Finalmente, prima l'America!

di Patrick J. Buchanan (qui su takimag, qui su LewRockwell, 29 aprile 2016)

Che all'establishment piaccia o meno, e evidentemente a loro non piace, c'è una rivoluzione in corso in America.

Il vecchio ordine nella capitale è sulla via per l'uscita; l'America sta attraversando un profondo spartiacque, senza ritorno.

Lo conferma la marcia trionfale di Donald Trump verso la nomination a Cleveland, praticamente assicurata dopo la vittoria in ognuno dei cinque stati di martedì scorso, così come il suo discorso sulla politica estera di mercoledì.

Neanche due minuti dall'inizio del discorso di fronte al Centro per gli Interessi Nazionali, Trump ha dichiarato che il "tema principale e prioritario" della sua amministrazione sarà: "prima l'America". Diretto e immediato.

Coraggioso e spavaldo è stato l'uso di quella frase, considerando la demonizzazione del grande movimento del 1940-41 contro la guerra, appoggiato dal giovane patriota John F. Kennedy e da suo fratello Joe, da Gerald Ford e  il sergente Shriver, il Presidente Hoover e Alice Roosevelt.

Che il tema sia il commercio, l'immigrazione o la politica estera, dice Trump, "metteremo il popolo americano di nuovo al primo posto". Le politiche americane saranno improntate agli interessi nazionali degli Stati Uniti.

Da quello che ha biasimato, e da quello che ha promesso, Trump sta ripudiando sia i frutti della politica estera di Bush-Clinton sia l'eredità dell'era Bush del partito repubblicano e del neoconservatorismo.

Quando Ronald Reagan tornò a casa sua, dice Trump, "la nostra politica estera cominciò ad avere sempre meno senso. La logica è stata rimpiazzata da avventatezza e arroganza, con il risultato di un disastro di politica estera dopo l'altro".

Trump ha elencato i risultati di 15 anni di guerre di Bush-Obama in Medio Oriente: guerra civile, fanatismo religioso, migliaia di americani uccisi, migliaia di miliardi di dollari persi, la creazione di un vuoto riempito dall'ISIS.

Forse si sbaglia? In che modo ci sono state utili queste guerre? Dov'è il "Nuovo Ordine Mondiale" di cui Bush I fantasticava all'ONU?

Si potrebbe mai sostenere che i nostri interventi per rovesciare regimi e stabilire stati democratici in Afghanistan, Iraq, Siria, Libia e Yemen siano stati un successo e siano valsi il prezzo che abbiamo pagato in sangue e risorse, e la devastazione che abbiamo lasciato sulla nostra scia?

George W. Bush dichiarò che l'obiettivo americano sarebbe stato "mettere fine alla tirannia nel mondo". Un'illusione totalmente utopistica, alla quale Trump replica ricordando la visione di John Quincy Adams sull'America: "Non esce dai suoi confini in cerca di mostri da distruggere".

Alla crociata mondiale dei neocon per la democrazia, la replica di Trump è che è sempre stata "un'idea pericolosa" pensare che "potremmo creare democrazie sul modello occidentale in paesi che non hanno alcuna esperienza né interesse a diventare democrazie occidentali".

Ci siamo "espansi troppo", ha dichiarato, "Dobbiamo ricostruire il nostro esercito". I nostri alleati NATO hanno avuto tutto gratis per mezzo secolo. Il NAFTA è stato un accordo disgustoso. Nell'accumulare fino a 4000 miliardi di dollari in surplus commerciali dai tempi di Bush I, i cinesi hanno consumato il nostro pranzo.

Questa potrebbe essere la più assoluta eresia per le elite americane, ma Trump delinea una politica estera che le generazioni passate avrebbero considerato buon senso: Per prima cosa si guardi al proprio paese e al proprio popolo.

Invece di riferirsi al presidente Putin con termini offensivi, Trump dice che dialogherebbe con i russi per "mettere fine al ciclo di ostilità", se potrà farlo.

“Ronald Reagan si rivolterà nella tomba", ha farfugliato il senatore Lindsey Graham, il quale si è ritirato dalla corsa presidenziale per evitare di essere stracciato da The Donald nel suo stesso stato, la Carolina del Sud.

Però chi scrive ha prestato servizio alla Casa Bianca di Reagan: egli era sempre alla ricerca di un modo per convincere i russi a negoziare. Prese al balzo la possibilità per un summit con Mikhail Gorbachev a Ginevra e Reykjavik.

"Il nostro obiettivo è pace e prosperità, non guerra", dice Trump, "a differenza di altri candidati, la guerra e l'aggressione non saranno il mio primo istinto".

Non si tratta forse di una vecchia e buona tradizione repubblicana?

Dwight Eisenhower mise termine alla guerra in Corea e ci tenne fuori da qualsiasi altra. Richard Nixon mise termine alla guerra in Vietnam, negoziò accordi sugli armamenti con Mosca, e fece uno storico viaggio per aprire alla Cina di Mao.

Reagan usò la forza tre volte in otto anni. Mise i marines in Libano, liberò Grenada e mandò degli FB-111 sopra Tripoli per ripagare il colonnello Gheddafi per aver fatto esplodere una discoteca di Berlino piena di soldati americani.

Reagan in seguito pensava che mettere quei marines in Libano, dove 241 di loro furono massacrati, fosse stato il peggior errore della sua presidenza.

L'intervento militare per ragioni ideologiche o per la costruzione di nazioni non è nella tradizione di Eisenhower, Nixon o Reagan. Non è una tradizione repubblicana. E' una deformazione di Bush II e dei neocon, un'aberrazione che si è dimostrata disastrosa sia per gli Stati Uniti sia per il Medio Oriente.

Il titolo sul New York Times proclamava che il discorso di Trump fosse pieno di "paradossi", aggiungendo "chiede di fortificare l'esercito e di usarlo meno".

Ma non è quello che ha fatto Reagan? Condurre la maggiore espansione dell'esercito dai tempi di Eisenhower, poi, da una posizione di forza, negoziare con Mosca una riduzione radicale delle armi nucleari?

"Smetteremo con la costruzione di nazioni", dice Trump.

“Lo stato-nazione rimane il vero fondamento per la felicità e l'armonia". Basta con le cessioni di sovranità sugli altari del "globalismo".

Non è una definizione di patriottismo che troppi tra le nostre arroganti elite credono appartenga a ieri?

You have no rights to post comments