Una cattiva idea sopra l'altra

dal blog di Joel D. Hirst, 23 aprile 2016

Non mi sarei mai aspettato di essere testimone al lento suicidio di un paese, di una civilizzazione. Suppongo che nessuno se lo aspetti.

Lasciate che ve lo dica, non c'è nulla di epico. Noi che abbiamo il privilegio di viaggiare spesso guardiamo con soddisfazione alle rovine dell'antica Grecia, al Partenone illuminato di luci blu e verdi. L'acropolis. Il Colosseo a Roma. Camminiamo lungo le strade polverose di Timbuctu e fissiamo con meraviglia le vecchie moschee di fango, riflettendo sul tempo in cui questi posti avevano energia e scopo. Non sono riflessioni tristi, per noi che siamo turisti. Il tempo ha lucidato sopra il disastro. Ora tutto quello che rimane sono interessanti edifici antichi che raccontano la storia di quando le cose erano notevoli - non di come le cose lentamente declinarono. "Non ci fu una ragione, veramente no", ci diciamo l'un l'altro scendendo dai nostri pullman con l'aria condizionata. "Queste cose semplicemente succedono. Nulla è per sempre, e non è colpa di nessuno. E' semplicemente come va il mondo", il nostro bicchiere di vino in mano. Il tempo fluisce e rifluisce, lentamente consumando le fondamenta di una civilizzazione fino a quando essa non collassa su se stessa - almeno così diciamo per confortarci. Non c'è nulla che si può fare. Queste cose non si possono fermare. Semplicemente accadono.

Questo è quello che la gente dirà tra cento anni, mille anni riguardo a Caracas, Venezuela. O Maracay, o Valencia, o Maracaibo. Quelle grandi e afose città sudamericane con le loro gallerie commerciali e superstrade e grattacieli e stadi colossali. Quando gli archeologi del futuro dragheranno le acque dei Caraibi e troveranno i relitti di barche affondate, mettendoli in mostra in musei futuristici per raccontare del tempo in cui questo posto ospitava una civilizzazione. Rovine di grandi centri commerciali piene di acqua e di coccodrilli - forse l'antica anaconda avrà riconquistato le sue valli; forse i topi giganti che vagano per le pianure avranno fatto le loro tane nelle dimore un tempo opulente degli oligarchi - ricoprendo le piastrelle e i marmi con i loro escrementi. "Non c'era nulla che si sarebbe potuto fare", i turisti del futuro diranno anch'essi. "Il paese decadde - e sparì - è così che vanno le cose".

Noi turisti ci sbagliamo.

Lo so, perché ho osservato il suicidio di una nazione; e ora so come accade.

Il Venezuela sta lentamente morendo, davanti agli occhi di tutti; un atto che dura da più di quindici anni. Osservare un paese che uccide se stesso non è qualcosa che succede frequentemente. Non avendo idea, si può presumere che debba essere rapido e brutale - come il genocidio del Ruanda o la lava del Vesuvio che ricopre Pompei. [...] Ma queste non sono le occasioni che conducono al suicidio nazionale. Dopo questi eventi i paesi si risollevano - i popoli si risollevano. Ricostruiscono, si riconciliano. Perdonano.

No, il suicidio nazionale è un processo molto più lungo - non il prodotto di un momento. Invece, una cattiva idea sopra un'altra, sopra un'altra e poi un'altra e un'altra ancora, e le ruote che fanno muovere il paese cominciano a girare sempre più lentamente, mentre la ruggine ricopre la loro esteriorità prima scintillante. Rivoluzione - fredda e arrabbiata. Odio, come strategia politica. Legge, usata per dividere e conquistare. Regolamentazioni usate per punire. Elezioni usate per cementare la dittatura. Corruzione che fa sanguinare a fiotti la linfa vitale, riempendo i secchi di una successione di burocrati, prima che ognuno di loro sia distrutto per essere rimpiazzato ancora ed ancora. Questo è quanto per me è impressionante del Venezuela. In mia difesa - per quanto debole possa essere - ho cercato di combattere il suicidio per tutto il tempo, in vari modi. Suppongo di poter dire che ancora lo faccio, i miei scritti come un'ultima linea di difesa. Ma come Dagny Taggart [N.d.T.: una dei principali protagonisti di Atlas Shrugged] ho scoperto che non c'era nulla contro cui spingere - era tutto un caos appiccicoso di risentimento e scuse. "Non dovreste fare questo", ho detto. E ancora: "Quella legge non funzionerà", e "queste elezioni non porteranno alcuna libertà", e anche "Quello che pianificate non porterà prosperità - e l'unica eguaglianza che troverete sarà nelle code per il pane". Non ero solo; un esercito di gente più intelligente di me ha fatto notare pubblicamente - su giornali, forum di discussione, in televisione, in incontri a livello locale e in campagne politiche - che il risultato sarebbe stato unicamente suicidio collettivo. Nessuno ascoltava.

Così ho divagato. Ho aiutato l'Uganda e risollevarsi dopo 25 anni di guerra civile - vuotando i campi di sfollati e riportando la gente ad una vita normale. Ho aiutato il  ritorno della democrazia in Mali, consolidando un processo di pace nazionale. Ho scritto tre romanzi. Ho traslocato tre volte. Mi sono innamorato di mia moglie, abbiamo fatto delle vacanze. Abbiamo visitato Marrakesh, il Cairo, Zanzibar, il Portogallo e il  Grand Canyon. Abbiamo subito operazioni chirurgiche. Abbiamo avuto un figlio. Abbiamo insegnato a nostro figlio a stare seduto, a gattonare, a camminare e correre; a cantare e gridare e dire parole come "clorofilla" e "fotosintesi". A sapere il nome di tutti i pianeti, a scrivere il suo nome.

Durante tutto questo il lento e straziante suicidio continuava.

E sempre, la mattina presto bevendo il caffé, apro il computer per documentare, anche se solo a me stesso, il prossimo taglio nel lungo, tragico suicidio del Venezuela. Sono in contatto via chat con gli amici, che continuano a cercare di spiegare a chi non pensa perché la loro miseria è un diretto risultato di una cattiva idea costruita sulla precedente, in un grande edificio di stupidità. Bravi uomini e donne che sono impantanati in un dibattito vecchio di due decenni da cui non c'è via di uscita. Dico preghiere silenziose per i prossimi nella lunga fila di prigionieri politici. Guardo le fotografie di posti che conoscevo - spiagge dove andavo e ristoranti che frequentavo; coperti di spazzatura o sigillati con assi di legno e fetidi. Guardo i video di saccheggi notturni di supermercati che per qualche colpo di fortuna avevano rifornimenti di qualcosa.

Stasera non ci sono luci. Come nella New York in “Atlas Shrugged” di Ayn Rand, gli occhi del paese sono stati strappati per nutrire i mendicanti affamati che occupano edifici abbandonati, una volta appartamenti di lusso. Anche il cibo manca; dicono alla gente di tenere duro, di allevare polli sui terrazzi dei loro appartamenti un tempo prestigiosi. Non c'è acqua - e alla TV di stato danno lezioni su come lavare i piatti con una tazza di acqua. Il denaro non vale nulla; la gente ora paga con le patate, se riesce ad averle. I medici operano alla luce dei loro smartphone, quando c'è corrente a sufficienza per ricaricarli. Senza anestesia, naturalmente - né antibiotici, come ai tempi prima della medicina moderna. Il servizio telefonico è stato tagliato - presto andrà via anche Internet e un'oscurità che tutto ricopre cadrà su una terra desolata.

La maratona di distruzione è quasi finita; la linfa vitale della nazione è quasi esaurita. No, qui non c'è nulla di eroico o di epico; le rovine mentre si creano sono cose tristi - prive del confortevole manto del tempo che conferisce intrigo e senso di inevitabilità. E osservare è stato, per me, una delle grandi tragedie della vita.

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Da EPJ, 26/4/16:

Il governo all'opera: 4 ore di black-out in Venezuela

in cui Wenzel riporta una notizia di AFP, che racconta dei black-out di 4 ore in diverse città ordinati dal governo a causa di carenza di elettricità. La notizia si conclude così: Maduro attribuisce il collasso ad una "guerra economica" da parte dei capitalisti.

Prima una rivoluzione socialista, promettendo "pasti gratis" a tutti. Poi la stampa di denaro, che ha portato a inflazione dei prezzi. Poi le leggi sui prezzi massimi, l'incarcerazione per chi continuava a cercare di commerciare beni. Quindi le lunghe file per avere qualcosa. I razionamenti e i tagli progressivi, fino alla scarstà di elettricità. E sempre la colpa a "speculatori", "capitalisti", "nemici del popolo".

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Su Infowars, 14/5/16, originale su Zero Hedge, un resoconto sulla situazione in Venezuela: Scene dall'Apocalisse venezuelana: “Innumerevoli feriti” quando in 5,000 saccheggiano un supermercato in cerca di cibo - Arrivati alla pura disperazione, il crimine è divenuto inevitabile

Ecco l'inizio: Nel corso degli ultimi anni abbiamo documentato con precisa regolarità il collasso del Venezuela verso il fallimento totale dello stato, che è stato ufficializzato diverse settimane fa quando è giunta la notizia che  “Il Venezuela ha ufficialmente finito i soldi per stampare nuovo denaro.”  A quel punto non è rimasto altro da fare che semplicemente stare ad osservare mentre la società locale e la civilizzazione si rivoltano su se stesse, scatenando quella che alla fine sarà la triste apocalisse del Venezuela.

 

 

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