11 novembre 2016

E così Trump ha vinto e il mondo sta tirando un grande sospiro di sollievo collettivo.

I lamentatori di professione piagnucolano e imprecano, ma è già storia vecchia e nessuno li ascolta più. La marmaglia politically correct finalmente ha avuto quel che da troppo tempo meritava, con soddisfazione più o meno consapevole di quasi tutti gli altri.

C'è qualche timido tentativo di coerenza da parte di quelli che si dichiaravano scandalizzati anche solo all'idea che Trump potesse essere presidente degli Stati Uniti, e che dicevano che comunque non era possibile accadesse. La California minaccia la secessione, e i "deplorabili" supporter di Trump rispondono "Prego, andate pure". Robert de Niro dichiara di voler emigrare in ... Italia, e anche qui la replica non può che essere "sai dov'è l'uscita".

Parlo con le persone, in genere del tutto colte di sorpresa dall'esito delle elezioni. Pochi fanno due più due e si rendono conto di quanto mentivano i media americani. Sembrano tutti come ipnotizzati dalla propaganda e quindi ora in preda ad una sorta di dissonanza cognitiva. Passerà.

Ma non di questo volevo parlare. Vorrei enfatizzare una storia che forse è solo per libertari accaniti. Una nota finale a quanto ho scritto ad aprile sulla campagna di Trump e sull'atteggiamento dei libertari.

Il protagonista  è Alex Jones.

Alex Jones ha compiuto davvero un'impresa incredibile. Infowars ha finito per vincerla sul serio, la "guerra dell'informazione". Ha finito per essere il principale organo di informazione funzionale all'elezione di un presidente degli Stati Uniti. Ha mostrato di avere più influenza di tutti i principali quotidiani e reti televisive degli USA messi insieme! L'alleanza con Roger Stone si è rivelata strategicamente efficacissima.
Davvero incredibile per il populista, "complottista", istrionico, irruento, torrenziale Alex Jones. Dopo 25 anni di battaglia sempre sullo stesso fronte, deriso dappertutto e trattato alla stregua di un pazzoide, Alex Jones tranquillamente si è costruito una sorta di piccolo impero mediatico.
Senza mai cedere a compromessi da un libertarismo certamente non troppo intellettuale, ma sincero e solido.

E' stato alla testa di una rivoluzione che avrà ripercussioni fondamentali e che cambia il corso della storia. Sempre difendendo la libertà.

Un risultato straordinario.

E cosa fa Alex Jones? Intervista l'uomo che è il suo principale mentore e punto di riferimento, Ron Paul. L'intervista risale a qualche giorno prima delle elezioni, ma non è il risultato elettorale che conta, questo lo sanno entrambi. Alex appoggia Trump nella sua lotta all'establishment e ad un sistema indicibilmente immorale, ma sa benissimo che molte delle cose che Trump dice, specialmente in economia, non sono esattamente costruttive. Sono le idee di Ron Paul quelle in cui Alex Jones si riconosce.

E' un momento epico.

Alex Jones chiede a Ron Paul per l'ennesima volta una sorta di endorsement a Trump, anche solo parziale, anche solo il riconoscimento che la vittoria di Trump è comunque meglio, senza paragoni, della vittoria della Clinton. E' come chiedesse: "Hai visto quello che sono riuscito a fare? Hai visto come sono stato bravo?"

Niente. Ron Paul non si smuove. Sì, Trump è da apprezzare per la lotta alla politically correctness, sì, il lavoro di Alex è importantissimo, ma.... sono le idee che contano, non chi viene eletto. Non ci si può aspettare che basti mettere una persona diversa al comando per cambiare le cose. Dice Ron Paul: "Le insidie politiche che succedono sono un riflesso di una cattiva filosofia". "La gente in America è arrabbiata e agitata, ma non penso che la gente, che generalmente pensa in termini politici invece che filosofici, abbia ben compreso esattamente dov'è il problema". "Il problema deriva da cattiva filosofia in aree quali la politica economica ed estera e non sarà risolto semplicemente introducendo un 'manager migliore' o spostando la decisione su quale paese invadere". Dice Ron Paul che lui continuerà a diffondere idee, una persona alla volta. Non è con le elezioni che si cambiano le cose.

Non è da restare a bocca aperta? Alex Jones fa tutto quello che ha fatto, va da Ron Paul e Ron Paul gli dice "non è quello che conta", ricordandogli le cattive idee espresse da Trump (quelle protezionistiche in primo luogo)!  E' anche un sublime invito a non dormire sugli allori, anche ora che l'impresa che sembrava impossibile è compiuta.

Naturalmente Ron Paul ha ragione. Sperare che basti eleggere qualcuno affinché questi magicamente risolva le cose, senza l'impegno personale a costruire e migliorare le proprie idee, è una speranza vana.

Però, è anche vero che stavolta un po' diverso è. Mai come stavolta è stato eletto un candidato che aveva contro veramente tutto l'establishment, che è stato oggetto di critiche unanimi tanto feroci quanto basate su nulla. E sì, le sue idee non sono perfette, sono tutt'altro che perfette, però si tratta di un uomo animato da reali buone intenzioni per il benessere del suo popolo, e  in grado di capire e correggersi.

Le campagne presidenziali di Ron Paul del 2008 e 2012 sono state molto efficaci per la diffusione di idee che alla fine hanno contribuito, a mio avviso in modo molto significativo, alla vittoria di Trump. Ora il monito a Alex Jones  è a non abbassare la guardia, a criticare Trump quando ce ne sia bisogno. E Alex ha promesso sin dall'inizio che sarà così.

Anche a settembre 2013  Ron Paul era pessimista: pronosticava che la propaganda avrebbe convinto la popolazione ad appoggiare la campagna di bombardamenti in Siria, ma non fu così. Allo stesso modo, il vento nuovo portato da Trump è probabilmente molto più reale di quanto Ron Paul pronostichi.

Ma ciò nulla toglie a questa sublime lezione morale: nel momento del massimo del successo, quando hai compiuto l'impresa che più sembrava impossibile, ricorda quanto ancora c'è da fare.

 

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