli americani combattono per rendere l'Afghanistan più sicuro per la Sharia. (Paradossalmente, a quanto si è saputo Trump è stato convinto da McMaster che l'Afghanistan non sia condannato ad essere un covo hobbesiano di selvaggi, mostrandogli una foto di studentesse afghane in minigonna negli anni '70.  Come ha fatto notare Justin Raimondo, il  buon generale ha sicuramente omesso di citare che la ragione per cui non ci sono più minigonne in giro in Afghanistan è dovuta al nostro supporto, insieme al Pakistan e all'Arabia Saudita, per Osama bin Laden e personaggi simili. Missione compiuta!)

D'altra parte, è dire agli afghani come devono vivere, quando Trump promette di estirpare la corruzione? (Quelo che gli americani chiamano corruzione è quello che in Afghanistan di solito chiamano semplicemente "vita".) Davvero, è stato detto molto poco su cosa pensa il governo afghano del "nuovo" piano. Ma di nuovo, a malapena ci preoccupiamo di cosa pensa Seul dello schieramento del sistema THAAD in Corea del Sud, quindi perché ci dovremmo chiedere le opinioni di un governo afghano che non durerebbe una settimana senza il supporto americano? Tutto ciò fa tornare in mente una delle battute dell'era sovietica: l'Afghanistan di tutto il mondo è il paese più amante della pace. Perché? Perché non interferisce neanche nei suoi stessi affari interni!

Per quanto riguarda l'intera regione, Trump ha promesso di forzare il Pakistan a smettere di dare rifugio ai talebani (certo, questo funzionerà) e di coinvolgere l'India maggiormente. L'ambasciatore USA alle Nazioni Unite Nikki Haley ha detto che, oltre a "mettere più pressione sul Pakistan", Washington "farà pressione sull'India affinché sia parte della soluzione politica".  Proprio come "facciamo pressione" sulla Corea del Nord, o "facciamo pressione" sulla Cina per la Corea e per il Mar della Cina, e "facciamo pressione" su Russia e Siria, Ucraina e compagnia. Pressione, pressione, pressione! Non c'è nessuno a Washington che sappia come parlare agli altri per cercare interessi comuni? Perché nessuna citazione delle tre potenze nella regione -- Russia, Cina e Iran -- che come l'India (ma a differenza del Pakistan) non vogliono un Afghanistan governato dai Salafiti? Quella si potrebbe definire una strategia.

Non è la linea di Trump, è quella dello Swamp1: Trump più o meno l'ha detto chiaro dicendo che il suo primo impulso era quello di andarsene dall'Afghanistan. (E' interessante che il Washington Post e il National Review, sempre a favore della guerra come sorta di riflesso condizionato, abbiano pubblicato commenti favorevoli al ritiro delle nostre forze, dicendo che il primo istinto di Trump era giusto! Aspettatevi che gli strappino il fegato quando le cose andranno male.) Ma poi Trump ha parlato con i ragazzi grandi con i capelli tagliati corti che gli hanno spiegato i fatti della vita. Sembra che abbia accettato la versione dello Swamp per la quale, siccome Obama "frettolosamente e erroneamente si è ritirato dall'Iraq", il risultato è stato l'ISIS. Assurdo. L'ISIS è sorto perché (a) abbiamo invaso l'Iraq in primo luogo, e (b) per anni Obama ha armato terroristi che cercavano di rovesciare il governo siriano, continuando una politica in vigore sin dalla guerra dell'Afghanistan contro l'URSS negli anni '80. Con questi punti di partenza, la speranza più ottimista è per un'"ondata" come quella in Iraq nel 2007, che almeno superficialmente stabilizzò l'Anbar e Bagdad. Di nuovo, molto ottimisticamente, quello potrebbe fornire una copertura per il ritiro delle nostre forze. Più verosimilmente, dato il timore di ritiro "frettoloso ed erroneo" stile Obama, rimarremo per un periodo indefinito che equivale a un'occupazione permanente. Dopotutto, guardate per quanto a lungo siamo riusciti a stabilizzare la Germania, il Giappone e la Corea del Sud!

La nota triste è che Trump quasi certamente sa tutto questo, almeno ad un livello istintivo. Quale sia esattamente l'alchimia politica che lo ha portato a questa congiuntura è un tema aperto per le congetture. Però quello che non è una congettura è il lugubre fatto che, sia o meno una linea di Trump, l'Afghanistan è ora una guerra di Trump.

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Ripubblicato da RPI con autorizzazione da Strategic Culture Foundation.

1: Negli USA dall'elezione di Trump si usa informalmente il termine Swamp (palude) per indicare il complesso governativo a Washington; è analogo a Deep State

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Nota -- MM

Una visione un pochino più ottimista dell'identica storia è che Trump abbia detto:

So bene e sappiamo tutti bene che in Afghanistan stiamo buttando vite e soldi per una causa persa. Come ho detto numerose volte nel corso degli anni, a mio avviso dovremmo andarcene il più in fretta possibile. Tuttavia non si può dire questo. Dobbiamo trovare un modo di salvare la faccia e far sì che il ritiro sia in sordina, e mai si parli di guerra persa. Per questo non cito numeri o programmi definiti, se non qualche vaga intenzione, oltretutto dicendo chiaro che non abbiamo alcuna intenzione di imporre agli afghani alcuno stile di vita. E' un ramoscello di ulivo enorme, che diamine, non lo vedete? Non solo: ho parlato di terroristi in Pakistan, non Afghanistan. Vi sto dando un sacco di idee, su come aiutarci a mettere fine a questa guerra. Ho citato altri paesi, gli alleati NATO e anche altri partner (avete capito, Russia e Cina?): dovete impegnarvi tutti a facilitare una soluzione politica in Afghanistan.
Quando Obama ha deciso per un (parziale) ritiro dall'Iraq, con grande sollievo degli americani, è stato creato l'ISIS per prolungare la guerra. Avete idea di cosa potrebbero fare in caso di ritiro affrettato dall'Afghanistan?! Bisogna che si creino le condizioni per cui il ritiro sia naturale e inevitabile. e tutti dovete aiutarci.
Ho fatto questo discorso, con tanti colpi al cerchio e tanti alla botte, senza far capire a nessuno qual è veramente il piano per l'Afghanistan, con l'obiettivo che di Afghanistan in America non si parli più.
Sono o non sono un genio?

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Un'altra breve nota sui fatti di questi giorni.

Steve Bannon è probabilmente molto più utile a Trump se sta a Breibart piuttosto che alla Casa Bianca. L'opinione pubblica è fondamentale e Bannon potrebbe avere un'influenza enorme, dato lo stato terribile dei media americani, da cui sempre più gente fugge (tranne Fox News). Bisogna vedere cosa ne penseranno gli inserzionisti, considerando che i principali tra loro sono alleati dello stesso sistema ostile a Trump.

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Update (1/9/17): Karen Kwiatkowski (in passato colonnello dell'esercito, scrive su LewRockwell.com) commenta il discorso di Trump sull'Afghanistan: Trump ha siglato un compromesso con lo Stato di Sicurezza sulla strategia in Afghanistan (da Sputniknews) leggendo attentamente tra le righe

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