La minuziosa opera di Robert Stinnet sull'attacco a Pearl Harbor

(11 dicembre 2016)

Il 7 dicembre, mercoledì scorso, ricorreva il settantacinquesimo anniversario dell'attacco a Pearl Harbor. In America le commemorazioni hanno avuto ampio risalto mediatico, com'è naturale. E altrettanto naturalmente i commenti su LewRockwell.com sono stati di un tenore assai diverso da quelli sui media di mainstream. 

In particolare, Thomas DiLorenzo e Butler Shaffer hanno citato entrambi  il libro di Robert Stinnet Day of Deceit.

Ha scritto Thomas DiLorenzo:

Il  7 Dicembre 1941 fu un Giorno dell'Inganno, come mostrato dal veterano della seconda guerra mondiale (in marina) e giornalista  Robert B. Stinnett nel suo straordinario libro, Day of Deceit.  Usando i documenti di guerra degli Archivi Nazionali del governo stesso, Stinnet descrive come l'amministrazione Roosevelt architettò e pianificò la strategia di indurre il Giappone ad attaccare Pearl Harbor, al fine di giustificare l'entrata in guerra degli americani, e come Roosevelt stesso fosse pienamente consapevole dell'attacco imminente.

Gli ha fatto eco Butler Shaffer, nel post December 7th:

Cinquant'anni fa, ero seduto ad un tavolo al Rampart College con il mio caro amico e storico revisionista, Jim Martin, leggendo un'edizione speciale del Chicago Tribune sull'attacco a Pearl Harbor venticinque anni prima, e come l'amministrazione Roosevelt avesse deliberatamente provocato l'attacco. C'era un tempo in cui le verità scomode e imbarazzanti erano almeno tollerate in America. I moderni rivelatori di verità non sono più benvenuti da coloro che insistono a difendere la mentalità istituzionale. Gli eretici di oggi devono nascondersi in posti come la Russia, l'ambasciata dell'Ecuador, il Brasile o le prigioni militari americane.

 

Ci sono abbondanti documenti storici su come Roosevelt abbia manipolato i giapponesi per indurli ad attaccare settantacinque anni fa, forse la raccolta più recente e ben documentata è il libro di Robert Stinnett Day of Deceit: The Truth About FDR and Pearl Harbor. Nel giorno in cui i media di mainstream sfruttano i sopravvissuti dell'attacco, marinai e soldati - trattando quel giorno quasi come una festa sacra - il minimo che è dovuto a quei sopravvissuti e alle loro famiglie è la verità su come furono usati come risorse sacrificabili e rimpiazzabili al fine di portare avanti gli interessi di coloro che bramano il potere sugli altri esseri umani!

Tutto ciò mi ha riportato alla mente memorie di quel libro.

L'ho letto ormai sei o sette anni fa, per cui ora ricordo solo le impressioni a grandi linee, non più i dettagli minuziosi della successione degli eventi e i nomi degli innumerevoli protagonisti.

E' un libro davvero eccezionale. Si tratta del progetto di una vita e ha richiesto molti anni di lavoro certosino e pazienti ricerche. Esaminando puntigliosamente i documenti ufficiali, Stiinnet ricostruisce la storia dei mesi precedenti l'attacco. Al cuore delle ricerche di Stinnet ci sono i documenti con le intercettazioni, da parte dei servizi di intelligence militare americani, delle comunicazioni radio dei giapponesi.

Per questo è un libro a tratti difficile e non lineare. Sì, sono offerte interpretazioni sulle motivazioni e sul ruolo degli individui coinvolti, c'è una narrativa (altrimenti il libro sarebbe stato illeggibile), ma soprattutto sono in primo piano quei documenti, lasciando al lettore il compito di valutare personalmente.

Ed ecco una sintesi delle conclusioni su cui Stinnet lascia pochi dubbi:

- L'amministrazione Roosevelt progettò attivamente la provocazione verso i giapponesi, al fine di non lasciare loro alternative alla guerra e indurli all'attacco a sorpresa, vista come l'unica circostanza che avrebbe convinto l'opinione pubblica americana ad appoggiare l'entrata in guerra

- Fu avviata una politica di sabotaggio aggressivo verso il Giappone, soprattutto chiudendo in modo ingiustificato le vie di approvvigionamento di petrolio per i giapponesi

- Furono intenzionalmente lasciate navi e attrezzature ormai quasi obsolete a Pearl Harbor, a fare da esca

- Un anno prima dell'attacco gli ufficiali al comando della base a Pearl Harbor avevano protestato accesamente per la pericolosità della situazione della base navale, chiedendo risorse per poter contare su una migliore difesa;  di conseguenza, si trovò un accordo per il loro trasferimento altrove

- Essi furono sostituiti da ufficiali molto meno "svegli", che apprezzavano il prestigio della posizione e la piacevole vita alla Hawaii. Erano ufficiali che mai avrebbero intuito che il governo potesse agire contro di loro e tenerli all'oscuro di informazioni vitali che riguardavano la loro base

- Diverse stazioni di intelligence americane intercettavano e traducevano le comunicazioni giapponesi da molti mesi; i maggiori vertici militari erano pienamente al corrente degli spostamenti e delle attività della marina giapponese nel Pacifico

- Anche nei giorni precedenti l'attacco ci furono intercettazioni che rivelavano i preparativi; queste informazioni non furono mai trasmesse al comando a Pearl Harbor

- Gli ufficiali al comando a Pearl Harbor furono effettivamente colti di sorpresa dall'attacco; i vertici americani no (in seguito agli  ufficiali di Pearl Harbor fu attribuita la responsabilità per l'assoluta impreparazione di fronte all'attacco; dispute legali in questo senso proseguirono per diversi anni)

Fu così che Roosevelt ebbe l'"attacco a sorpresa" e l'entrata in guerra.

Ma, mi sembra già di sentir rispondere, se gli americani non fossero entrati in guerra saremmo finiti tutti sotto il dominio nazista, e bla bla bla. Tuttavia, se non è vera la narrativa che ha portato alla guerra, se è proprio smaccatamente falsa, forse sarebbe il caso di riflettere anche sulla narrativa relativa agli eventi successivi (e precedenti).

Lo stato non va in guerra contro nemici stranieri. Va in guerra contro i suoi stessi cittadini.

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Eric Margolis ha scritto un articolo molto interessante su Pearl Harbor in questi giorni:  Perché il Giappone scelse una guerra suicida nel 1941? (qui su LewRockwell), commentando sul perché il Giappone cascò dritto nella trappola di Roosevelt

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